Brexit. La distanza della Gran Bretagna dall’Ue e il ruolo dell’Italia

La bandiera Ue lacerata dalla Brexit

I contrasti tra il partito conservatore e i laburisti, la confusione sulle future relazioni tra l’Unione Europea e il Regno Unito, la discussione per un secondo referendum … tutto ciò dava l’impressione – fino alla schiacciante vittoria di Boris Johnson di pochi giorni fa – che il voto sulla Brexit fosse stato uno strano incidente di percorso. È vero che il risultato del 2016 ebbe un qualche elemento di contingenza, ma già l’esito delle ultime votazioni per il rinnovo del parlamento europeo, con la grande affermazione del Brexit Party, aveva cominciato a fugare ogni dubbio.

È tempo, dunque, di accettare la realtà: la Gran Bretagna non ha deciso di lasciare l’UE in un impeto di follia; la sua dipartita riflette il modello più profondo della storia britannica degli ultimi quattro secoli.

È bene ricordare che l’UE venne progettata per affrontare sia il problema tedesco sia la questione europea nel suo complesso – due facce della stessa medaglia. Dopo il 1945, le potenze vincitrici ritennero necessaria la creazione di una struttura sovranazionale per incorporare e “contenere” le eventuali, nuove mire egemoniche della Germania, considerata un pericolo costante per la pace, ma anche per sostenere la parte occidentale del continente che appariva così debole di fronte alle minacce esterne (del blocco socialista, innanzitutto). Il fatto geopolitico centrale era il potenziale tedesco: demografico, economico, industriale, militare. Nel periodo che precedette l’unificazione politica della nazione tedesca (1871), troviamo gli Stati europei impegnati, a partire dal Congresso di Vienna (1815), nella creazione e nel mantenimento di un sistema confederale, guidato dall’Austria, per impedire ai tedeschi di sviluppare tali ambizioni.

UK e talassocrazia

Nel XVI e XVII secolo, la Gran Bretagna aveva conquistato la supremazia talassocratica, religiosamente ispirata dal calvinismo, dapprima contro la monarchia spagnola, che aveva tentato un attacco diretto, e poi contro le mire espansioniste di Luigi XIV di Francia, nel timore che un’egemonia “terrestre” nel continente arrivasse poi a minacciare gli interessi inglesi. All’inizio del XIX secolo, arrivò la sfida del Bonaparte, che appena vestiti i panni di primo console della Repubblica propose al re Giorgio III una pace che garantisse l’equilibrio delle potenze europee su scala mondiale, sotto l’egida della Francia nel continente e dell’Inghilterra sui mari; ma quest’ultima rifiutò, per un atteggiamento miope e per il prevalere gli interessi oligarchici del liberismo economico, che pretende di non avere barriere al proprio diffondersi, preferendo lo scontro; seguì, decenni dopo, il confronto con l’autocrazia zarista, questa volta con l’aiuto del “piccolo Napoleone”. Giunti nel Novecento, dopo che la potenza tedesca aveva sostituito quella francese, la Gran Bretagna guerreggiò con la Germania durante il conflitto avviato nel 1914 e resistette al disegno egemonico del nazismo, perseguendo sempre una politica di mantenimento dell’equilibrio nel vecchio continente, attraverso variegate alleanze, per garantire che nessun attore singolo fosse in grado di minacciarne la sicurezza e la supremazia.

La tiepida adesione all’Ue degli inglesi

Dal 1973 era divenuto parte del progetto di integrazione europea, ma un’unione politica completa non venne mai realizzata e il Regno Unito si tenne lontano dai cruciali progetti sovranazionali come l’euro, l’area Schengen e la politica estera e di sicurezza comune. Lo fece per due motivi fondamentali: primo, poiché il coinvolgimento sarebbe stato incompatibile con quell’indipendenza così duramente perseguita e conquistata; secondo, perché il governo britannico credeva giustamente che quei progetti federali, per funzionare, richiedessero una vera unione politica. Non era, tuttavia, di principio contraria a un tale accordo sul continente.

Margaret Thatcher

Nondimeno, esattamente trent’anni fa, in un momento cardine della storia europea, quando le basi del comunismo sovietico si stavano spezzando – l’Ungheria aveva abbattuto il filo spinato al suo confine consentendo ai tedeschi dell’est di fuggire verso ovest – Margaret Thatcher si rivolse al Cremlino per un colloquio col segretario del PCUS Mikhail Gorbachev. Ella aveva passato una vita a combattere il comunismo insieme con il grande amico presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, denunciando il muro di Berlino come una vergognosa barriera alla libertà. Eppure, la lady di ferro stava riconsiderando il tema dell’unificazione della Germania, che avrebbe portato a pesanti mutamenti nei confini del dopoguerra e avrebbe minato la stabilità dell’intera situazione internazionale. E poi: i tedeschi erano davvero cambiati? L’espansionismo aggressivo non faceva parte del carattere nazionale? Suggerì dunque al leader sovietico di opporsi alla riunificazione tedesca, che avrebbe inoltre destabilizzato l’Europa orientale e messo a repentaglio il piano di riforme interno all’URSS.

Altri in Europa condividevano le sue paure. Quando incontrò, poco dopo, il presidente francese François Mitterrand, si parlò di una nuova intesa cordiale per contenere il potere tedesco; ma Mitterrand era convinto che ormai il vaso di pandora era stato scoperchiato e la cosa migliore da fare fosse tentare di arginare la Germania unita in un’Europa più integrata, attraverso la creazione di una moneta unica. Sappiamo tutti com’è andata a finire: la riunificazione segnò davvero il ritorno della questione tedesca – nel senso che la preponderante potenza economica della Germania, accompagnata a pesanti carenze sul piano politico, fu ancora una volta un fatto inevitabile.

L’Ue aprirà a nuove riforme?

La speranza che lo shock della Brexit provochi profonde riforme nell’Unione Europea si basa però su un malinteso circa la natura dei governi nazionali rappresentati nel Consiglio Europeo e la rigidità della burocrazia di Bruxelles. In questo contesto, la grande questione geopolitica consisterà nel vedere se il Regno Unito e l’UE, soggetta all’egemonia tedesca, si separeranno “amichevolmente” o se invece diventeranno acerrimi nemici. La bilancia pende molto più a favore di Londra di quanto si possa immaginare: è vero che il Regno Unito è una potenza economica minore rispetto alla zona euro e al resto dell’UE e che deve affrontare gravi minacce alla sua integrità provenienti dalla Scozia e, in una certa misura, dall’Irlanda del Nord; ma detto questo, con un governo stabile e coeso ed una storica attitudine alla resistenza, si troverà ad affrontare una coalizione di Stati fatalmente divisa per tante ragioni.

Nessun guerra commerciale

La Gran Bretagna potrebbe dipendere più dal mercato unico che non viceversa, ma molti settori, come l’industria automobilistica tedesca, sarebbero gravemente lesi da una guerra commerciale; i governi dell’Europa orientale, che guardano alla Gran Bretagna come un baluardo contro la Russia, vorranno seppellire rapidamente l’ascia di guerra; la Spagna difficilmente abbraccerà la causa scozzese, per non creare un precedente con la Catalogna. Nessuno di questi Stati, dunque, vorrebbe percorrere la strada della vendetta e della chiusura contro Londra. E ancor meno dovrebbe desiderarlo l’Italia, che a dispetto della miseria politica in cui è cacciata da ormai un ventennio, avrebbe le carte in regola per colmare il vuoto ed agire da mediatore tra il rinsaldato blocco anglo-sassone, potenza del mare, e quello delle potenze di terra euro-asiatiche.

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Gabriele Sabetta

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