Quando si parla di Pink Floyd si entra in contatto con fenomeni con i quali la musica assume il ruolo di amplificatore culturale. Psichedelia, altre dimensioni esistenziali e sensoriali, caduta del muro, disagio sociale, ecologia, rischio atomico, disintegrazione degli individui appoggiata ed incrementata dall’ideologia consumistica. Non solo musica, per l’appunto. Tutti lati di un medesimo prisma, punti cardinali di un immaginario, ormai collettivo. I Pink Floyd sono destinati ad uscire dalla dimensione privata per entrare in quella pubblica della società, della politica e del jet set. Il 1987 è l’anno di svolta per la produzione dei Pink Floyd. Inizia, musicalmente, con A Momentary Lapse of Reason, l’album che segna la ripartenza del gruppo dopo l’abbandono burrascoso di Roger Waters. Un album il cui bersaglio risiede nelle classifiche, la cui scalata è rafforzata da un tour di quasi due anni. Quella data si rivela, al contrario, magica per via di un nuovo assalto alle classifiche da parte del pubblico. Il 1987 un annus mirabilis suggellato dall’affermarsi nella dimensione live, vera cinghia di trasmissione con cui la band ha deciso di rischiare nel post (inteso come “postrock” e “postWaters”), per imprimere la propria immagine nell’antologia della storia del rock, spesso con un’enfasi pirotecnica senza precedenti. Pink Floyd, appunto, oltre la musica, un monumento onirico, scandalo del sensibile, una pietra miliare.