L’analisi (di G. Del Ninno). Da Malgieri a Veneziani, la crisi di governo vista da destra

Lottare per l’egemonia delle idee

In queste ore, si sprecano retroscena, illazioni, ipotesi sull’esito della crisi di governo, apertasi in senato con le dimissioni del premier Conte e il duro j’accuse al suo vice e ministro dell’Interno Salvini. Qui vorremmo soffermarci sulle diverse posizioni assunte in proposito da due illustri commentatori “di destra”, Marcello Veneziani e Gennaro Malgieri, rispettivamente su “La Verità” e sulla testata on line “Formiche”.

 

Veneziani si schiera apertamente, anche se non senza riserve, con il ministro Salvini e la sua Lega, ritenendo che, per il mondo al quale appartiene, non vi siano, al momento, soddisfacenti alternative, ma soprattutto ribadendo che la costante crescita di consensi di quel partito dimostra che esso è, più di altri, in grado di rispondere alle esigenze della maggioranza dell’elettorato (al netto della sempre cospicua quota di astensionisti). Va sottolineato peraltro che Veneziani sosteneva Salvini ben prima dello show down al Senato e che non è abitudine dei pensatori metapolitici azzardare nomi e cognomi di persone e di partiti, a sostegno delle loro idee ed elaborazioni teoriche; ragion per cui, chapeau!

 

Malgieri parte invece da lontano, ribadendo le sue critiche, formulate fin dall’inizio,al governo giallo-verde. La sua retrospettiva e’ in parte condivisibile, ma presenta, a mio avviso, non poche lacune. Ad esempio, non dice, Malgieri, quale sarebbe stata l’alternativa auspicabile e praticabile, data la legge elettorale in vigore. Coalizione M5S-PD? Centrodestra con Forza Italia, ormai dai tempi del Nazareno autentico cavallo di Troia dell’establishment franco-tedesco e sempre pronta a giri di valzer con il PD? Nuove elezioni “modello Spagna”, aborrite dal Presidente Mattarella?

 

Quel governo non aveva alternative, anche alla luce dell’exploit elettorale dei grillini; del resto, la storia della Repubblica annovera non pochi esecutivi basati su coalizioni fra partiti provenienti da famiglie ideologiche differenti, quando non in conflitto fra loro: clericali e laicisti, socialisti e liberali, neutralisti e sostenitori del Patto Atlantico. Per tacere della pseudo alleanza fra la Lega di Bossi e il MSI-An di Fini. E allora? Con tutte le sue anomalie iniziali – poi deflagrate in seguito – il contratto Di Maio-Salvini rappresentava un doveroso tentativo di “nuove sintesi”, mettendo insieme il meglio dei rispettivi programmi dei contraenti.

 

Poi, si sa, le idee camminano con le gambe degli uomini e in mezzo alla selva delle congiunture storiche, e gli uomini sono tentati dalle sirene del potere; per di più, di fronte alle difficoltà c’e’ chi si esalta e chi perde la bussola. Non è questa la sede per stilare un consuntivo dell’operato del governo; tuttavia, in almeno due o tre campi si può parlare di risultati positivi, pur se bisognosi di adeguato seguito: la notevole riduzione dell’immigrazione illegale, con la conseguente riproposizione sui tavoli europei della urgenza di rivedere i relativi trattati; la revisione della legge Fornero, l’avvio di una complessa riforma fiscale basata sulla riduzione della pressione.

 

Si tratta di provvedimenti che necessitano di integrazioni e conferme, beninteso, ma la verifica degli effetti non si poteva pretendere in pochi mesi di attività governativa. Va poi considerata la “resistenza” opposta ad alcune iniziative non tanto dal contraente pentastellato, quanto dalle componenti dell’esecutivo più o meno riferibili al Quirinale (Tria, Trenta, Moavero). E’ chiaro che la lotta alla tratta dei migranti richiede misure adottate di concerto da soggetti internazionali, dall’ONU all’Unione Europea all’Unione degli Stati Africani; e’ altrettanto chiaro che la materia delicata richiedeva e richiede la massima coesione e identità di vedute fra i contraenti del patto di governo, sia per quanto concerne lo stanziamento di risorse sia per l’atteggiamento da assumere nelle sedi internazionali; condizioni, tutte, mai verificatesi.

 

Malgieri fa poi un accenno alle istanze di una destra sociale, non riconoscendole sotto le bandiere leghiste; ma non vediamo come si possano ignorare i rapporti instaurati fra la Lega e l’Unione Generale del Lavoro guidata da Paolo Capone, che dell’identita’ culturale di quel Sindacato ha fatto una bandiera, orgoglioso delle sue radici – da Corridoni fino alla CISNAL di Roberti, Laghi e Nobilia – e in prima fila nel rivendicare istituti come la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Su questa linea, peraltro, esiste già una convergenza con l’altra importante formazione politica collocabile a destra, Fratelli d’Italia.

 

Certo, il lavoro da fare, sia in termini di elaborazione teorica che di tessitura di alleanze per le attuazioni pratiche e’ enorme ed estremamente difficoltoso, dovendo  svolgersi sotto il fuoco concentrico di tutti i soggetti contrari a questo che sarebbe l’autentico cambiamento invocato da tante parti. Tuttavia, sarebbe colpevole ignorare da un lato le sintonie esistenti con altre formazioni politiche europee, sul filo della critica costruttiva all’Unione; è altrettanto miope sarebbe disconoscere analogie o addirittura identità di vedute fra la Lega salviniana e, in genere, il mondo della destra, ad esempio nella difesa delle tradizioni patrie – anche religiose – e della famiglia, nonché su alcune scelte in materia di politica estera.

 

Riguardo alle criticità, anch’io sono perplesso di fronte ai progetti di autonomia prospettati da alcune regioni, e non solo per l’argomento “storico”, secondo il quale si conoscono unicamente processi di aggregazione in chiave federalista, ma non di disaggregazione. D’altro canto, una pericolosa deriva “separatista” esiste già e purtroppo riguarda il sud e le isole, di fatto in arretrato di fronte al nord del paese, per cause che tutti conosciamo e non è qui il caso di ricordare. Senza contare che delegare alle classi dirigenti locali poteri ancora più importanti di quelli già attribuiti in forza della sciagurata riforma del Titolo Quinto della Costituzione, esporrebbe ulteriormente al rischio di incapacità e corruzione del ceto politico locale, troppo spesso inadeguato, come si è visto con le tante vicende che in questi decenni hanno intasato le aule dei Tribunali.

 

In definitiva, l’analisi di Malgieri, se mi sembra impietosa nei confronti della Lega – che, non si dimentichi, in questo Parlamento pesa soltanto il 17 per cento – non si conclude con una proposta alternativa (nomi e cognomi, ripetiamo!). E intanto, si organizzano le forze alle quali ci dovremmo opporre tutti, Malgieri, Veneziani e il popolo di destra tutto, per regalarci un governo dei partiti sconfitti in tutte le ultime competizioni elettorali o, peggio ancora, un governo di tecnici obbedienti ai dettami dell’Unione Europea. Alain de Benoist, in un recente saggio, illustrava gli imprescindibili legami fra le nozioni di sovranità, popolo e identità culturale. Rimandiamo tutti a quella lettura.

 

 

 

 

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

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