L’analisi. Dal Rosario in piazza al Papeete, le (troppe) suggestioni di Matteo Salvini

Matteo Salvini con il crocifisso

Qual è il nesso che unisce l’ostentazione del Santo Rosario da parte di Matteo Salvini durante il comizio politico delle destre sovraniste europee a Milano e l’esibizionismo godereccio e scomposto di ministri e parlamentari della Lega al Papeete Beach di Milano Marittima?

Se è pur vero che il cattolicesimo rifugge il moralismo sia in termini di Magistero sia nella pratica (da sempre, visto che tra le principali finanziatrici della costruzione della basilica di San Pietro, ufficialmente registrate e gradite alla Chiesa, c’erano tutte le meretrici romane) è altrettanto vero che un minimo di corrispondenza tra il significato dei simboli religiosi e il comportamento quotidiano dei singoli, che quel repertorio ostentano, dovrebbe pur sussistere.

Salvo a ritenere che i deejay, i ballerini, le cubiste e le massaggiatrici del Papeete, e a questo punto anche ministri e parlamentari, quei simboli li confondano semplicisticamente con nuovi gadget da appendere al collo, al polso o alla caviglia credendo che si tratti di una nuova tendenza modale dell’era sovranista (se mai sia davvero iniziata).

E siccome anche oggi, come negli anni ’60 del secolo scorso, ci sono di mezzo dei viaggi in Russia, delle due l’una: o Matteo Salvini è l’erede spirituale e politico di Giorgio La Pira o “la Bestia” e il suo cerchio magico gli suggeriscono modestamente di ricorrere ad una comunicazione a tutto campo pur di pescare voti in ogni ambiente. Francamente, sarebbe una presunzione troppo grande per quelli del Papeete – che a ben guardare non sono la vera Lega e neppure qualcosa che abbia a che fare con la politica nel senso più autentico del termine – assumere come propria l’affermazione profonda e densa di significato che La Pira rivolse ai russi, “i veri materialisti siamo noi cristiani e non voi marxisti”, anche perché le implicazioni teologiche e sociologiche di tale dichiarazione non supererebbero l’altezza del lato “b” della Salome’ di turno.

Di conseguenza è molto più probabile che “la Bestia” e i vari riciclati e trasformisti che oramai affollano la schiera dei consiglieri di Matteo Salvini (quelli con la croce celtica al collo occupano ormai le ultime file … in piedi) gli abbiano consigliato la strada comunicativa del Melting Pot cultural-politico che, rispetto al tipico e originale minestrone del post ’68, mescoli, aggiungendoli per la prima volta, simboli e temi cari ad una ideologia di destra infarcita di simboli religiosi e identitari insieme a stili, modelli e comportamenti tipici del relativismo e soprattutto di quello a matrice consumista. Il limite ed il rischio di questa strategia comunicativa e ideologica è quello di rappresentare una delle tante facce camuffate del medesimo nichilismo che esprimono la sinistra e le correnti di pensiero globaliste e mondialiste. Insomma, se la strada del relativismo politico e filosofico viene intrapresa e mantenuta dalla sinistra, compreso il Movimento 5 Stelle, problemi non se ne pongono e non ce ne saranno mai perché il relativismo, con tutte le contraddizioni che comporta, fa parte del DNA di quella parte politica e delle sue fonti dottrinali e filosofiche.

Ma se il Melting Pot, neppure in versione originale, viene scelto come strategia propagandistica della Lega con la esposizione di simboli tradizionali e identitari non accompagnati da un supporto contenutistico reale e, soprattutto, di una classe dirigente consapevole delle bandiere che sventola, allora il risultato sarà l’incoerenza, la scarsa serietà e, infine, la non credibilità del messaggio perché il contraltare della sinistra non può essere e non sarà mai il relativismo bensì l’aristotelico principio di non contraddizione che tra l’ostentazione del Rosario e il modello Papeete non ha neppure un sottile “filo rosso o russo” che possa legarli.

*Consigliere comunale a Brindisi

Massimo Ciullo*

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