La polemica. Se il populismo di Salvini e della Meloni dimentica le ragioni dell’ambiente

Matteo Salvini sulla Lama monachile di Polignano, in Puglia
Matteo Salvini sulla Lama monachile di Polignano, in Puglia

La politica non è fatta per le anime belle. Non è un gioco di società basato sulla correttezza e sulla reciproca lealtà.

E se Salvini sceglie di rompere un’alleanza, sbagliando i tempi, non può aspettarsi un applauso da parte degli ex alleati scaricati per andare ad incassare i voti ipotizzati dai sondaggi.

È del tutto normale che chi è più penalizzato da questi stessi sondaggi cerchi di salvarsi, anche inventandosi un governo Pd-5Stelle che in Parlamento ha i voti sufficienti per andare avanti.

In nome del senso di responsabilità, ovviamente. Certo non per difendere le poltrone che verrebbero cancellate in caso di elezioni immediate.

Nel frattempo Salvini ha lanciato una campagna elettorale che rischia di essere troppo lunga e basata su temi perdenti. Perché, nonostante il pessimo livello dei Verdi italiani, i problemi dell’ambiente e dell’inquinamento sono sempre più sentiti dagli italiani. Non per effetto di Greta e gretini annessi, ma per la cattiva aria che si respira, per i tornado che imperversano, per il caldo atroce nelle città d’estate, per le vette alpine che si sgretolano, per le mareggiate che distruggono le spiagge.

Non è un problema di lupi ed orsi, che interessano una minoranza rumorosa e fastidiosa, ma è l’inquinamento che uccide i bambini a Taranto vicino all’Ilva o in Lucania vicino ai pozzi petroliferi. Ed allora non si può andare in giro per le spiagge a sostenere che pozzi inquinanti e fabbriche tossiche possano tranquillamente convivere con le popolazioni locali, in nome dei posti di lavoro da tutelare.

Perché, allora, bisogna aspettarsi un ulteriore aumento dei morti sul lavoro in nome dell’aumento della produzione come priorità assoluta. Dello sfruttamento come base indispensabile per la crescita delle imprese.

Al di là della totale inaccettabilità di simili posizioni, pare davvero una impostazione che punti alla sconfitta elettorale. Quanti sono gli imprenditori che avvelenano e sfruttano e quanti sono i lavoratori sfruttati?

Forse, allora, ha ragione Gabriele Adinolfi quando sostiene che in Italia non possono esistere governi centrali liberi ed indipendenti. Tutti al servizio di poteri forti internazionali, con interessi in totale contrasto rispetto a quelli popolari. Mentre un cambiamento, secondo Adinolfi, può esistere solo operando a livello locale, regionale. Incidendo sul territorio e lavorando sulle persone. Purché si abbia la capacità e l’onestà intellettuale per provarci. (da Electomag)

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Augusto Grandi

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