Focus. La salvaguardia dell’ambiente come priorità politica: da Drieu a Sermonti e Langer

Ecologia profonda
Ecologia profonda

Tutte le più autorevoli fonti ecologiche sono concordi nel sostenere che il nostro modello di sviluppo è in rotta di collisione con la biosfera, che siamo assai prossimi al punto di non ritorno, che “vi è in ogni caso un limite assoluto, perentorio ed invalicabile, quello della sostenibilità dell’ecosfera.” (1). Ne consegue che “porsi quindi come obiettivo la realizzazione di una società sostenibile significa non soltanto astenersi dal commettere ulteriori crimini contro la vivibilità della Terra, ma anche sforzarsi con ogni mezzo di rimediare al male già fatto. Altro è non rubare più e altro è restituire il mal tolto. Altro è non sporcare oltre, altro è ripulire.” (2). Di fronte a questa sfida epocale, che farebbe tremare le vene e i polsi di qualunque politico, di fronte ai provvedimenti impopolari, duri, a volte dolorosi, che bisognerebbe adottare per salvare il pianeta e che certamente stravolgerebbero abitudini acquisite e urterebbero interessi consolidati di gruppi economico-finanziari, si pone una domanda: la democrazia è una forma adeguata per raccogliere il guanto della sfida? In altre parole, una società sostenibile è perseguibile da una democrazia? Non si tratta affatto d’una domanda peregrina. In un suo lucido articolo Giorgio Nebbia enuclea i termini della questione. Premesso che “solo il raggiungimento di uno stato stazionario di popolazione e di consumi materiali può assicurare quello sviluppo sostenibile di cui tanto si parla e che presuppone dei profondi cambiamenti nei rapporti fra i popoli, nei rapporti fra gli esseri umani all’interno di ciascun Paese e nei rapporti fra gli esseri umani e gli oggetti materiali”, lo studioso si chiede: “uno stato stazionario dei consumi e della popolazione può essere raggiunto con decisioni democratiche o presuppone un governo autoritario, eventualmente un governo autoritario mondiale? Ed ancora: questa profonda rivoluzione è possibile in una società di libero mercato, basata, per definizione, sull’aumento della ricchezza monetaria, cioè sulla produzione e sul consumo di quantità sempre crescenti di merci, e quindi sulla crescente produzione di scorie e rifiuti, sul crescente sfruttamento delle risorse naturali, e, infine, anche sul crescente sfruttamento di alcuni Paesi da parte di altri?” (3). La risposta, lo riconosce onestamente lo stesso Nebbia, che è un ambientalista di “sinistra”, non è facile. Al pari dei Meadows, ricercatori del Massachusetts Institut of Tecnology ed autori di un famoso rapporto sui limiti  dello sviluppo (4), anche Nebbia si dice convinto che “il profondo cambiamento imposto dall’attuale situazione richiede una maggiore quantità di democrazia” ed “una profonda e continua azione educativa” (5). La risposta, come si può notare, fa appello piuttosto alla fede nella  democrazia che a quanto accade per lo più. Non dissimile è la risposta di Alex Langer che scrive: “di fronte ai vicoli ciechi nei quali ci troviamo, può succedere che qualcuno tenti estreme vie d’uscita. Anche tra ecologisti” (6). Infatti, “visto che l’umanità ha abusato della sua libertà, mettendo a repentaglio la propria sopravvivenza e quella dell’ambiente, qualcuno potrebbe auspicare una sorta di tutela esperta ed eticamente salda ed invocare la dittatura ecologica contro l’anarchia dei comportamenti anti-ambientali.” (7). Sennonché, “si dovrà cercare altrove la chiave per una politica ecologica, ed inevitabilmente ci si dovrà sottoporre alla fatica dell’intreccio assai complicato tra aspetti e misure sociali, culturali, economici, legislativi, amministrativi, scientifici ed ambientali. Non esiste il colpo grosso, l’atto liberatorio tutto d’un pezzo che possa aprire la via verso la conversione ecologica, i passi dovranno essere molti, il lavoro di persuasione da compiere enorme e paziente.” (8). Anche questa risposta non è pienamente soddisfacente. Certamente, l’azione educativa sulle masse e l’opera di persuasione sono fondamentali per poter cambiare abitudini e revisionare il tipo di economia. E’ parimenti necessario “condurre una lotta paziente, secolare, discreta contro la follia materialista” (9). Ma questa lotta richiede tempo e il tempo stringe. Se poi guardiamo alla stretta relazione che c’è tra democrazia ed economia di mercato, i nostri timori si tramutano in un vero e proprio senso d’angoscia. Prendiamo il caso esemplare del petrolio. Scrive Giovanni Sartori: “Oggi come oggi il petrolio fornisce il 70% dell’energia usata nei trasporti. Domanda: benzina e diesel derivati dal petrolio sono sostituibili? La risposta è: in non piccola misura , sì. Sono sostituibili con l’etanolo ed equivalenti ricavati da piante zuccherine (anche barbabietola, girasole, mais); prodotti che hanno l’ulteriore pregio di essere <<puliti>>. Però a tutt’oggi il solo Paese che produce olio combustibile e benzina da vegetali è il Brasile. Altrove niente. Niente perché il mercato decreta così (…). Il guaio è che il mercato <<vede corto>>, che non ha progettualità. Il che lo rende inidoneo, e controproducente, nel fronteggiare il futuro. Il mercato ha anche altri limiti. (…) Perché il mercato non calcola e non sa calcolare il danno ecologico. Se abbatto alberi, il mercato contabilizza soltanto il costo di tagliarli, non il danno prodotto dall’abbattimento delle foreste.” (10). Dunque, la domanda ritorna insistente: democrazia e tutela dell’ambiente sono conciliabili? Possono i rappresentanti eletti dalla maggioranza della popolazione e i governi prendere misure che dispiacciono alla maggioranza? O per dirla con la disarmante semplicità del poeta ecologista Gary Snyder: 

“Come possono gli scienziati e i politici-teste-dure-affamate di potere  parlare per il verde della foglia? Parlare per il suolo?” (11)

Se prendere coscienza del problema è il primo passo sulla via della salvezza, il secondo passo è quello di incidere sulla realtà, di attuare il mutamento dei costumi. E qui viene in rilievo la critica alla democrazia rappresentativa. Scrive a questo proposito Sermonti: “posto che la maggioranza è composta di sprovveduti (quanto meno, dovrebbe essere nota ai cristiani l’opinione espressa da Gesù sulla via che conduce alla vita e sull’esiguo numero di quelli che la trovano), come tali facilmente manipolabili da qualsiasi truffatore sociale che ne abbia i noti mezzi, attribuire ai rappresentanti di quella maggioranza il taumaturgico potere di elevare il popolo a una più alta consapevolezza non è serio.” (12). E, rivolgendosi agli ecologisti “democratici”, il pensatore ecologista prosegue: “O non pensano piuttosto che i cinici plutocrati, nell’esercizio della loro democratica libertà di propagandare il progresso, la comodità, il lusso, lo spreco e di incrementare le aspirazioni idiote, avranno facilmente la meglio e democraticamente la meglio su chi predica austerità e rinunzie per il bene delle generazioni future? Credono forse quegli illustri competenti che il coincidere storico degli sviluppi della democrazia con quelli della devastazione della Terra sia stata una casuale coincidenza?” (13) Prendiamo un caso concreto che ormai può fare scuola e lasciamo la parola all’ecologista Paolo Colli: “Alcuni anni fa il tentativo di introdurre in Italia il vuoto a rendere per i contenitori primari per birra – su cui erano d’accordo gli stessi produttori di birra – già approvato dalla Commissione Ambiente della Camera, fu “stoppato” per le barricate subito alzate dalle lobbies della grande distribuzione e della plastica che con le loro pressioni sui parlamentari di tutti gli schieramenti fecero naufragare l’iniziativa al Senato.” (14) Commentava amaramente Colli: “L’intesa è stata larga e trasversale: tutti (o quasi) d’accordo contro l’ambiente. Così quello che era e resta un nostro punto fermo, cioè l’introduzione del vuoto a rendere. per combattere l’invasione dei rifiuti da imballaggio, è rimasto lettera morta tra la Commissione Ambiente del Senato, che ha cancellato tutti gli articoli del ddl che trattavano il vuoto a rendere, e il Parlamento, che ha confermato tale miope scelta.” (15). Casi del genere sono all’ordine del giorno nelle cronache parlamentari. Né i parlamentari e i governi democraticamente eletti sono in grado di risolvere i conflitti drammatici tra sviluppo e sostenibilità, tra esigenze dei molti e interessi dei pochi, tra economia ed ecologia. Il caso dell’ILVA di Taranto è emblematico: da un lato c’è una popolazione disperata e stanca che subisce l’inquinamento degli alti forni e paga sulla propria pelle questa dissennata scelta industriale fatta negli ’60 del Novecento con un crescente numero di tumori; dall’altro ci sono alcune migliaia di posti di lavoro che rischiano d’essere persi se lo stabilimento chiudesse. Si tratta di  un vero e proprio ricatto occupazionale:  salute contro lavoro. Scrive Angelo Bonelli: “Le proporzioni del dramma sanitario e ambientale nel capoluogo ionico, a partire dai primi anni ‘90, erano evidenti sia alla popolazione che ai medici che constatavano un aumento di malattie da mesotelioma, leucemie, patologie tumorali e malattie della tiroide. Nonostante vi fossero segnali preoccupanti dal punto di vista sanitario, collegati alla grave situazione di inquinamento ambientale, le istituzioni si dimostravano immobili e latitanti” (16).

Egualmente emblematici per l’incapacità della politica di provvedere al bene comune, o peggio, per la subordinazione dei governi rappresentativi alle multinazionali del petrolio, sono i casi delle trivellazioni in Val d’Agri (17) o in zone di mare, che finiscono per danneggiare, con le loro attività estrattive, agricoltura, pesca e turismo oltre alla salute delle popolazioni residenti. Di fronte a questo stato di cose non può sorprendere che ci siano filosofi, assai diversi tra loro per temperamento e visioni del mondo, come Hans Jonas o Rudolf Bahro che, constatando l’incapacità dell’attuale democrazia di tutelare efficacemente la natura vivente e garantire la stessa sopravvivenza della specie umana, invocano un “principe verde”. Per Jonas non c’è dubbio che “la democrazia (nella quale hanno necessariamente la preminenza gli interessi contingenti) è, perlomeno temporaneamente, inadeguata” (18). Pertanto, richiamandosi a Platone afferma: “Ciò ripropone in tutta la sua radicalità l’antica questione del potere dei saggi o della forza delle idee nel corpo politico, qualora queste non siano alleate con l’egoismo.” (19). Ne consegue che, di fronte alla possibilità di una catastrofe ecologica, “soltanto un massimo di disciplina sociale politicamente imposta è in grado di realizzare la subordinazione del vantaggio presente alle esigenze a lunga scadenza del futuro” (20) e che “la nostra scelta ponderata deve orientarsi oggi, sia pure controvoglia, tra forme diverse di <<tirannide>>” (21).

La parola d’ordine dell’austerità, dell’autarchia, della decrescita felice non trova certamente porte aperte nella nostra società. E la nuova morale per la civiltà tecnologica auspicata da Jonas non potrà che essere “volontaria, se possibile, ottenuta con la forza, se necessario” (22). Non dissimile è la posizione di Bahro, qualificata come eco-fascismo, secondo cui soltanto un “principe verde”, inteso come un’élite spirituale, come un’oligarchia ecologicamente educata, potrebbe risolvere la crisi ecologica. “Ciò che più importa” è che la gente “intraprenda la via del <<ritorno>> e si allinei al Grande Equilibrio, nell’armonia tra l’ordine umano e il Tao della vita. (…) Chiunque non cooperi con il governo del mondo raccoglierà ciò che semina” (23). Contro queste visioni fondatamente pessimiste l’unica fragile e verace speranza sembra risiedere nella democrazia diretta, nel fatto che le minoranze ecologicamente educate possano orientare la massa della popolazione. Come scrive il filosofo Giuseppe Rensi, “il sistema parlamentare merita la maggior parte delle critiche che gli vengono mosse; e ciò non perché conceda troppo larga parte alla volontà popolare nel governo dello Stato; ma perché gliene concede troppo poca e in modo falso e imperfetto.” (24). Dal momento che nelle elezioni mille circostanze, sotto forma di pressioni e di corruzione, impediscono o deviano la manifestazione della volontà popolare, non resta che affidarsi agli istituti di democrazia diretta, primo fra tutti al referendum sia abrogativo che propositivo: “la democrazia diretta impedisce che il predominio economico si converta in predominio politico o, almeno, impedisce che il predominio politico della classe prevalente economicamente divenga esteso, continuato efficace, serio.” (25). Dello stesso avviso è il filosofo Alain, secondo cui è inutile cercare la democrazia nei rappresentanti che costituiscono sempre un’oligarchia, essa va cercata unicamente nel potere di controllo dei governati: “la democrazia sarebbe dunque uno sforzo continuo dei governati contro gli abusi di potere.” (26) Purtroppo le cose non sono così semplici. Se è vero che, come scrive Gaetano Mosca, “qualunque sia il tipo di organizzazione sociale, la pressione proveniente dal malcontento della massa dei governati, le passioni da cui essa è agitata possono talvolta esercitare una certa influenza sull’indirizzo della classe politica” (27), è anche vero che le pressioni dal basso sono frutto delle contingenze storiche e del grado di consapevolezza di volta in volta raggiunto. Se osserviamo l’esito dei referendum in materia ambientale svoltisi in Italia (peraltro limitati dalla Costituzione alla forma abrogativa), constatiamo che salvo quello dell’8 novembre 1987 sul nucleare, che ebbe esito positivo, anche grazie probabilmente alla grande paura ingenerata nella pubblica opinione dall’esplosione del reattore nella centrale nucleare di Chernobyl avvenuta nel 1986 (28), tutti gli altri, malgrado la prevalenza dei favorevoli all’abrogazione, non furono considerati validi per il mancato raggiungimento del quorum. Ci riferiamo a quello del 3 giugno 1990 sulla caccia e sull’uso dei pesticidi in agricoltura e a quello del 17 aprile 2016 contro le trivellazioni in mare per estrarre idrocarburi. Disinteresse? Disinformazione? Ci sarebbe da dare ragione al filosofo Ugo Spirito che nella sua critica della democrazia scrive che “una volta staccato il concetto di sovranità da quello di capacità, l’esercizio della sovranità doveva essere necessariamente concepito come puro arbitrio” (29), con la conseguenza che “scegliere può anche chi non ha alcuna competenza e alcuna coscienza delle conseguenze della propria scelta” (30), dando, attraverso il voto, giudizi poco o nient’affatto fondati (30). La crisi ecologica resta, in definitiva, per la democrazia un banco di prova, tale da metterne in discussione la validità, almeno nella forma rappresentativa. La crisi ecologica nulla ha a che fare con le vecchie e ormai logore categorie di destra e sinistra, né con le ridicole e anacronistiche contrapposizioni tra fascismo e antifascismo. Come profeticamente scriveva Drieu: “dietro a tutte queste piccole questioni politiche o sociali che cadono nella desuetudine, si vede apparire un grande interrogativo sui fondamenti di tutto, dei nostri costumi, del nostro spirito, e infine della nostra civilizzazione.” (32).

  1. Rutilio Sermonti, L’uomo, l’ambiente e se stesso, Settimo sigillo, 1992, p. 164,
  2. Ibidem;
  3. Giorgio Nebbia, Aiutiamola a crescere bene, in Gazzetta del Mezzogiorno, 6 dicembre 1992; 
  4. pubblicato per iniziativa di Aurelio Peccei dal Club di Roma nel 1972, poi aggiornato nel 1992 e nel 2006;
  5. Giorgio Nebbia, ibidem;
  6. Alex Langer, Più lenti più dolci più profondi, supplemento a Notizie Verdi n. 17 del 31/10/1998;
  7. Ibidem;
  8. Ibidem;
  9. Pierre Drieu La Rochelle, Misura della Francia, Idrovolante, 2017, p.122;
  10. (10) Giovanni Sartori, Il mercato non ci salverà, in Corriere della sera, 3 settembre 2005;
  11. Gary Snyder, L’isola della tartaruga, Stampa alternativa, 2004, p. 103;
  12. Rutilio Sermonti, op. cit., p. 133;
  13. Rutilio Sermonti, op. cit., p. 174;
  14. Paolo Colli, Troppi nemici zero resa, in Gaia, autunno 2004;
  15. Paolo Colli, Vuoto a rendere: larghe intese contro l’ambiente, in x Fare + Verde, settembre/ottobre 1998; per la cronaca, il fronte dei senatori contrari al vuoto a rendere era compatto e affatto trasversale: da Forza Italia e Alleanza nazionale al Partito Popolare Italiano e ai Democratici di Sinistra, con l’eccezione del senatore dei Verdi Bortolotto e di due altri senatori, uno dei DS e l’altro della Sudtiroler;
  16. Angelo Bonelli, Goodmorning diossina, citato in Il caso ILVA di Taranto: un riassunto della vicenda di Laura Melissari sul sito TPI NEWS 6 settembre 2018; scrive la giornalista: “Le gravi violazioni in termini di inquinamento erano note da anni, ma solo nel 2012 la magistratura intervenne per sequestrare le aree. Quello provocato dall’Ilva di Taranto è uno dei più gravi disastri sanitari e ambientali della storia italiana ed europea. Nel 2010, secondo le perizie del tribunale e le dichiarazioni dell’Ilva, sono state immesse nell’ambiente circostante 4.159 tonnellate di polveri, 11 mila di diossido d’azoto e anidride solforosa. A Taranto, secondo i dati del registro Ines, negli ultimi anni, è stata immessa in atmosfera il 93 per cento di tutta la diossina prodotta in Italia insieme al 67 per cento del piombo”;
  17. Cfr. Sandro Marano, Una storia di mala economia, in x Fare + Verde n. 78 inverno 2015; 
  18. Hans Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi, 1993, p. 192;
  19. Ibidem, p. 30;
  20. Ibidem, p. 182;
  21. Ibidem, p. 192;
  22. Ibidem, p. 7;
  23. Rudolf Bahro, citato in Ecologia e modernizzazione del fascismo nell’ultra-destra tedesca di Janet Biehl;
  24. Giuseppe Rensi, La democrazia diretta, Adelphi, 1995, p. 106;
  25. Ibidem, p. 189-190;
  26. Alain, Cento e un ragionamenti, Einaudi, 1975, p. 157;
  27. Gaetano Mosca, citato in Giuseppe Rensi, La democrazia diretta, Adelphi, 1995, p. 28;
  28. analogo esito ebbe il referendum del 2 giugno 2011 contro il tentativo di reintrodurre il nucleare in Italia;
  29. Ugo Spirito, Ideali che tramontano e ideali che sorgono, in Tramonto o eclissi dei valori tradizionali?, Rusconi, 1971, p. 26;
  30. Ibidem;
  31. Per Ugo Spirito il moderno concetto di democrazia “è legato a una concezione politica il cui presupposto è la metafisica dell’io, che si viene svolgendo dall’Umanesimo in poi.”  Tale concezione si traduce nell’individualismo, vale a dire nell’uno vale uno, nel fatto che “l’uomo ha valore in quanto uomo, indipendentemente dalle sue capacità”. E’ qui l’assurdo della democrazia, nel fatto che surrettiziamente si immaginano tutti gli uomini egualmente competenti, dando loro un eguale potere di scelta. Aggiungiamo che la democrazia non solo non si accontenta dell’uomo come è, ma presuppone e pretende che tutti gli uomini siano insensibili al denaro, ai favori, al proprio tornaconto. Contiene senza dubbio elementi di verità la definizione di Georges Sorel, secondo cui “la democrazia è il paese della cuccagna dei finanzieri senza scrupoli”. Come pure la sintetica definizione della democrazia rappresentativa come “urne e voto di scambio” Tali considerazioni ci spingono a dare ragione alla scuola sociologica italiana (Pareto, Mosca, Michels), che sosteneva l’impossibilità della democrazia e che è sempre esistita  una sola forma di governo: l’oligarchia. Per la verità, Ugo Spirito trova una soluzione, al di fuori della democrazia rappresentativa fondata sui partiti, in quella che potremmo chiamare democrazia corporativa o partecipativa, che muove dal principio “della diseguaglianza di tutti e del potere di ognuno in funzione della propria personalità. Si tratta allora di concepire il potere in modo che ognuno lo eserciti effettivamente attraverso un istituto che determini il suo posto nell’organismo sociale”. E’, a ben vedere, una ripresa del corporativismo fascista dal basso anziché dall’alto.
  32. Pierre Drieu La Rochelle, op. cit., p. 109.

Sandro Marano

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