Focus Cinema. “Il corriere-The Mule” di Eastwood: nuova versione di un eroe reazionario

Clint Eastwood
Clint Eastwood

In Italia il film Il corriere-The Mule ha incassato nelle prime 9 settimane di programmazione 6.4 milioni di euro e 2.2 milioni di euro nel primo weekend. La pellicola ha incassato, in un analogo periodo, 103.804.400 dollari nel Nord America e 65.100.000  nel resto del mondo, per un totale di 168.904.400 dollari. Un grande successo di critica e di botteghino. Diretto, co-prodotto, diretto, interpretato da Clint Eastwood, sceneggiatura di Nick Schenk (lo stesso di Gran Torino). Altri attori principali  sono Bradley Cooper: l’agente DEA Colin Bates, Michael Peña: l’agente DEA Trevino, Dianne Wiest: Mary Stone (la moglie), Andy García: Latón (il boss del cartello), Alison Eastwood (figlia di Clint e di Earl): Iris Stone. Le riprese del film sono cominciate il 4 giugno 2018 presso Atlanta in Georgia. Varie scene sono state girate a Las Cruces nel New Mexico. È stato distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi il 14 dicembre 2018, mentre in Italia a partire dal 7 febbraio 2019.

La trama

La trama di “The Mule” è basata sulla vita reale d’un veterano della seconda guerra mondiale, Leo Sharp, ossessionato unicamente dai suoi fiori, gigli meravigliosi, che ha trasportato droga fino alla frontiera di Sinaloa ed è stato arrestato nel 2011 all’età di 87 anni. La vicenda di Sharp è stata poi raccontata in un articolo di Sam Dolnick, pubblicato sul New York Times Magazine, ‘The Sinaloa Cartel’s 90-Year-Old Drug Mule’:

2005, Peoria, Illinois. Earl Stone è un quasi ottantenne reduce della guerra di Corea che lavora come floricultore. Ha la passione per la guida e possiede un vecchio e malandato pick-up Ford F-100, con il quale ha girato 41 Stati su 50 per la vendita dei suoi fiori, senza mai prendere una contravvenzione. Ha una ex moglie, Mary, con cui è stato sposato per dieci anni, ma dalla quale poi ha divorziato, a causa dell’eccessiva importanza ch’egli dava al suo lavoro… Il giorno del matrimonio della figlia Iris, l’uomo non si presenta, in quanto impegnato in una convention di presentazione e vendita floreale (ed adeguata sosta al bar). Quando finalmente si ricorda del matrimonio, Earl non si fa vivo, per non fare l’ennesima brutta figura. 

2017. Earl è ormai novantenne. La sua attività di floricultore è in fallimento, la casa gli viene pignorata. A quel punto, Earl va al brunch della nipote Ginny, l’unica familiare con la quale ha mantenuto un rapporto discreto, in procinto di sposarsi con Mike. Quando arriva, Iris se ne va, non vuole stare dove c’è il padre. Mary vede il pick-up e capisce che l’attività di Earl è stata chiusa, incolpandolo di essere venuto lì solo perché non sapeva dove andare. Earl decide di allontanarsi, sotto gli occhi di Mike e di tutti gli invitati. Un amico di Mike, Richard (Rico), raggiunge Stone, esperto e prudente guidatore. Richard dà a Stone l’indirizzo di alcuni suoi amici, che sono in cerca di un corriere che trasporti la loro merce, proponendogli di candidarsi per tale impiego, apparentemente facile. La sua unica mansione consisterà nella guida della sua auto. Earl, a causa della sua situazione economica in crisi,  necessita di un lavoro e contatta gli amici di Richard. Quindi si reca a El Paso, Texas, vicino alla frontiera col Messico, come gli è stato indicato, ad un garage vicino ad un distributore di benzina. Nota l’atteggiamento di tali amici chicanos: armati e diffidenti. Earl non deve guardare la merce, solo trasportarla. Guiderà l’auto fino a destinazione, presso Chicago, e si metterà nel parcheggio di un motel. Dovrà tenere con sé un cellulare, appositamente consegnatogli. L’acquirente delle merce gli manderà un messaggio e ritirerà la merce, mentre lui si assenterà per un’ora… Questi lascerà in una busta, nel vano portaoggetti, una busta con la ricompensa. Earl accetta senza fare domande. Poi vorrebbe smettere, ma la storia invece continua, come i viaggi. Stone scopre il motivo del perchè sia stato scelto… la sua avanzata età lo mette, di fatto, al riparo da possibili sospetti. L’attività di corriere della droga gli frutterà una buona quantità di denaro, ch’egli utilizzerà per recuperare la vecchia e malandata casa dalla banca ed essenzialmente a scopi benefici: il matrimonio della nipote e la sovvenzione al centro per veterani che rischia di chiudere. Allo stesso tempo, però, sancirà una debacle etica, l’abdicazione di princìpi che regolavano la sua vita. Earl sa che prima o poi  dovrà pagare le conseguenze del suo ‘giorno da leone’. (cfr.https://www.mymovies.it/film/2018/il-corriere).

Clint Eastwood aveva messo in scena la propria fine in Gran Torino, nel 2008, l’ultima volta che era stato sia dietro che davanti la macchina da presa, nel ruolo di Walt Kowalski, vecchio patriota, legato alla produzione nazionale, misantropo irascibile, veterano della Guerra di Corea. Ma, dieci anni dopo, l’autore che beneficia dell’eterna ‘proroga degli dei’ della Settima Arte, riprende la strada in un road trip testamentario integrativo, a bordo di uno scassato, arrugginito pick-up Ford F-100 degli anni Settanta…

 

‘In Gran Torino (iconica muscle car di Detroit) Walt Kowalski, operaio in pensione di origine polacca e cattolica,  ha perso la moglie e la presenza dei figli con le relative famiglie al funerale non gli è di alcun conforto. Così come non gli è gradita l’insistenza con cui il giovane parroco cerca di convincerlo a confessarsi. Walt è un veterano della guerra in Corea – sul portico della sua casa è sempre issata la bandiera a stelle e strisce – e non sopporta di avere, nell’abitazione a fianco, una famiglia di asiatici Hmong, dimenticata  etnia cinese che  la CIA utilizzò  nella guerra del Vietnam. Walt è brutale, in maniera così rozza che nessuno fa quasi più caso alle sue offese di stampo razzista. È come se, ormai assai anziano, il mondo attorno a lui gli facesse percepire la sua inutilità ed invisibilità anche da quel punto di vista. Le uniche sue passioni, oltre alla birra, sono il suo cane ed un’auto Ford Gran Torino, che viene sottoposta a minuziosa manutenzione. La sua vita cambia il giorno in cui il giovane vicino Thao, obbligato dalla gang del cugino Spider, si introduce nel suo garage per rubare l’auto. Walt lo fa fuggire, ma di lì a poco tempo assisterà alla violenta irruzione dei membri della banda. In quell’occasione egli sottrarrà Thao alla violenza del branco, ottenendo la riconoscenza della sua famiglia. Kowalski venne visto da alcuni critici come una sintesi dei personaggi interpretati nella lunga carriera di Clint. Eastwood non è, tuttavia, un regista che assembla ruoli per autoesaltazione. Il ‘polacco’ Walt è un personaggio più complesso di quanto non possa apparire a prima vista. Il suo rapporto con l’auto, con le armi, con l’unico essere umano che si potrebbe definire suo amico, l’ “‘italiano” barbiere,  sono elementi che, insieme all’insorgere della malattia, costituiscono il mosaico di una personalità straordinaria…’. (Da https://forum.termometropolitico.it/254-gran-torino.html).

Reazionario ed iconoclasta (contribuì, tra l’altro, a distruggere il mito della frontiera nei film di Sergio Leone), Estwood è pronto, come ogni persona intelligente, a mutare i pregiudizi. 

Scriveva Maurizio Cabona su “Il Giornale” del 13 marzo 2009:

“Eastwood sempre più duro, prima odia e poi ama i cinesi”. Clint Eastwood non è stato un grande attore; per un certo tempo non è stato nemmeno un grande regista. Ma è sempre stato un grand’uomo, e non solo per il suo 1,94 di statura. Da lui diretto e interpretato, Gran Torino mostra ulteriormente come negli ultimi anni si sia preso carico delle responsabilità degli Stati Uniti durante la sua adolescenza e gioventù. Col dittico di Flags of our Fathers / Lettere da Iwo Jima, ha ‘chiuso’ il conflitto fra il suo popolo e quello giapponese. Con Gran Torino ‘chiude’ ora il conflitto fra il suo popolo e quelli coreano e cinese”.  

Scriverà lo stesso Cabona, sempre su “Il Giornale” 1l 19 ottobre 2009:

“Adesso cavalco verso l’Aldilà. Intervista a Clint Eastwood. Il regista è in Francia per girare un film a sfondo esoterico, con protagonista Matt Damon. A Lione Eastwood ha ricevuto – da Thierry Frémaux e Bertrand Tavernier, direttore e presidente dell’Institut Lumière – il premio alla carriera. Ed ha mostrato in anteprima Invictus sulla partita Sud Africa-Australia ai Campionati del mondo di rugby del 1995, con  Damon nel ruolo di capitano della Nazionale sudafricana e Morgan Freeman nel ruolo di Nelson Mandela. Mai regista banale, nell’ultimo quinquennio Eastwood è diventato il migliore degli americani con una progressione impressionante: Million Dollar Baby, Mystic River, Flags of our Fathers, Lettere da Iwo Jima, Gran Torino… Caso quasi unico, è passato dal talento al genio dopo i sessant’anni”.

La leggenda di Eastwood non era, comunque, stata consegnata indefinitamente a Walt Kowalski. Il corriere-The Mule è più di questo, più del nuovo ritratto di un senile eroe reazionario, di un vecchio cocciuto e coriaceo. Eastwood resta secco (Leone diceva di lui che aveva «solo due espressioni: col sigaro e senza») ed autentico dietro le rughe di un uomo che non ha più l’angoscia di invecchiare, sempre bello, col suo sguardo dagli occhi chiari, il sorriso franco e la figura che non ha perso niente della sua eleganza, che non può e non vuole nascondere il peso degli anni, la vulnerabilità che accompagna la vecchiaia. Al tempo che incalza, Earl, furbo, gran conoscitore della strada e delle sue opportunità,  risponde godendosi i viaggi, canzonando i truci narcotrafficanti messicani, canticchiando canzoni al volante, miscellanea di country e di soul, lungo le autostrade semivuote del Midwest, così attempato che nessun poliziotto potrebbe mai sospettarlo. 

Il perfetto criminale, un americano medio, irreprensibile e inoffensivo. Il buon repubblicano, diventato corriere della droga, sfida la legge arrivando a consigliare chi la incarna – Colin Bates (Bradley Cooper), il tenace agente della DEA incaricato di dargli la caccia – in un incontro casuale, di mai trascurare la propria famiglia: le priorità non vanno mai dimenticate! In un mondo ossessionato dal ‘politicamente corretto’, Earl ha un linguaggio ed un comportamento irriducibilmente inappropriati, tratta i messicani da “fagioli rossi”, e chiama “negro” un viaggiatore afroamericano in panne sul bordo della strada, ch’egli  aiuta a cambiare la ruota.

Clint Eastwood e Bradley Cooper 

 La nuova e sconosciuta disponibilità di denaro non solo gli consentono di cambiare il vecchio catorcio con una fiammante pickup Lincoln nera (sempre per restare in Casa Ford…), ma altresì di elaborare il rimorso per i suoi cari troppo a lungo trascurati. Come Earl, Clint ha sacrificato la vita familiare alla dedizione professionale (ed alla passione per le donne…), come lui prova a incollare i frammenti di quella vita davanti alla morte dell’altra. Lui che si è filmato morire tante volte, adesso veglia impietrito la fine di chi ha amato. Per Dianne Wiest nel film – per Sondra Locke nella vita, l’attrice ed ex compagna deceduta – Earl cambia itinerario e Clint sottoscrive un film personale e struggente. Un comeback che disegna un riavvicinamento possibile tra padre e figlia, senza minimizzare le ferite del passato.  Non è il solito maschio che ha dimenticato di occuparsi della famiglia per impegni troppo gravosi o per gesta eroiche, ma un uomo superficiale ed un po’ egoista che l’ha trascurata solo per andarsene in giro per tutta l’America come fioraio. Però, adesso, niente conta più per lui che rivedere i volti amati, prima ch’essi svaniscano, prima che lui stesso svanisca, gringo bianco, anacronistico, sopravvissuto…

Su Clint Eastwood sono state scritte migliaia di pagine, ovunque, i suoi film ricevono non solo l’attenzione della critica specializzata, ma pure di un vasto pubblico i cui contributi affollano i numerosi siti web dedicati al settore. Ma chi è veramente l’attore e regista?

‘Clinton “Clint” Eastwood Jr. (San Francisco, 31 maggio 1930). Vincitore due volte del Premio Oscar per la miglior regia, uno alla memoria Irving G. Thalberg e due come miglior film, un Premio César, 6 Golden Globe e 4 David di Donatello, Eastwood è una delle figure più celebri e rappresentative della cinematografia mondiale. Debutta sul grande schermo nel 1955; la vera popolarità tuttavia nascerà anni dopo in Italia, quando Sergio Leone lo scelse come protagonista della “trilogia del dollaro” con le pellicole Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo, capostipiti del genere spaghetti-western di cui Eastwood divenne l’interprete principale. Un vagabondo, un antieroe, un rude mercenario, un individuo troppo fuori dagli schemi del western tradizionale. La “trilogia del dollaro” regalò ad Eastwood un’enorme popolarità e il successo internazionale dei film indusse finalmente la United Artists ad acquistarne i diritti ed a presentare i tre film oltre Oceano. Al ritorno in patria, E. ha proseguito la carriera nel genere western con film come Impiccalo più in alto, Lo straniero senza nome, Il texano dagli occhi di ghiaccio, Il cavaliere pallido, mentre la definitiva consacrazione giungerà nel 1971 col poliziesco Ispettore Callaghan. Malgrado certi giudizi sfavorevoli, anche negli Stati Uniti gli spettatori furono numerosissimi ed Eastwood si guadagnò la fama di attore western: la sua espressione indecifrabile, il suo sorriso sottinteso, la sua comunicazione verbale ridotta al minimo, esaltati dalla regia di Sergio Leone, lo avevano reso un’icona. Spesso sottovalutato dalla critica cinematografica, che ne disprezzava le doti recitative – Eastwood fu bollato come legnoso, monocorde, inespressivo e poco carismatico – impiegò tempo a far dimenticare quello stereotipo. Una rivalutazione avverrà in seguito con pellicole più impegnate, come Fuga da Alcatraz, e nel 1992 con Gli spietati, vincitore di 4 Oscar. Parallelamente all’attività di  attore, quella di regista, iniziata nel 1971 con Brivido nella notte; a partire dagli anni duemila la carriera di regista ha preso il sopravvento su quella d’attore, con Million Dollar Baby, Mystic River, American Sniper, che si è fatta sempre più personale col passare degli anni, in particolare con opere come Gran Torino e Hereafter. Dopo l’uscita del film Gran Torino, Eastwood annunciò anche il suo ritiro come attore, volendosi occupare solo della regia’.

Scelta che, invece, rimise in discussione quattro anni dopo, apparendo come attore nel film Di nuovo in gioco. 

‘Ritorna a lavorare come regista nel 2009, con Invictus, che tratta un momento particolare della storia del Sud Africa, la storica vittoria della coppa del mondo di rugby nel 1995. Anche questa sua pellicola ottiene un ampio successo. Eastwood  vive un periodo di gloria grazie ai successi come critica e botteghino, sia dai film da lui interpretati che da quelli solamente diretti. Il 25 dicembre 2014 esce American Sniper, basato sulla vita del tiratore scelto Chris Kyle. Nel 2016, dirige il film Sully, con protagonista Tom Hanks, la storia del Comandante Sullenberg che, il 15 gennaio 2009, fu costretto ad effettuare un eroico ammaraggio sul fiume Hudson. Nel 2018 dirige Ore 15:17-Attacco al treno. Infernale la cadenza con la quale il regista realizza i suoi film, con il 40mo o 41mo già in montaggio (Impossible Odds). Eastwood, che si descrive come un libertario, è notoriamente repubblicano fin dal 1951, quando sostenne la candidatura di Eisenhower. Nel 1968 e nel 1972 appoggiò Nixon. L’attore non si considera un conservatore (è infatti di idee progressiste per quanto riguarda i temi etici). Sostiene da sempre l’assenza dell’interventismo statale in ogni ambito, da quello economico-fiscale, con contrarietà ad ogni forma di aumento della tassazione e della spesa pubblica. In politica estera si dichiara isolazionista, sostenendo che «gli Usa non dovrebbero esportare la democrazia in Paesi che possono vivere in pace solo sotto dittature». Nell’agosto del 2012, è intervenuto alla convention repubblicana di Tampa a favore di Romney ed ha portato un duro attacco al presidente Obama ed alle sue politiche interventiste in campo economico. Eastwood è stato eletto sindaco indipendente di Carmel-by-the-sea, California, nell’aprile 1986. Coprì l’incarico fino al gennaio 1988, declinando l’offerta di ricandidarsi nuovamente’.  

(Da  https://it.wikipedia.org/wiki/Clint_Eastwood).                

Il corriere-The mule è in sostanza un bel film, anche nei suoi momenti meno ispirati: l’apologia della famiglia, fatta da Earl dopo un’esistenza di lontananza non forzata pare, ad esempio, un po’ scontata, come certe situazioni e dialoghi. Ma la narrazione è riuscita, talora eccelsa: una vicenda che scorre lungo la dorsale dell’America d’oggi, una storia che si svolge al tramonto della vita, quando il tempo sta finendo e non può essere comprato, una dichiarazione ambivalente di amore verso l’esistenza che si snoda tra autostrade, stazioni di sosta, paesaggi immensi, amori tardivi, riconciliazioni. L’antieroe di Clint, con più grinze di una tartaruga centenaria, è un maestro. Di galanteria, di uno stile dimenticato, e pure di ironia ed autoironia. Clint/Earl ama intensamente la vita, le donne, il sesso, il buon cibo, la musica, il ballo, bere in compagnia; i gigli delicati e colorati gli hanno schiuso per anni le porte, al di là di di certi suoi modi ruvidi, ed adesso egli usa i frutti della nuova “attività”. Ma, intuendo che sarà precaria, vuole finalmente sistemare i conti con i sentimenti, troppo a lungo trascurati. 

Il film mette a contatto due elementi apparentemente contraddittori dei racconti per immagini: la libertà espressiva e la vulnerabilità. Invece di lasciare alla seconda il compito di proteggere il vecchio protagonista dagli strali della severità o di suscitare la commossa partecipazione del pubblico, il regista espone apertamente il suo Earl, con poche indulgenze. Naturalmente il suo personaggio è anche Kowalski di Gran Torino. Un old boy che non si fa intimidire, che ha combattuto in Corea, che sa mostrare indifferenza davanti alla canna di una pistola spianata. Pur sempre un uomo che deve farsi perdonare parecchie cose, che spera di poterle in parte ricomprare e che, infine, trova una forma di grazia ed equilibrio familiare nell’espiazione, solamente quando il crimine è divenuto esplicito e giustamente sanzionato. 

‘Il corriere-The Mule è una dolente storia di redenzione dal tatto raro, schietto’. È stato scritto da Giuseppe Rossi, giovane regista e critico, che Eastwood 

‘lo fa con un film piccolo e intimo, ma capace di delineare un ritratto umano amaro e disinibito. Racconta una storia complicata, paradossale, il rapporto tra un uomo incapace di stare fermo, quasi ossessionato dal viaggio e dal movimento, ed i suoi fiori che, appena colti e fatti viaggiare a loro volta, muoiono nel giro di poche ore. Ama prendersi cura di qualcosa che ha bisogno di attenzioni e poi sboccia solo per pochi attimi, mentre allontana tutto ciò che dura molto più di una primavera. I fiori piacciono alla gente, lusingano, allietano, rinfrancano, fanno sempre la loro figura. Ed Earl è così. È come i fiori. In loro si specchia e si riconosce con fierezza, senza vergogna. Earl ama piacere alle persone’.

Earl Stone è l’altra faccia di Walt Kowalski. 

‘Se il burbero protagonista di Gran Torino era chiuso, ostile, razzista e trincerato in se stesso, Stone è pura gioia di vivere. Questa volta per Eastwood la vecchiaia è un’ultima spiaggia in cui godersi il tramonto, godersi la vita, ballare, fare sesso, festeggiare, guadagnarsi la simpatia altrui. Il vecchio non è stanco e vuole ancora macinare chilometri. Uno spirito divertente e divertito. Però anche una vita pienamente vissuta ti presenta il conto. E così, proprio mentre il caso gli concede la possibilità di diventare insospettabilmente ricco grazie al traffico della droga, Earl sbircia nello specchietto retrovisore. Il suo sguardo afflitto e pentito scorge tutto quello da cui si è allontanato: famiglia, affetti, essere tutto per pochi e non il contrario. Ha così inizio un on the road in retromarcia di pura riscoperta, una lotta contro il tempo che si intreccia con una caccia all’uomo’. (Da G. Grossi, On the road tra le rughe del tempo, in https://movieplayer.it/articoli/il-corriere-the-mule-recensione_202779)

Ha scritto Federico Pontiggia su “Il Fatto Quotidiano”:

‘Il testamento di Clint arriva con Il corriere. La cosa più giusta l’ha scritta The Hollywood Reporter: lodare The Mule dicendo che è il miglior film mai realizzato da un 88enne regista, che vi recita anche, non significa nulla, perché non è mai successo prima. Del resto, stiamo parlando di un demiurgo, tra i più determinati e ostinati del cinema tutto: Clint Eastwood. Nella doppia veste di regista e attore mancava da Gran Torino del 2008 e, dovesse malauguratamente esserlo, Il corriere-The Mule sarebbe un grande testamento. C’è tutto l’Eastwood che conosciamo, quello di oggi e quello di ieri, quello che abbiamo così lungamente e profondamente amato’.

Ciò ricordato in estrema sintesi, ci sono alcune questioni di fondo, a mio avviso, alle quali i critici accennano, ma in generale senza approfondirle più di tanto.

Una lettura politica

Il film mi pare anche una dura, esplicita critica sociale e politica. Clint Eastwood in cuor suo è dalla parte di Trump e del suo messaggio, ma non può dirlo apertamente per non essere stritolato dai media e deve rifugiarsi nell’ambiguità. Alle elezioni presidenziali del 2016 aveva dichiarato, infatti, di apprezzare l’atteggiamento politicamente scorretto del candidato repubblicano Donald Trump, pur dicendo di non condividere alcune delle sue affermazioni. In seguito ha aggiunto di non aver offerto il suo endorsement a nessuno dei candidati in corsa. Egli in questo suo ultimo film incarna esemplarmente la psicologia della gente del Midwest, piegato dalla deindustrializzazione, la forza originale e maggiore, cioè, del trumpismo, che non vuole più cedere all’ipocrisia dem, agli squali di Wall Street, alle sgangherate privatizzazioni di servizi essenziali, allo strapotere delle banche, alle false ed ipocrite libertà del cosiddetto ‘pensiero unico’ globale.

Gli affetti familiari, soprattutto quando sei anziano e li vuoi recuperare, ti rendi conto ch’essi hanno un prezzo, brutalmente detto, si devono comprare con denaro sonante, né con la mera presenza, né con le parole. È amaro,  ma reale. Quello che conta di più nella vita è la famiglia,   come Earl racconta all’agente Cooper. Ma se aspiri tardivamente a scampoli di attenzione e di affetto, pur meglio di niente, li devi comprare, come le grazie di una cortigiana. Merita infine – il recupero pur parziale della famiglia, ottenibile solo attraverso la vil pecunia – addirittura il sacrificio della propria forza naturale, dell’etica, degli ideali sempre onorati. 

In un mondo nel quale conta praticamente solo più il denaro, il capitalismo finanziario speculatore che ha fagocitato il libero mercato d’un tempo, lo spirito imprenditoriale e lavoratore che ha fatto grandi gli States, ed in compenso ha favorito i deliri liberal dell’establishment clintonian-obamiano, i teorici diritti infiniti, l’orgia del politically correct in tutte le sue declinazioni; e lo Stato Federale – l’amata America dalle promesse non mantenute, ti abbandona al tuo destino, pare non aver più nulla da offrirti, neppure poter conservare la tua vecchia casa – ti consegna per sopravvivere al mondo della droga, il cui traffico non  può o non  vuole reprimere, lasciandoti un po’ d’alcol, le diavolerie d’ Internet – e dimentica pure che un giorno lo servisti in armi, in guerra, rischiando la pelle –  tu devi pur arrangiarti. E così considerarti, almeno in parte, sciolto da alcuni obblighi del contratto sociale, ch’esso, d’altra parte, ha già gravemente violato. Ciò Earl non lo vuole dire apertamente. Veterano di guerra convertito in ‘mula’, egli accantona, forzatamente, i princìpi di fiero difensore del Paese ‘per qualche dollaro in più’. Con intima e crescente tristezza, mescolata ai resti della vitalità caratteriale. Compendio di un’epoca di crisi.

Eastwood non lo proclama, lo lascia leggere in filigrana, intuire. Mentre il vecchio Stone   canticchia canzonette e canzonacce oscene percorrendo, a moderata andatura, le grandi e noiose pianure del Midwest, entrando ed uscendo dalla “Land of Lincoln”, così fu designato l’Illinois nel 1955, e come recita e ricorda il grande cartello, più volte inquadrato, sul bordo della freeway, dando vita ad un inedito, affascinante road movie…

@barbadilloit

Gianni Marocco

Gianni Marocco su Barbadillo.it

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