Cultura/Poesia. La maschera del poeta: il non supposto signor G. 

Il popolo che avanza
Il popolo che avanza

“Il non supposto signor G.” (edizioni L’artedeiversi, pp.201) è la cinquantottesima raccolta di poesie pubblicata da Renato Greco e consta di ben centosettantasette poesie. Un traguardo di tutto rispetto per l’ottuagenario poeta di Ariano Irpino, che vive da tanti anni a Modugno; un traguardo cui giunge, dopo qualche prova minore, con la grazia e la profondità d’una scrittura poetica che avvince il lettore. Ma chi è il supposto signor G. che dà unità e pregio poetico a questo testo? E’ senz’altro l’uomo qualunque, poiché “non essendo nessuno G. è il popolo”e “nel suo niente lo rappresenta al meglio” (Non essendo nessuno). E’, dunque, l’umanità smarrita, incattivita, indifferente del nostro tempo, ma è anche e soprattutto il poeta stesso (forse non è un caso che G. sia pure l’iniziale del cognome del poeta), che osserva, riflette e scrive e si domanda amaramente “quando è cessato nel tempo il sorriso” e dentro di sé prova l’acuta nostalgia “di volere essere quelli che ridono” (Sul nostro modo di vivere). Il signor G. è, se si vuole, una maschera dietro la quale si cela il poeta in carne ed ossa, sospeso tra nichilismo e moralismo, che getta uno sguardo disincantato sul mondo: “siamo fatti di vento / e dunque d’aria… / siamo soltanto / di passaggio e poco / o niente resterà di noi // Benché nell’ora  / che ci vede attivi / pensiamo a volte / di significare” (Siamo fatti di vento); questo sguardo è a volte cupo e desolato, perché sa che ciascuno è racchiuso “in suo particolare inferno”; e a volte pieno di disgusto per la pochezza e l’avidità degli uomini tra i quali gli è toccato di vivere: “nel Paese   Che sarebbe / il più bello e il più eletto fra i paesi / se non fosse che abbia il peggior popolo / fra quanti sono in Europa e altrove” (Non essendo nessuno).

Il poeta Renato Greco

Il signor G., cioè il poeta, non perde però tra tante brutture e miserie la sua limpidezza e la sua pulizia: “Ed è così che G. passa la vita / tra un verso e l’altro / e tra un pensiero e l’altro // E cammina nel vento e nella pioggia / e si rifugia all’ombra se fa caldo // G. è il fumo di sé che si disperde / sui tetti delle case inavvertito // Aria egli stesso che respira // Uomo / ma vita d’aria limpida e pulita” (Ed è così che…). Se poi, non di rado, le ragioni delle cose sfuggono e tutto appare vano, se il cammino della vita ci appare come un andare verso il nulla,  giacché  “il signor G. no – non lo sa / dove si andrà a finire un giorno // Non è soffrire di ritrosia // Non è timore dell’avvenire // E’ solo e meglio essere vento / e forse un nome ripetuto / dagli olivi al principio // Dagli olivi alla fine” (Fra qualche anno); se perfino la stessa poesia “tarda / nel vuoto che non ha contromisure” (Un cielo a tratti); tuttavia, possiamo chiederci con Nietzsche:  abbiamo scoperto che la vita non ha quel valore che le davamo, è questo forse un buon motivo per gettarla subito via al prezzo più vile? Ed ecco che il pessimismo disperato del poeta si stempera nella scrittura che è terapia contro la noia e il nulla che pervadono la vita: “G. vorrebbe ali per volare via / ma non sa fare altro che aspettare / l’avvicinarsi di una voce “altra” / che lo sappia chiamare accanto a sé // Non sa pregare Non ha più speranze / Eppure una canzone che a G. nasce / è la sua sola e vera libertà” (Viene tradito). Ed accanto alla scrittura ci sono i ricordi del tempo felice dell’infanzia: “Un certo suono di voci lontane / come un popolo lieto e avventurato / di risate bambine e di canzoni / ha tremato un momento ed è cessato” (Qualcosa di tiepido).  E ci sono i momenti di felicità vissuti nell’amore: “In riva a un fiume dalle verdi acque / può emergere un volto che si è amato / Degli occhi che una volta lo guardarono / Di un volto che riflette il suo amore” (In riva a un fiume). Sono quei ricordi infatti che riempiono la vita e le danno sapore: “Così ha fatto il marinaio per / la donna sua bella / Ne conserva l’immagine / sul petto gelosamente / per non dimenticare / i baci e il suo rossore nella sera” (Simile quanto il marinaio). E c’è, a lenire il mal di vivere, la bellezza della Terra oltraggiata e pur sempre accogliente: “Un abbraccio più fresco non s’inventa / è convinto il sig. G. da una vita // Un profumo più caro non esala / sulla felicità di dolci zuffe / che grondano piaceri e perle rare // Più del tuo sguardo bianco luna / piena” (Che rida ai denti). Chiudiamo queste brevi note con la quartina di endecasillabi che è l’ultima bella poesia di questa raccolta: “Al brusio perenne delle foglie / una Terra in silenzio e cieli chiari // Non s’ode voce ed il mattino scioglie  / un brivido d’attesa nei pomari” (Al brusio perenne).  

*“Il non supposto signor G.” (edizioni L’artedeiversi, pp.201) di Renato Greco

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Sandro Marano

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