Effemeridi. Il transatlantico Wilhelm Gustloff affondato dai sovietici: morirono 9mila tedeschi

Un quadro dedicato al Wilhelm Gustloff

30 Gennaio 1945. Siluramento e affondamento del transatlantico “Wilhelm Gustloff” con conseguente morte di oltre novemila persone (Per un raffronto: i morti del “Titanic” furono circa 1.500).
Nell’Ottobre 1944, cinque Armate sovietiche erano entrate nella Prussia Orientale sfondando la ormai debole resistenza tedesca e tuttavia, nonostante l’esiguità delle forze, pochi reparti germanici e di volontari di altri Paesi europei, prima della fine del mese riuscirono a respingere i sovietici e riconquistare un’ampia parte di territorio del Reich fino alla successiva massiccia offensiva del nemico a dicembre.
Nei territori nei quali l’Armata Rossa fu respinta, a coloro che li riconquistarono si presentarono delle scene apocalittiche: stupri di massa dalle bambine alle anziane, poi uccise; devastazioni di villaggi interi, uomini e donne inchiodati alle porte delle case.
Era il risultato di una martellante propaganda tra le truppe di prima linea orchestrata dallo scrittore Ilja Ehrenburg che aveva da mesi incitato i soldati a prendere le donne come preda sessuale e a sterminare i tedeschi, nessuno escluso, nati e “non nati”, al fine di cancellare quel popolo fascista e umiliare il suo “orgoglio razziale”.
In quella fase della guerra le truppe russe erano in buona parte tenute di riserva per l’assalto finale, il premio della conquista di Berlino.
In prima linea finirono calmucchi, tartari, siberiani, gente rozza che dopo aver stuprato ed ucciso razziavano qualsiasi cosa dalle case, compresi i servizi igienici e gli infissi, per loro ricche e curiose novità.
Un esempio per tutti questi crimini di massa mai giudicati da nessun tribunale internazionale lo si può fare citando un nome noto, quello della moglie del Cancelliere Helmut Kohl (predecessore della Merkel), Hannelore, stuprata a 12 anni dai soldati mongoli dell’Armata Rossa, un dramma che si portò dietro per tutta la vita fino al suicidio avvenuto nel 2001.
Quando queste notizie si diffusero in Germania e negli altri Paesi dell’Est Europa (Ungheria, Romania, Bulgaria, Polonia…) che stavano per essere investiti dall’orda selvaggia, scoppiò il panico, milioni di persone lasciarono le loro case e, portandosi dietro poche cose ,si incamminarono a piedi e con ogni mezzo (su carri, treni, auto, ….) verso Occidente.
Le cifre ufficiali del nuovo Stato tedesco nel dopoguerra stabiliranno il numero tra i 12 e i 16 milioni di coloro che furono costretti all’esodo, furono sottoposti a pulizia etnica.
Circa due milioni morirono: uccisi o morti di stenti.
Il più grande esodo della storia contemporanea.
Le comunità di lingua tedesca che abitavano i territori ad est da centinaia di anni furono ridotte a ben poco, forse il 10% globalmente.
Fra questa enorme massa di gente che cercava salvezza, alcune colonne si diressero verso il Baltico, in particolare le città costiere di Danzica e Gotenhafen dove si trovavano basi della Marina germanica e dove l’Ammiraglio Karl Dönitz organizzò al meglio la fuga attraverso il Mar Baltico utilizzando navi passeggeri come la “Hansa”, la “Hamburg”, la “Deutschland” e ogni tipo di natanti più piccoli disponibili.
Tra questa flotta di salvataggio spiccava la “Wilhelm Gustloff” (il nome era quello del responsabile del Partito nazionalsocialista in Svizzera ucciso da un ebreo croato nel 1936); all’epoca si trattava del più grande transatlantico da crociera esistente al mondo.
La nave, che era lunga più di 200 metri e alta dieci piani, era stata varata nel 1937, di proprietà della Kraft durch Freude (Forza tramite la Gioia), organizzazione statale che si occupava degli aspetti ricreativi per i lavoratori tedeschi (dalle crociere di lusso a bassissimo prezzo agli spettacoli teatrali e concertistici anche nelle grandi fabbriche).
La “Gustloff” era il gioiellino dell’organizzazione dopolavoristica, attrezzata con ogni tipo di comfort, dalle piscine agli ascensori.
Nella sua attività crocieristica ospitava circa 1.500 passeggeri e 417 membri dell’equipaggio. Durante la guerra era stata trasformata in “nave Ospedale” e attrezzata come tale.
Nel Gennaio 1945, Dönitz la inserì nell’Operazione “Hannibal” ovvero il salvataggio di quante più persone possibili.
Quel 30 Gennaio 1945 (giorno che coincideva con una festività nazionale nel Terzo Reich: la data della Conquista del potere da parte del Nazionalsocialismo nel 1933) una parte dell’enorme folla che si accalcava nel porto di Gotenhafen (città oggi ribattezzata Gdynia e passata alla Polonia) fu fatta salire anche sulla nave “Gustloff”.
Le operazioni d’imbarco portarono via parte della giornata, freddissima e mentre stava nevischiando.
Furono fatti salire circa 5.000 bambini; e poi tante donne, vecchi, militari feriti, inoltre il personale di bordo potenziato dall’aiuto di molte giovani ausiliarie della Marina.
Oltre le persone registrate, nella fretta salirono anche gruppi di persone alle quale non fu chiesto il nome.
Il totale delle persone a bordo alla fine fu di 10.582, stipate in ogni dove, compreso il ponte che rapidamente la temperatura gelò.
Non si poté attendere una scorta data l’urgenza di abbandonare il porto, solo uno spazzamine precedeva la nave e si decise di non perdere neppure tempo con un prudenziale zig-zag in mare ma di procedere diritto il più velocemente possibile.
Alle 21,06 un primo siluro colpì il transatlantico, seguito da altri due subito dopo.
I tre siluri erano stati lanciati da un sottomarino sovietico comandato da Aleksandr Marinesko.
Lascio la narrazione di ciò che successe a bordo a Günter Grass, lo scrittore tedesco Premio Nobel per la Letteratura nel 1999, estrapolando qualche brano da “Il passo del gambero”, romanzo pubblicato in Italia da Einaudi nel 2002.
Di Grass mi sono già occupato in queste “effemeridi”, e della sua vita. Brevemente: considerato fino al 2006 il più importante scrittore tedesco – se non d’Europa – contemporaneo, coccolato dalla Socialdemocrazia tedesca e dalla Sinistra internazionale nonostante molte sue provocazioni da bastian contrario, tutto cambiò quando in quell’anno rivelò di essersi arruolato volontariamente, diciassettenne, nella 10. Waffen-SS-Panzer-Division “Frundsberg”, formazione nella quale si comportò coraggiosamente restando anche ferito in battaglia.
Rincarò poi la dose con altre “perle” affermando, tra l’altro, di aver scoperto il “razzismo” soltanto durante la prigionia nel campo di concentramento di Bad Aibling (dove conobbe anche il futuro Papa Ratzinger, anche lui colà detenuto) vedendo come gli americani bianchi trattavano i loro commilitoni negri. “D’improvviso mi trovai di fronte a del razzismo esplicito” rivelò.
Fu un trauma per i giurati del Nobel e per molti altri che giunsero anche a chiedere la restituzione del Premio. Del resto non è stato l’unico errore dei giurati svedesi sempre molto attenti a cavalcare l’onda del “politicamente corretto”.
Scrisse dunque Grass dell’affondamento della “Gustloff”: “Questo siluro del tubo tre, che sulla superficie liscia aveva come dedica la scritta “Per il popolo sovietico”, esplose sotto la piscina del ponte E. Solo due o tre ausiliarie sopravvissero. In seguito parlarono di odore di gas e di ragazze fatte a pezzi dalle schegge del mosaico a vetri sulla parete frontale della piscina e delle piastrelle della vasca. Oltre a giubbotti di salvataggio vuoti, sull’acqua che saliva rapidamente si vedevano galleggiare cadaveri e pezzi di cadaveri, panini imbottiti e altri resti della cena. Quasi nessun grido. Poi se n’era andata la luce (…) L’ultimo siluro colpì la sala macchine, al centro della nave. Non solo si arrestarono i motori; anche l’illuminazione interna dei ponti e il resto della strumentazione cessarono di funzionare. Tutto quanto accadde in seguito si svolse nel buio. Le luci di emergenza che si accesero dopo alcuni minuti offrirono tutt’al più una qualche possibilità di orientarsi nel caos del panico dilagante all’interno della nave lunga duecento metri e alta dieci piani, dalla quale non si potevano mandare segnali di SOS; anche le apparecchiature della stazione radio erano fuori uso. Solo dalla torpediniera “Löwe” partì ripetutamente il richiamo nell’etere: “Gustloff affonda colpita da tre siluri!” E la posizione della nave che stava naufragando venne radiotrasmessa in continuazione, per ore e ore: “Posizione Stolpmünde. 55 gradi 07 nord – 17 gradi 42 est. Richiediamo aiuto…”. A bordo dell’S13 i colpi andati a segno e l’affondamento presto rilevabile dell’obiettivo furono accolti con entusiasmo represso. Con il sommergibile già in fase di immersione. Marinesko ordinò una discesa rapida, sapendo che nei pressi della costa, tanto più sopra lo Stolpebank, era difficile sfuggire alle bombe di profondità. (….) La torpediniera “Löwe”, fermate le macchine, esplorava con i riflettori la nave colpita a morte. (…) Il ponte del sole, che era anche il ponte delle lance, coperto di ghiaccio, liscio come uno specchio, a causa della progressiva inclinazione faceva sdrucciolare la massa di gente che saliva spingendosi dai ponti inferiori. Già i primi, senza punti d’appoggio, cadevano fuori bordo. Non tutti finivano in acqua con il giubbotto salvagente. Adesso, in preda al panico, molti tentavano il salto. A causa del calore all’interno della nave, la maggior parte di quelli che si ammassavano sul ponte del sole erano vestiti troppo leggeri per sopravvivere allo shock dei meno 18 gradi esterni e alla corrispettiva temperatura dell’acqua – erano due o tre gradi sopra lo zero? Eppure saltavano. (….) più di quattromila lattanti, bambini e adolescenti per i quali non ci fu scampo, rimasero e rimangono una cifra astratta, come tutte le altre cifre che superano le migliaia, le centinaia di migliaia, i milioni, che allora come oggi si potevano e si possono calcolare solo per approssimazione. Uno zero in più o in meno alla fine cosa può mai dire: nelle statistiche la morte scompare sotto la filza di numeri. Posso solo riportare quanto, in altra sede, viene citato come dichiarazione di sopravvissuti. Vecchi e bambini vennero calpestati a morte su scale larghe e su strette scalette di boccaporto. Ognuno pensava solo a sé. (…) Una scialuppa che avrebbe potuto contenere più di cinquanta persone fu calata in acqua precipitosamente, occupata solo da una decina di marinai. Un’altra, mollata troppo in fretta e rimasta appesa soltanto alla cima anteriore, rovesciò nel mare agitato tutti gli occupanti e poi, quando la cima si strappò, precipitò sulla gente in balia delle onde. Solo la scialuppa numero quattro, piena a metà di donne e bambini, pare sia stata calata attenendosi alle norme. Poiché i feriti gravi dell’ospedale d’emergenza nel cosiddetto porticato erano comunque spacciati, gli infermieri cercarono di sistemare nelle scialuppe alcuni feriti leggeri: invano. (,…) Poiché il faro orientabile della nave di scorta che manteneva la posizione sul mare agitato continuava a sfiorare le sovrastrutture, il ponte di passeggiata invetriato e il ponte del sole che si ergeva inclinato sulla destra, quelli che si erano salvati nella scialuppa vedevano come le persone, singole o aggrovigliate insieme, precipitassero fuori bordo. (…)”.
Poi la nave affondò, innalzandosi e precipitando. Di 10.582 persone, solo 1.320 si salvarono.

@barbadilloit

Amerino Griffini

Amerino Griffini su Barbadillo.it

Exit mobile version