Europa/2. Salvini è al centro della politica. In attesa di destra e conservatori

Matteo Salvini
Matteo Salvini

Una sola è la certezza: Matteo Salvini. Come leader e frontman. Al di là delle narrazioni giornalistiche e delle categorizzazioni politiche poco chiare, Salvini sarà il punto di riferimento e di scontro attorno al quale ruoteranno le prossime, decisive, elezioni europee. Il leader della Lega è diventato, infatti, in questi pochi mesi di governo qualcosa di più di un semplice capo di partito, o del principale interprete dello scontro simbolico fra elite e popolo: egli incarna oggi il ritorno sulla scena pubblica dell’opzione politica. Non un mutamento da nulla.

Per allora, al momento del voto, si sarà spezzato l’asse con i 5 Stelle? Tutto dipenderà dal centro-destra. Se infatti il Movimento 5 Stelle ha già pronta in Alessandro Di Battista l’opzione di sinistra (alla Podemos), Salvini al momento non ha che tenersi stretto il centrista Luigi Di Maio.

Il centro-destra, infatti e nei numeri, non esiste più: i “moderati” che guardano alla tradizione liberale (Ibl, Stefano Parisi, Oscar Giannino) rischiano di riempire le fila del morente berlusconismo, o del comatoso polo renziano (Pd + Bonino) ergendosi a difensori dei risparmiatori/speculatori Btp, con alcune buone ragioni, senza tuttavia dare prospettive di crescita o riforma del sistema paese.

Nemmeno Fratelli d’Italia è riuscito in questi anni a creare un soggetto politico di ampio respiro, restando un partito di professionisti della politica radicato in alcune precise aree del paese. Nel solco della tradizione che da molti anni caratterizza l’ambiente post Fiuggi, troppa tattica e poca strategia hanno portato ad un ibrido con scarso appeal, dentro al quale il dialogo fra classe dirigente del paese ed istanza sovranista non si è potuto verificare.

Un dialogo assolutamente necessario, visto che le tendenze in stile “hard-exit” di alcuni pezzi della Lega, non solo sono mal viste da gran parte della classe produttiva del paese, ma rischiano di spostare l’appartenenza geopolitica dell’Italia verso nuovi assetti globali non ancora decifrabili in termini finanziari, commerciali e militari. Il che rappresenta, ad oggi, un rischio piuttosto inutile: il ritorno dell’opzione politica, infatti, sta riaprendo la grande opportunità di riformare non soltanto il nostro Paese, ma persino l’Unione europea.

Un’opzione che Salvini è riuscito a mettere in campo, ma che potrebbe diventare realtà soltanto attraverso quel blocco sociale che da sempre ha segnato i grandi passi avanti di Roma sul palcoscenico globale. Sovranisti, conservatori e liberali; popolo ed elite produttive, insomma, devono tornare ad avere una strategia comune al di là dei propri interessi particolari.

Da questo punto di vista, il laboratorio politico che si sta aprendo in questi mesi a Genova, merita attenzione: Giovanni Toti sembra l’uomo in grado di mettere assieme tutte le schegge impazzite del vecchio centro-destra, dando a Salvini quella spalla elettorale utile a governare in autonomia i grandi cambiamenti rivoluzionario-conservatori che siamo destinati ad affrontare nei prossimi anni. Così non fosse, il rischio di perdere la categoria “sovranista” nella melma recessiva in cui le ipocrisie nazionali e gli egoismi strategici stranieri ci hanno abitualmente condannati, resterebbe altissimo.

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Giacomo Petrella

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