Esteri. La pace in Medio Oriente tra il consenso di Putin e l’equilibrio di Rohani

putin1920Tutto il Vicino Oriente è in movimento e le novità sono molto interessanti. In Russia un recente sondaggio dà la popolarità del presidente Putin al 63%. È una percentuale senza paragoni nelle altre nazioni d’ Europa, eppure anche la Russia sta attraversando le difficoltà della crisi economica. Ma il tasso di fiducia verso lo statista che ha riaffermato la sovranità nazionale sulle fonti energetiche è di gran lunga superiore a quella della Merkel, di Hollande e di Cameron.

L’opposizione di stampo radicale – occidentalizzante  ha provato a contestare con manifestazioni di piazza la validità del voto di fiducia ampiamente rivolto a Putin nelle ultime elezioni; tuttavia l’effetto non è stato molto appariscente. Le posizioni di tipo radicale occidentalista sono in Russia una minoranza non solo rispetto al consenso che il partito di governo gode, ma a ben vedere sono minoranza anche rispetto alle percentuali di gradimento delle altre due opposizioni – quella nazionalista e quella comunista – che accusano Putin … di essere troppo tenero con l’Occidente liberal-democratico.

Viceversa la Turchia è agitata in questi giorni per effetto di una rivolta giovanile che si oppone alla crescente islamizzazione del paese. È la rivolta degli alberi e della birra: i giovani con la birra in mano difendono una grande piazza alberata che il governo vorrebbe spianare per far posto a una moschea, a una caserma e a un grande centro commerciale. I simboli contrapposti sono davvero molto concreti!

Erdogan sta usando il pugno di ferro e per quanto la Turchia sia molto diversa dall’Iran – anche nella percezione occidentale – si può cogliere una analogia tra le contestazioni giovanili che si sono svolte a Teheran e quelle che ora si svolgono in Turchia. A rivoltarsi sono i giovani istruiti dei grandi centri urbani, ma il tessuto sociale del paese nella sua grande maggioranza è indifferente se non ostile a queste rivolte ispirate a motivazioni “occidentali”. Erdogan può procedere nella sua politica perché la maggioranza dei Turchi è con lui. L’islamizzazione avanza; ma in realtà avanza da decenni perché quella di Ataturk fu una riforma imposta dall’alto e difesa di decennio in decennio con una serie di colpi di stato militari.

Ma intanto le contestazioni a Erdogan indeboliscono la sua presenza sullo scenario di guerra che si svolge ai confini meridionali della Turchia. In Siria i fondamentalisti salafiti, nonostante, l’ingente supporto di mercenari stranieri sta avendo la peggio. Le truppe lealiste di Assad avanzano ed è facile prevederne la vittoria se non interverrà una aggressione militare in grande stile da parte delle potenze che appoggiano i fondamentalisti. Negli USA qualcuno è tentato di giocare nuovamente la carta delle “armi segrete”. Come è noto l’accusa di aver adoperato armi chimiche fu fatale per Saddam Hussein. Ora però c’è chi ha la forza internazionale per contestare agli americani le informazioni “imprecise” sugli arsenali bellici da essi propalate.

Mosca ha denunciato la deriva “bushista” della Casa Bianca  ma a dire il vero, il presidente Obama non è il principale artefice di questa deriva “bushista”. L’impressione è che il moderato Obama sia oggi sottoposto a pesanti pressioni dai parte di militaristi di destra come Mc Cain e militaristi di sinistra come il signore e la signora Clinton.

Intanto nelle elezioni svoltesi in Iran ha vinto Rohani, un moderato: verrebbe da dire l’uomo giusto al posto giusto al momento giusto. Rohani è un religioso e nello stesso tempo è uno dei negoziatori sul nucleare che in passato si era detto disponibile ad accettare ispezioni a sorpresa da parte della UE.

Si aprono gli spiragli per una prospettiva di pace: con la sconfitta dei fondamentalisti salafiti in Siria, con la convocazione di una conferenza di pace alla quale partecipi anche l’Iran, così come auspicato dalla diplomazia di Mosca. Ma non si possono escludere tragici colpi di coda.

Alfonso Piscitelli

Alfonso Piscitelli su Barbadillo.it

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