Calcio. L’Italia scrausa di Mancini ha (almeno) qualcuno in cui credere: Barella

Un metro e settantadue di dinamismo. Il Mancio ha il suo nuovo enfant prodige, crudo metronomo nella mediana iper raffinata azzurra. Nicolò Barella, classe 1997, “fenomenale” per Mancini, arriva quando serve. Non sfigura accanto alle trame di Jorginho e Verratti (anzi è il giocatore più servito dai due registi nella gara contro il Portogallo), riesce a brillare più di Chiesa in quanto a grinta e polmoni, sradica e propone. E poi è radicatissimo, nato e cresciuto nella cantera cagliaritana, accudito, lanciato due anni fa da Rastelli e ora leader rossoblù richiesto da mezza Europa. Dalla Premier sono in quattro. In Italia in fila per un’ipoteca c’è la Juve – altro che Matuidi – e ancora prima Inter, Milan e Napoli. In tutte queste compagini sarebbe un craque. Nell’Inter diventerebbe il giusto collante tra i reparti (che manca dai tempi di Sneijder), nel Milan il nuovo Ambrosini, nel Napoli l’ingranaggio adatto in una macchina che va da sé. Smilzo, rognoso e propositivo, un Nainggolan isolano e pulito con l’aria della Sardegna stampata in faccia. Irregolare e assolutamente normale, ribelle sistemato nel 4-3-3, a suo agio. Calzettoni abbassati, maglia strappata ma elegante. Un jolly non insopportabilmente ultramoderno e impalpabile, concreto e a tutto campo, a testa bassa. Instagram non è la sua priorità e questo è il filtro migliore. Il volto giusto che fa già le dichiarazioni giuste: “Nel primo tempo abbiamo fatto una bella partita, avevamo voglia di fare e creato diverse occasioni. Nel secondo tempo il calo, ma ci sta un pareggio con i campioni d’Europa”. L’Italia riparta da qui, dalle parole che non sono fuori posto.

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Francesco Petrocelli

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