Cinema. I legami comunitari in “Mirai no mirai” di Hosoda (regista della tradizione nipponica)

Il poster di Mirai

Mamoru Hosoda torna nelle sale cinematografiche italiane. Il nuovo lungometraggio del regista di La ragazza che saltava nel tempo (2006), Summer Wars (2009), Wolf Children – Ame e Yuki i bambini lupo (2012) e The Boy and the Beast (2015) torna con una storia forse meno coinvolgente (almeno per chi non ha figli…) ma di grande spessore simbolico. Ancora una volta l’asse centrale dell’opera di Hosoda è il legame col passato, in una prospettiva generazionale. La trama di Mirai (Mirai no mirai, “Mirai del Futuro”) – molto semplice – racconta di un bambino di tre anni, Kun, a cui arriva una sorellina neonata, Mirai (in giapponese, appunto, “Futuro”). I buoni propositi del bambino si infrangono davanti alla normale gelosia per le attenzioni dei genitori alla nuova arrivata. In quella, però, la Mirai del futuro si presenta a Kun, il quale inizia a fare viaggi nel tempo, incontrando i membri della sua famiglia del passato e riconciliandosi con se stesso e la nuova situazione domestica.

Si riallacciano allora legami apparentemente dissolti (apparentemente…) e perfino si suggerisce che le generazioni future possano in qualche modo avere un’influenza su ciò che avviene nel proprio presente. Un’idea fortissima di continuità anti-individualista che richiama direttamente la filosofia del Novecento – il pensiero va immediatamente a Gentile e alla concezione dell’uomo come parte di un’infinita catena di generazioni che affonda le radici nel passato immemorabile e si proietta in un futuro senza fine. Un uomo che è tutto nella storia, e non è nulla al di fuori della storia.

Così il piccolo Kun nei suoi viaggi temporali incontra i suoi antenati, come il bisnonno, ferito nella Seconda guerra mondiale durante i bombardamenti americani (qui la traduzione inforca una serie di errori che rendono poco comprensibile lo svolgersi degli eventi). Come in altri film di questa nuova ondata di cinema d’animazione giapponese, anche stavolta il regista non lesina palate di struggente nostalgia per quel periodo: non a caso il bisnonno, ancorché invalido, è un gran figo, e addita al piccolo l’orizzonte da guardare senza mai deflettere. La metafora è trasparente: è a quegli antenati che il nuovo Giappone deve guardare per affrontare il futuro. Come pure trasparente è l’identificazione dell’albero attorno a cui è cresciuta la casa della famiglia di Kun con il genius loci.

Ancora una volta il cinema di Hosoda riporta al centro i valori reali dell’esistenza: la famiglia, l’identità storica e generazionale, la tradizione, la riscoperta di quel passato finora nascosto, quasi fosse qualcosa di cui vergognarsi.

 

PS. Peccato per la mancata traduzione del nome della bambina. “Futura dal futuro” avrebbe permesso di conservare tutti i giochi di parole dell’originale. E sarebbe stato un bell’omaggio a una delle più toccanti canzoni italiane del XX secolo.

@barbadilloit

 

Emanuele Mastrangelo

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