Storia. La Fiat 700, un’auto mai nata a causa della Guerra

La Fiat 700

Pioveva su Torino, quel 15 maggio 1939, almeno ad inizio mattinata.  Una settimana dopo Ciano e von Ribbentrop avrebbero firmato a Berlino il ‘Patto d’Acciaio’ (Stahlpakt), ufficialmente Patto d’Amicizia e d’Alleanza, tra i governi del Regno d’Italia e della Germania. Già soffiano sull’Europa e per l’Italia non desiderati venti di guerra, meno che meno a Torino: tutti lo sanno e lo temono.

Il nuovo grande e moderno stabilimento della Fiat a Mirafiori era stato costruito fra il 1937 ed il 1939 su decisione del senatore Giovanni Agnelli. Benito Mussolini inizialmente era stato contrario al progetto. Pericoloso riunire tanti operai d’incerta fede fascista, npn pochi ancora socialisti e comunisti nell’animo. Lui è poi fautore del decentramento nella localizzazione della produzione, contrario alle politiche di accentramento di complessi industriali di vaste dimensioni in un solo luogo. Preferisce una distribuzione geografica che non trascuri il Mezzogiorno e vada al di là del triangolo settentrionale. Inoltre a far crescere i dubbi di Mussolini concorrono fattori di ordine militare, da lui ritenuti non secondari: la vulnerabilità della fabbrica, ubicata a ridosso della città, prossima al confine francese, che sarebbe stata un facile bersaglio per eventuali attacchi aerei, come in effetti poi fu.

 Quindi il Duce aveva cambiato idea. Il nuovo stabilimento, sorto per la tenace volontà di Agnelli – che si era furbescamente servito della buona volontà di salesiani amici affinchè i proprietari dei terreni non alzassero i prezzi! (ma in quel tempo i capitalisti rischiavano in proprio, senza apporti di ‘Fondi’ di dubbia origine ed ammortizzatori sociali) –  alla periferia di Torino, dove nel 1585 il duca Carlo Emanuele I di Savoia fece costruire un  sontuoso castello per la sua sposa, la spagnola Catalina Micaela d’Austria, ricco di giardini e fioriture, da cui il nome di ‘Miraflores’, si presenta in effetti come

‘una fabbrica modello e questo non solo per le innovazioni riguardanti il comparto produttivo, ma anche, e nell’immaginario del regime fascista soprattutto, per il progresso sociale legato agli ambienti di lavoro. Parole come igiene, sicurezza e “conforto” fanno da sfondo a tutte le descrizioni delle caratteristiche della nuova struttura che può contare su un refettorio per 11.000 commensali lungo 560 metri e munito di scaldavivande e radio, voluto dallo stesso Mussolini secondo cui “l’operaio che mangia in fretta e furia vicino alla macchina non è di questo tempo fascista”, vari refettori di reparto, ambulatori e servizi di assistenza sanitaria, spogliatoi con armadietti individuali, lavabi e docce, una rimessa per circa 10.000 biciclette e ricoveri antiaerei per la totalità dei presenti in fabbrica, tutti servizi che oltre ad attestare ed esaltare “il progresso sociale della nuova fabbrica”, hanno anche la finalità di rafforzare nei dipendenti il senso di appartenenza a quella che Agnelli chiama “la nostra famiglia di lavoro”. Perciò la direzione Fiat costruisce su un’area di 270.000 metri quadrati attigua alle officine di Mirafiori anche “una nuova ed adeguata sede del dopolavoro aziendale Fiat”, con un parco per auto e cicli di circa 3.500 metri quadrati, una piscina scoperta di metri 30 per 50 con annessa spiaggia di 800 metri quadrati, un bocciodromo comprendente cento campi da gioco, una pista di pattinaggio a rotelle, uno spiazzo per il tiro con l’arco e uno per quello con la carabina, campi da tennis, da pallacanestro, da palla a volo, vari edifici con sale e salette di riunione e un locale per birreria e giuochi al coperto’. 

(In: M. Tomatis, C. Ghigliano, Torino 1938-45. La città delle fabbriche. Fiat Mirafiori, 1999, in http://www.istoreto.it/to38-45_industria/schede/fiat_mirafiori.htm). 

Diventa così, agli occhi del Duce, che lì arriva quel giorno su di una magnifica Fiat 2800 scoperta, la “fabbrica perfetta del tempo fascista”, ancorchè non in funzione: 

‘La dirigenza della Fiat organizza la giornata convocando varie decine di migliaia di operai di fronte allo stabilimento e allestendo un palco scenografico celebrativo del regime fascista. Così fin dalle prime ore del mattino del 15 maggio migliaia di dipendenti dell’azienda (operai ed impiegati) giungono a Mirafiori: schierati intorno alla pista a doppio otto per i collaudi, lungo la fiancata dell’officina principale, attendono per più di due ore sotto la pioggia l’arrivo di Mussolini. Al centro della pista campeggia una scritta DUX, mentre il palco dal quale il duce prende la parola si trova sotto un pilastro ornato da fasci e aquile romane e dall’iscrizione “Mussolini duce dell’Italia fascista fondatore dell’impero, inaugura la nuova Fiat presenti i suoi 50.000 lavoratori”. Una coreografia senza eguali, dalla fortissima valenza simbolica ripresa anche dagli operatori dell’Istituto Luce, giunti a Torino per fare della cerimonia “un apposito documentario da proiettare nelle sale”. Ad attendere Mussolini ci sono così, oltre ad Agnelli  e alle autorità, circa 50.000 lavoratori con precise istruzioni circa la linea di condotta da tenere: “ci avevano detto che quando parlava… quando arrivava si doveva battere le mani, invece nessuno ha fatto niente di tutto questo”. Infatti, quando Mussolini, verso le dieci del mattino, fa la sua comparsa sul podio non riceve che pochi applausi e qualche acclamazione proveniente dalle prime file, composte per la gran parte da impiegati e militanti di partito. Verso la fine del suo discorso, palesemente irritato, afferma che la linea di condotta del regime verso le classi lavoratrici sarebbe stata quella già definita nel suo discorso di Milano del 6 ottobre 1934 (ovvero la promessa per gli operai di avere un lavoro garantito, un salario equo, una casa decorosa, la conoscenza del processo produttivo e la partecipazione alla sua disciplina), ma le sue parole non suscitano l’entusiasmo che attende. Allora si rivolge ai presenti (n.d.r. facendo un errore) chiedendo se questi ricordino le parole dell’intervento milanese, ma sui 50.000 lavoratori presenti solo circa 400 di essi risposero di sì. Si vide allora il Duce, seccato, dire testualmente: “Se non lo ricordate, rileggetelo”. 

 (cfr. L. Passerini, Torino operaia e fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1984; V. Castronovo, FIAT. 1899-1999. Un secolo di storia italiana, Milano, Rizzoli, 1999, in parte riprodotti in https://immagininarrate.wordpress.com/2017/06/08/mussolini-e-linaugurazione-della-fiat-mirafiori-a-torino; il filmato Luce è visibile in: https://www.youtube.com/watch?v=J0x9Gv5ke_4 ecc.).

E abbandonò il podio, salutando frettolosamente, seguito da Agnelli in orbace, come si rileva anche dal filmato Luce. La visita del dittatore – che già amava poco Torino, considerandola francesizzante e troppo devota alla Dinastia – ai reparti di Mirafiori passa alla storia, per alcuni storici, “come un momento di rottura tra regime e lavoratori di eccezionale portata”; un “simbolo della resistenza culturale”, secondo Luisa Passerini. Esagerato. Non senza qualche ragione, una spiegazione di parte fascista assicurava che le cause non andavano fatte risalire al malcontento dei lavoratori, pur stimolato da autarchia e difficoltà economiche, ma piuttosto al fatto che fare “ammassare gli operai sotto la pioggia e farli attendere ore e ore in piedi l’arrivo del Duce non predisponeva alla benevolenza un uditorio”. Tuttavia, la stampa suonò la grancassa, come al solito:

           

Il primo modello che avrebbe dovuto essere prodotto nei due milioni di m2 del nuovo stabilimento, progettato da Vittorio Bonadè Bottino, era la Fiat 700, vettura utilitaria tra la “Topolino” e la “Balilla”. Michele Moraglio, storico dell’auto, ci racconta nel suo bel sito web, il 2 settembre 2017:

‘FIAT 700, UN MODELLO MAI ENTRATO IN PRODUZIONE A CAUSA DELLA 

SECONDA GUERRA MONDIALE’

La prima vettura della gamma 1940, costruita e sperimentata estensivamente fra il 1939 e il 1941, fu la FIAT 700. Modello presentato al pubblico in occasione dell’inaugurazione di Mirafiori nel maggio 1939. Rimane l’unico prototipo presentato al Duce ed al pubblico in occasione dell’inaugurazione di Mirafiori nel maggio 1939. Furono allora esposte una berlina blu e una cabriolet amaranto (n.d.r. sulla quale Mussolini si soffermò a lungo), di cui si trova ancora menzione nell’inventario Fiat del 1943; delle due è giunta a noi solo la berlina blu del Centro Storico Fiat. Nel verbale del Consiglio di Amministrazione di febbraio 1939 si scriveva, riferendo della “700” che: “l’azione governativa potrà in questo modo essere accompagnata a completare l’opera di sempre maggiore volgarizzazione dell’automobilismo in Italia, che la Fiat si propone quest’anno di rafforzare con la preparazione della nuova quattro posti popolare che sarà licenziata ai primi del 1940”. Quanto all’aspetto estetico della “700” confrontandola con la “1100”, si poteva constatare come la riduzione di lunghezza (il passo era di 2.200 mm. contro 2.420 nella “1100”) diminuisse di soli 35 mm. lo spazio disponibile in lunghezza per i posti posteriori; il posto di guida non era diverso da quello della “1100” ed il sedile posteriore era solo leggermente più stretto a causa dell’ingombro dei passaruota’. 

    (in: https://www.michelemoraglio.it/fiat-700fiat-600-seconda-guerra-mondiale).

Nel Centro Storico Fiat di Via Gabriele Chiabrera 20, Torino, un edificio modernista costruito durante il primo ampliamento (1907) della fabbrica di Corso Dante, dove nel 1899 nacque la F.I.A.T., possiamo ammirare l’unica superstite della ‘quattro posti popolare’, col muso simile a quello della 1500 C e della 2800:              

                                   

 (Centro Storico Fiat. Di Maurizio Torchio, direttore, Opera propria, CC BY-SA 3.0,     https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24598517)

 

 

L’autore del progetto della 700 era l’ingegner Dante Giacosa (1905-1996), considerato uno dei maestri della scuola motoristica italiana. Già nel 1933 venne promosso capo dell’ufficio tecnico vetture della Fiat. Fu attivo in ogni branca della progettazione motoristica, dal settore autovetture a quello aeronautico, da quello marino a quello dei grandi motori per impieghi industriali ed energetici, a quello dei veicoli militari e speciali. Giacosa talora non si occupò non solo dell’aspetto motoristico, ma anche del disegno generale delle vetture, come nel caso della Nuova 500 del 1957, che è rimasto forse il più famoso della sua carriera. Senza dimenticare la 600. Anche il Centro Stile Fiat fu sempre sotto la sua guida. Il 29 gennaio 1970 la FIAT annunciò la sua nomina a consulente della presidenza e della direzione generale e a rappresentante della società presso enti nazionali ed internazionali. Si dedicò a consulenze ed alla scrittura di vari libri di memorie, in uno stile sobrio, discreto. Dal 1947 al 1966 fu professore al Politecnico di Torino per il corso di Costruzione di Motori. 

Come auspicato dal Regime, con la Fiat 500 A “Topolino”, del 1936, venduta al prezzo di Lire 8.900, la Casa torinese aveva risposto all’esigenza di avere sul mercato una vettura utilitaria accessibile anche alle famiglie della media borghesia. Le auto piccole non riducono però significativamente i costi di produzione. Il loro relativamente basso prezzo di vendita (per la 500 A), oltre che per pressioni politiche è per evitare fenomeni di “cannibalizzazione”, ma le rende non solo claustrofobiche, ma scarsamente appetibili. E non dà apprezzabili guadagni.  Peraltro, il senatore Agnelli non ne voleva sapere di trazione anteriore (come la coeva T.A. della Citröen), soluzione da Giacosa preferita, alla pari di Oreste Lardone, primo progettista, e la Fiat aspetterà altri 30 anni prima d’immettere sul mercato la 128, finalmente con motore e trazione sulle ruote anteriori!

Bisognava, quindi, provare con un nuovo modello, più simile alla Balilla 1100 (ma in vendita a ben 19.500 Lit.) che alla Topolino 500. E fu la Fiat 700.

 Approfondiamo l’analisi del progetto. Scrive Moraglio:

‘Scocca integrata. L’intensità degli studi condotti sulla carrozzeria può essere dedotta dai quattro brevetti conseguiti fra il 1935 e il 1939. Uno di essi, del 1938, riveste particolare interesse perché individua un dettaglio progettuale, ripreso su quasi tutte le scocche integrate anche recenti, precisamente il brevetto prevedeva, su ciascun fianco della vettura, un longherone integrato con il pavimento (il cosiddetto brancardo) che, per non interrompere la sua continuità doveva essere modellato, in corrispondenza dell’assale posteriore, con curvature in elevazione e in pianta, per creare lo spazio necessario al movimento della sospensione. Troviamo completa applicazione di questo brevetto sulla carrozzeria della “700”, lo schema di struttura applicato consiste, quindi, in un pavimento in lamiera, con un rinforzo scatolato a forma di doppia omega che lo circonda lungo tutto il contorno, offrendo gli attacchi ai montanti che si collegano al tetto’. 

Nonostante che nel Consiglio di Amministrazione del Luglio 1939 si riferisse del completamento della sperimentazione e della messa in funzione delle principali attrezzature di stabilimento, gli attesi incentivi governativi non furono mai approvati. Invece, nel febbraio del 1940, a causa della Guerra, che ancora ci vedeva neutrali o non-belligeranti, si ebbe la prima di una serie di sospensioni alla circolazione stradale, seguita dai prevedibili effetti sul mercato dell’automobile che fecero abbandonare ogni speranza su un prossimo sviluppo. Non vi erano più le condizioni per iniziare la produzione della nuova “700”.

(Foto d’archivio, 1939. Prototipo della Fiat 700 Cabriolet color amaranto, “toccato” dal Duce, e scomparso durante la guerra. L’apertura del tetto non compromette la resistenza della scocca.)

Si può notare che, pur mostrando stile e proporzioni della 1100, l’automobile possiede dimensioni inferiori e due sole porte. Occorre premettere che i dettagli tecnici della 700 sono alquanto più rilevanti e originali del suo stile e stupisce come si fosse deciso di nasconderli in forme così anonime e già allora superate. La 700, infatti, applicava tecnologie innovative, estese anche agli altri modelli di questa gamma mai prodotta; l’obiettivo di queste automobili era di contribuire a diffondere la motorizzazione in Italia. Le carrozzerie, progettate tenendo anche in attenta considerazione la resistenza aerodinamica, erano costruite in acciaio ed erano collegate saldamente al telaio, formando un insieme leggero e resistente. Solo nelle Fiat 1500 e 2800, alcuni elementi dell’ossatura restavano costruiti in legno, tuttavia senza alcun pregiudizio per le prestazioni strutturali; la scelta non era dovuta ad arretratezza tecnologica, ma al fatto che l’impiego di ossature di legno permetteva la semplificazione della forma dei rivestimenti esterni, riducendo, di conseguenza, il numero degli stampi necessari e, quindi, i costi di questi modelli di limitata produzione. La 500 e la 1100 avevano, invece, anche l’ossatura costruita completamente in acciaio. Non erano ancora carrozzerie integrate al telaio, quali potevano già vantare alcune Lancia (Augusta e Aprilia) e la Citroën Traction Avant ma, tuttavia, potevano assumere un compito strutturale importante, grazie all’efficace collegamento al telaio. A dimostrazione di questa capacità, si può ricordare che questi autotelai, a causa della loro flessibilità, non potevano affrontare la strada, se non completati con la carrozzeria, com’era invece possibile per i loro predecessori progettati con criteri convenzionali. Si trattava, cioè, di una ‘scocca semi-portante o integrata’. 

Vediamoli alcuni interessanti dettagli tecnici, attingendo al già citato sito di Michele Moraglio.

                                               

                                               CAMBIO SINCRONIZZATO

Il cambio a quattro marce, fu migliorato rispetto a quello delle “1100” e “1500” il cui progetto risaliva alla seconda serie della Balilla. Nei cambi più vecchi, i sincronizzatori erano semplici anelli conici di bronzo, montati sul manicotto d’innesto. Esercitando sulla leva del cambio uno sforzo non troppo intenso si poteva portare le due parti dell’ innesto alla stessa velocità, prima che i denti venissero a contatto. Tuttavia, con un’azione troppo energica, era possibile provocare l’innesto prima che la sincronizzazione fosse compiuta, con sonore grattate. Il sincronizzatore della “700” aveva, invece, gli anelli conici flottanti, montati con gioco all’interno del manicotto, come può vedersi dalla sezione, un gioco angolare pari a mezzo dente impediva al manicotto d’innesto di avanzare se l’anello conico era trascinato in un verso o nell’altro dalla differenza di velocità delle due parti da collegare fra loro: in questo modo era possibile completare la manovra solamente a sincronizzazione avvenuta. Gli anelli del sincronizzatore erano spostati assialmente da molle di forma particolare, studiate per trasmettere alla mano del guidatore la sensazione del punto d’innesto. Cambio con terza e quarta sincronizzate. Nonostante il miglioramento dei sincronizzatori, che comportò un aumento della loro lunghezza, la particolare disposizione con le ruote di prima, seconda e retromarcia concentriche al sincronizzatore lo rese particolarmente compatto.

                                             MOTORE A QUATTRO CILINDRI

Il motore a quattro cilindri con valvole in testa ripresentava l’architettura del “1100” in dimensioni più contenute, con un alesaggio di 60 mm e una corsa di 65 mm, corrispondenti alla cilindrata di 735 cm3. La potenza raggiungeva 22 CV a 4.400 giri/min. Testa e basamento erano costruiti in alluminio e la testa di disegno, più complicato per la presenza dei condotti di aspirazione e scarico e per l’intercapedine di raffreddamento, era fusa in terra come per gli altri motori; il basamento era, invece, fuso in conchiglia. Un brevetto del 1929 precisa come si pensasse di utilizzare questo processo fusorio. La conchiglia, costruita in acciaio per non essere distrutta dopo ogni colata, come nel caso della fusione in terra, non permetteva di realizzare forme troppo complesse, con cavità interne estese, come avrebbero comportato l’intercapedine per l’acqua di raffreddamento e la cavità di alloggiamento dell’asse a camme e delle punterie. Si era, per questo, progettata una forma di basamento aperta sia superiormente, sia sul fianco occupato dalla distribuzione, come si può rilevare nella sezione trasversale. Le canne dei cilindri erano costruite in ghisa, calzate in sedi dedicate e trattenute in posizione da un colletto compresso dalla testa. Il fianco sinistro del basamento era completamente aperto e sagomato con protuberanze che formavano, dopo opportune forature, le sedi di scorrimento delle punterie ed i supporti dell’asse a camme; il vano della distribuzione era chiuso da un leggero coperchio di lamiera.

                                                       

                                                           SOSPENSIONI

Anche gli studi svolti sulla sospensione anteriore sono testimoniati da due brevetti del 1937 e del 1941. Fu sviluppata la sospensione a quadrilateri trasversali con bracci di diversa lunghezza, con l’appoggio della molla ricavato sul montante cui era collegata la ruota; inoltre, per risparmiare peso, la leva superiore del quadrilatero era integrata con quella dell’ammortizzatore di tipo “Houdaille”. I bracci della sospensione non erano quindi interessati dai carichi verticali insistenti sulla ruota e potevano essere esili e leggeri; inoltre, si potevano limitare anche le sollecitazioni sulle boccole, allora particolarmente delicate. La sospensione posteriore della “700” era invece ancora di tipo classico con un ponte rigido su balestre semiellittiche. 

Inizia, purtroppo, dopo la non-belligeranza, anche per l’Italia il non-desiderato conflitto, il 10 giugno 1940. Nel timore di bombardamenti alleati sul Lingotto, i prototipi sperimentali – dei progetti 400, una vettura singolare, piccolissima, uno spider a due posti, e 700 – sono trasferiti a Cigliano, mentre Giacosa con la sua équipe si sposta a Mirafiori. Ma di fronte alla prospettiva di incursioni anche su Mirafiori, pure Giacosa si trasferisce alfine a Cigliano. 

Come ha scritto Lorenzo Morello, I prototipi FIAT degli anni ’40, la gamma FIAT del 1940 avrebbe compreso quattro modelli, 400, 700, 1300 e 1900, caratterizzati da elementi concettuali comuni, quali il motore con basamento in alluminio, il cambio predisposto per tre marce sincronizzate e automazione, la scocca integrata con il telaio e sospensioni più leggere (cfr. http://www.retrovisore.it/?s=fiat+400). Il lavoro svolto in parte servirà per la 1100 E. Poi, a metà degli anni ’50, soprattutto per lo sviluppo della 600 e della Nuova 500, auto però con motore e trazione posteriore. 

E della 700 non si parlerà più.

       

              (sopra: Fiat 1100 E ‘musone’, 1949. Una 700 più grande,  a 4 porte)

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Gianni Marocco

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