Focus Oriente 72. La Turchia da Atatürk a Erdogan e il confine tra laicità e islamismo

Erdogan con Ataturk sullo sfondo

Laicità o islamismo. Occidente o Medio oriente. Atatürk o Erdoğan. Il vizio di fondo del sintetico saggio di Marco Guidi, Atatürk addio. Come Erdogan ha cambiato la Turchia (Il Mulino, 2018), è l’acritica e passiva accettazione di questa logica binaria e senza sfumature. Una logica forzatamente riduzionista, intellettualmente sovrapponibile alla tesi dello scontro di civiltà di Huntington: quella della Turchia come “Stato lacerato”, indeciso tra due opzioni identitarie alternative e confliggenti abbracciate da due segmenti opposti della popolazione. Dal ragionamento è pregiudizialmente espulsa ogni opportunità di avvicinamento, di mediazione, di contaminazione, di confluenza in un progetto di società condiviso. 

E se le lenti sono inadeguate, il rischio è di percepire in modo deformato la realtà che ci circonda (precisa è invece la ricostruzione storica condensata in alcuni veloci capitoletti). Ancor più se mancano – come in Atatürk addio – fonti, citazioni, riscontri, testimonianze a sostegno delle proprie affermazioni; e nonostante l’ex inviato di guerra de Il Messaggero si professi conoscitore diretto del paese dal 1969, nel suo libro latitano persino tracce di vita vissuta. La Turchia raccontata è invece vista dall’esterno, filtrata magari da echi di stampa (di quella stampa adusa a delegittimare tutto ciò che è islam politico): e la complessità delle trasformazioni in corso – politiche, cultuali, economiche, sociali – viene banalizzata in questa sfida infinita tra “buoni” di un tempo mitizzato e “cattivi” di oggi.

L’interpretazione esplicitata è quella di un processo di inarrestabile involuzione determinato da  Erdoğan e dal suo Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp), al potere dal 2002 e di dichiarata ispirazione islamica. Ma la spiccata sensibilità religiosa dei suoi membri e la volontà del presidente di formare una nuova generazione pia fanno dell’Akp un partito islamista, che ha come obiettivo la trasformazione in chiave islamica di leggi e istituzioni? Guidi non spiega perché, ma per lui differenze non ce ne sono. Erdoğan è un “presidente-sultano” (da notare, lo sprezzo orientalista peraltro diffusissimo nella pubblicistica italiana), è “sempre più fondamentalista”, vuole in tutto e per tutto sostituirsi ad Atatürk – abolendo la sua repubblica laica e filo-occidentale – come nuovo Padre nobile della Turchia; in più, vuole superare l’ancoraggio europeo per accreditarsi come riferimento e guida di tutto l’Islam sunnita.

Ma quali sono le prove della “reislamizzazione accelerata” denunciata dall’autore? In cosa consiste? Che forme prende? Alcuni passaggi disseminati nel testo ci aiutano a comprendere la sua versione. Innanzitutto: “Donne velate ovunque, divieto di scambiarsi affettuosità in pubblico anche con il marito, lotta contro l’alcol, il fumo, rischi seri per chi non digiuna durante il Ramadan”. Poi: c’è “il sospetto che, in ottemperanza alle leggi coraniche, il prossimo passo sia il riconoscimento della poligamia”. Inoltre: esiste la “volontà di eliminare dal vocabolario le parole derivate da lingue europee, sostituendole con termini turchi o, in mancanza, arabi e persiani”.

Il punto è che queste prove vengono smentite dai fatti: sono fake news, o comunque esagerate strumentalizzazioni. Sorvoliamo sulle cosiddette “donne velate”, spesso donne in carriera che esibiscono abiti e foulard alla moda e seducenti. Ma del divieto di “scambiarsi affettuosità in pubblico” proprio non c’è traccia, nella legislazione turca: è una plateale falsità. Così come sono falsi, del tutto inventati, i “rischi seri per chi non digiuna durante il Ramadan”: un’avventurosa affermazione che Guidi sgancia lì, come sempre senza il minimo riscontro.

Proposte per reintrodure la poligamia, ovviamente non esistono né troverebbero il favore dell’elettorato turco: non ha senso parlarne, a meno che non si vogliano terrorizzare i lettori col sempiterno spauracchio dell’islam incompatibilmente conquistatore. Mentre è emblematico il sillogismo che il giornalista bolognese applica alla controriforma del dizionario (anche in questo caso, senza riscontri): la riforma linguistica di Atatürk ha portato all’eliminazione di molte parole turche arcaiche e di origine araba e persiana e alla loro sostituzione con termini anche stranieri, Erdoğan è in tutto e per tutto ostile alla repubblica di Atatürk, di conseguenza Erdoğan vuole reintrodurre le parole perdute e fare tabula rasa di quelle straniere. Lo ha stabilito lui. 

Ma non dovrebbe essere compito essenziale di chi fa informazione partire dai fatti, tener conto di tutti i fatti e non solo di quelli che combaciano – o che vengono fatti combaciare – con la propria tesi precostituita e ideologicamente orientata? Addirittura, nella conclusione ci tiene a sottolineare come i gesti di naturale e privilegiata gentilezza dei turchi verso gli italiani hanno resistito allo tsunami reislamizzante. E perché mai, eventualmente, un musulmano osservante dovrebbe smettere di essere gentile verso un italiano? Solo per contrapposizione religiosa, magari? Ma no, la Turchia descritta da Marco Gudi – una distopia apocalittica – non esiste: ed è meglio così. 

*Atatürk addio. Come Erdogan ha cambiato la Turchia (Il Mulino, 2018) di Marco Guidi

https://www.mulino.it/isbn/9788815274830

@barbadilloit

Giuseppe Mancini

Giuseppe Mancini su Barbadillo.it

Exit mobile version