Cinema. Un secolo fa Rita Hayworth nasceva a New York

La Hayworth nella pellicola Salomè
La Hayworth nella pellicola Salomè

Rita Hayworth e Gilda saranno poi una cosa sola, simbiotica, iniziavo con questo pensiero il precedente articolo sull’argomento. Poche altre volte un film ha, infatti, talmente  riassunto personalità e ricordo di un’attrice, la straordinaria “Dea dell’Amore”. Il noir del 1946, prodotto dalla Columbia Pictures e diretto da Charles Vidor con Rita Hayworth, Glenn Ford e George Macready quali attori principali, ambientato in una improbabile Buenos Aires. Reso celeberrimo dalla sensuale interprete, dall’appena accennato suo streaptease e dal leggendario, sonoro schiaffo propinatole dal furioso, umiliato marito (Glenn Ford).

Il meraviglioso abito lungo, di raso nero, indossato da Rita Hayworth, contribuì al successo:

Realizzato dal costumista statunitense Jean Louis, il design dello stesso  ha contribuito a consolidare l’immagine di Rita femme fatale nell’immaginario collettivo, oltre ad essere universalmente riconosciuto come icona della moda e del cinema. Lo stilista parigino Jean Louis, costumista della Columbia Pictures collaborò con  Rita Hayworth in nove film dal 1945 al 1959. Jean Louis viene definito “un ingrediente essenziale nella formula che creò l’immagine di Rita Haywort”. Ad aprile 2009, il vestito doveva essere venduto presso la casa d’asta di Forrest J. Ackerman. Il prezzo iniziale stimato era fra i 30.000 ed i 50.000 dollari. Fu ritirato. Il vestito è un tubino in raso nero con scollatura dritta che lascia completamente scoperte le spalle. Il vestito è lungo sino al suolo ed ha un profondo spacco laterale. Nella scena del film Gilda, in cui compare, l’abito è abbinato ad un paio di guanti lunghi sino alle spalle. Per poter indossare l’abito, Rita Hayworth fu costretta ad indossare un corsetto, dato che appena pochi mesi prima, aveva partorito Rebecca, e non era ancora tornata in piena forma. Inoltre per far sì che l’abito rimanesse al suo posto durante la coreografia, Jean Louis studiò una imbracatura, da indossare sotto al vestito. L’imbracatura era composta da tre sartiame – una sotto il seno, una al centro e uno sul lato. Inoltre della plastica morbida era stata modellata intorno alla parte superiore della gonna. 

(cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Vestito_nero_di_Rita_Hayworth)

Quando i soldati americani tornarono dalla guerra s’incontrarono presto con Gilda. Tutti parleranno, e molto, di lei. Gilda non fu solo un film, ma un simbolo, qualcosa con cui gli statunitensi dell’epoca convivevano ed adoravano. Era nato un mito che settant’anni dopo mantiene il suo vigore. Divenuta ormai una star universale, la Hayworth venne soprannominata la “Dea dell’amore ed il nome Gilda fu dato a una bomba atomica sperimentale lanciata sull’atollo di Bikini.

Nessuna  ‘Hollywood star’ fu più  popolare tra le truppe americane durante il Secondo Conflitto Mondiale di Rita Hayworth. Grazie alla foto della copertina di LIFE Magazine, dell’11 agosto 1941, mesi prima dell’ingresso ufficiale in guerra (dicembre 1941); con il suo intimo due pezzi bianco, su di una spiaggia, Rita divenne subito l’american pin up più eccitante, ammirata,  desiderata, riprodotta, imitata. Quella copertina fece innamorare di lei il geniale Orson Welles.

Riconosciuta una  fra le più belle e seducenti donne della storia del cinema, Rita Hayworth si è conquistata un posto nell’immaginario collettivo come la prorompente e tentatrice Gilda, personaggio che ha portato con enorme successo sullo schermo, ma che l’ha poi confinata nel ruolo stereotipato della pin up, offuscando così le sue doti d’interprete. A partire dagli avvenimenti legati alla carriera dell’attrice, la cui immagine, dal cambiamento del nome, sino al colore ed all’attaccatura dei capelli, fu costruita a tavolino dagli studios, nel personaggio di Gilda sono riassunte le caratteristiche di Hollywood, come macchina per la produzione dei sogni, e dello star system. Il film diretto da Charles Vidor è un noir, non un musical. Fu il primo ruolo drammatico dell’attrice, che, negli anni successivi, difficilmente riuscì a sottrarsi al personaggio della femme fatale. Eppure la donna era molto più di quello, di una “bomba sexy” e di una eccellente ballerina (il difficile Fred Astaire disse che era stata la sua partner di maggiore talento).

  L’American Film Institute ha inserito la Hayworth al diciannovesimo posto tra le più grandi star della storia del cinema d’ogni tempo. Peccando per difetto. Rita era brava sia nell’interpretare commedie, sia nei ruoli drammatici. L’attrice affiancò, con successo, i maggiori divi dell’epoca in pellicole di diverso genere, da James Cagney nella commedia Bionda fragola (1941), a Tyrone Power nel dramma sentimentale Sangue e arena (1941), cimentandosi anche nei musicals, come in Non sei mai stata così bella (1942), accanto a Fred Astaire, ed in Fascino (1944), al fianco di Gene Kelly. In La dama de Shanghai, un noir, sarà diretta ed accompagnata sul set dal proprio marito Orson Welles. 

Rita Hayworth, nome d’arte di Margarita Carmen Cansino (1918–1987), vide la luce a Brooklin il 17 ottobre 1918, figlia di Eduardo Cansino, spagnolo di Andalusia, e di Volga Hayworth, una ballerina ed attrice statunitense di sangue inglese ed irlandese. 

Il padre era nato a Castilleja de la Cuesta, ma tutta la famiglia era del paese sivigliano di 

Paradas, dove il nonno Antonio per campare suonava la chitarra. Eduardo Cansino, ballerino come la sorella con la quale aveva formato un duo, giunse negli Stati Uniti in cerca di fortuna. Campavano in compagnie modeste. L’uomo, ambizioso, cercò un’altra partner, Volga Hayworth, corista del celebre balletto di Ziegfeld Follies di New York, ispirato alle parigine Folies Bergères. Lì nacque la figlia che un giorno serebbe stata la famosa Rita Hayworth, poi addirittura una principessa, che suo padre sfruttò professionalmente; frequentemente la picchiava e, probabilmente, la abusava pure sessualmente. Non pochi hanno interpretato il successivo, difficile rapporto di Rita con gli uomini, come una freudiana conseguenza dei traumi sofferti nell’infanzia ed adolescenza. 

La donna si sposò e divorziò cinque volte. Una volta disse: “Basically, I am a good, gentle person, but I am attracted to mean personalities”. Già, personalità difficili, intriganti e dannose.

Aveva appena tredici anni Rita, quando debuttò al fianco del padre, presentando un numero di flamenco. A Tijuana, alla frontiera con il Messico, le permettevano di esibirsi anche a quell’età. Lì l’adolescente ebbe l’occasione di vivere in ambienti sordidi, impregnati di alcol e prostituzione, fingendo d’essere la moglie del padre.

Entrò, comunque, nel mondo del cinema. La nave di Satana (Dante’s Inferno) è un film del 1935 diretto da Harry Lachman e sceneggiato da Philip Klein e Robert Yost. Nei ruoli principali  Spencer Tracy e Claire Trevor. Nel cast anche una sedicenne Rita Hayworth, con il vero nome di Rita Cansino, nei panni di una ballerina, che compare, con una chioma di capelli ancora neri, nella scena di un ballo alla fine del film.

Nello stesso anno, il produttore Harry Cohn (serial stalker di tutte le attrici, “degno predecessore” dell’Harver Weinstein dei nostri giorni) restò colpito dalla bellezza latina della ragazza e le procurò un contratto con la sua Columbia Pictures, cambiandole il nome in Rita Hayworth (il cognome della madre). Il look di Rita venne rielaborato grazie, soprattutto, ad un drastico intervento estetico: per ovviare all’attaccatura di capelli troppo bassa sulla fronte e sulle tempie, la Hayworth dovette sottoporsi a varie sedute di elettrolisi per eliminare il problema. La sua folta capigliatura passò poi dal bruno al rosso, e questa nuova colorazione, unita al naturale fascino ed al fisico armonioso dell’attrice, fu messa in risalto in una serie di film di successo. 

Nel 1937, appena diciottenne, Rita Hayworth si sposò a Las Vegas con Edward Judson, un promotore petrolifero che aveva dodici anni più di lei. Judson ha svolto un ruolo non secondario nel lanciare Rita come attrice, grazie a conoscenze dell’ambiente. Divorziarono nel 1942 e l’attrice si risposò con Orson Welles (Kenosha, Wisconsin, 1915 – Hollywood, 1985) nel settembre 1943. Era già era un “mostro sacro”. Quarto potere (1941), il più grande successo di Welles, è considerato uno dei migliori film della storia del cinema.  La sua fama è aumentata dopo la morte  ed è ritenuto dalla critica uno dei maggiori registi cinematografici e teatrali del XX secolo.

 Il matrimonio durò cinque anni e, forse, il momento più felice della coppia fu la nascita della figlia Rebecca nel 1944, nome che la bella mamma scelse, dirà, ricordando la pellicola  “Ivanhoe”. Orson la tradì con Judy Garland ed altre donne famose. Nonostante un film girato insieme, The Lady from Shanghai, nel 1947, un altro noir ed un estremo intento di Rita (nell’occasione tinta di biondo) di recuperare l’amore perduto, esso terminò in divorzio.

È stato scritto, a proposito di quest’ultima, che certe pellicole non avrebbero dovuto mai girarsi. Non perchè pessime, ma in quanto i risultati sono molto distanti dalle aspettative, soprattutto considerando il cast and crew eccezionale. Orson Welles svolge tutte le parti, dal produttore all’attore, ma recita male, con una declamazione monotona e noiosa; il testo della sceneggiatura, dello stesso Welles, è affrettato e debole; di fronte alla stupenda moglie platinata  l’attitudine del personaggio da lui interpretato sovente pare quella di un tonto, al punto tale che può sorgere il sospetto che Welles sia stato uno dei maggiori bluff della storia della Settima Arte. Lo stesso, peraltro, confessò un giorno: “ Ho iniziato dalla vetta e da allora non ho fatto che cadere!”

 

 L’anno dopo fu la volta di Gli amori di Carmen (The Loves of Carmen), diretta da Charles Vidor e con attori  protagonisti ancora Rita Hayworth e Glenn Ford. È la nota storia di Carmen (Rita Hayworth), la giovane e bella moglie di un bandito (Victor Jory), che seduce ed inganna l’ingenuo soldato José (Glenn Ford), conducendolo alla rovina. Il marito bandito finirà per ucciderlo in una rissa. Carmen è, come Gilda, una donna libera, la cui unica perversione consiste nello scegliere con troppa facilità i suoi amanti, e la gelosia che prova  e suscita nei loro confronti. Carmen è uno dei personaggi che ha avuto il maggior numero di interpretazioni in tutto il mondo, iniziando dalla novella di Mérimée e nell’omonima opera di Bizet: un personaggio inafferrabile, caratterizzato da una sfavillante carica erotica e da un tragico fatalismo. 

In ogni caso sarà un notevole fallimento cinematografico e commerciale.

Dopo il divorzio da Welles, ed una sospensione dalla Columbia per violazione di obblighi contrattuali, Rita Hayworth è essenzialmente una donna fragile ed alla ricerca di un uomo che si prenda cura di lei. Pare trovarlo nel principe ismailita Alì Khan, figlio del ricchissimo Aga Khan, 47mo Imam di  20 milioni di Naziriti, residenti specialmente in India e Pakistan, che sposò a Cannes il 27 maggio 1949. Nel banchetto di nozze, per 500 invitati americani ed europei, si consumarono  50 libbre di caviale, 600 bottiglie di champagne ed altre delizie ai bordi di una piscina colma di Acqua di Colonia… 

Alì Solomone Khan era nato a Torino il  13 giugno 1911, figlio minore dell’Aga Khan III e della torinese Cleope Teresa «Ginetta» Magliano (1888-1926), una fresca e graziosa danzatrice del Ballet Opera di Monte Carlo. Ginetta, poi convertitasi all’Islam, sposò legalmente il suo uomo in Nord Africa  nel 1923, dopo 15 anni di “convivenza contrattuale” – secondo la mutʿa, il “matrimonio di piacere”, un istituto vigente nel mondo islamico sciita (in vigore ancora oggi in Iran) che regolamenta il matrimonio temporaneo – al rimanere egli vedovo, e fu riconosciuta come Principessa Aga Khan fino alla morte, a 38 anni, per le complicazioni di  un intervento chirurgico. 

Alì Khan aveva precedentemente contratto  matrimonio con Joan Yarde-Buller, a Parigi 

nel 1936.  Rita, al contrario della francese  Joan – madre dell’attuale Aga Khan Karim, nato il 13 dicembre 1936, non si convertì all’Islam. L’attrice nordamericana gli diede l’unica figlia, Yasmin, il 28 dicembre  1949.  Alì e la Hayworth si separarono due anni dopo, nel ’51. Le infedeltà  del príncipe sarebbero state il motivo della rottura. O la noia? O, volendo fare della psicoanalisi spicciola, risalire a quegli abusi sessuali subiti in giovanissima età dal proprio padre, per cercare le ragione della sua erratica vita sentimentale, quattro su cinque matrimoni finiti per i tradimenti reiterati dei mariti, che lei non riusciva a  gestire, o che la spogliavano economicamente (gli ultimi due)? Dirà Rita: “La mia disgrazia è che gli uomini vanno a letto con Gilda, ma si alzano con me!”.

Le loro nozze non erano piaciute all’Aga Khan, padre di Alì. Fecero una cattiva impressione negli ambienti degli Studios hollywoodiani prevalentemente di proprietà ebraica   e vennero deplorate dal papa Pio XII in persona, che affermò che Rita, cattolica, sposando il figlio di uno dei capi spirituali dell’Islam, era da considerarsi scomunicata. Rita, però, mai si convertì alla religione musulmana. 

Perseguitata pure dalla stampa e dal pubblico benpensante, con lo stesso accanimento bigotto già riservato, anni prima, ad Ingrid Bergman e Roberto Rossellini, Rita abbandonò temporaneamente il cinema, trasferendosi in India nel sontuoso palazzo di Pune, nello Stato di Maharastra. Non si fece piegare né dalle critiche più astiose, né dalle minacce di Cohn, il quale esigeva che l’attrice onorasse il contratto con la Columbia Pictures. Dal 1949 al ’51, l’attrice svolse esclusivamente il ruolo di principessa consorte, di moglie e di madre. Peraltro, come detto, il matrimonio con Alì Khan, al centro delle cronache mondane dell’epoca, si rivelerà un ulteriore fallimento e terminerà con il divorzio nel 1953. 

Alì Khan non era solo un nababbo,  un allevatore di purosangue, un playboy. Durante il conflitto si era arruolato nella Legione Straniera ed era diventato, nel 1944, tenente colonnello della Royal Wiltshire Cavalleria del Regno Unito. Nel 1957 sarà nominato Portavoce Permanente del Pakistan all’ONU ed eletto Vicepresidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite l’anno seguente. Alì morirà  nel maggio 1960 in un incidente d’auto, a Parigi, tornando da una festa, in compagnia della nuova fiamma, la celebre modella francese Bettina Graziani, che era incinta e che sopravvisse all’incidente, pur essendo costretta ad abortire.

In difficoltà economiche, la Hayworth fu costretta a tornare a bussare alla porta dello squallido Cohn. Trinidad (Affair in Trinidad), il primo film interpretato dopo il rientro, presentato nel 1952, con Rita ancora in coppia con Glenn Ford, venne accolto freddamente da critica e pubblico. Prodotto dalla Columbia è un ennesimo noir, diretto da Vincent Sherman. Sull’isola di Trinidad, la cantante e ballerina Chris Emery viene a conoscenza della morte del marito Neil. Pur sembrando un suicidio, la polizia sospetta che Neil sia stato ucciso dal suo amico Max Fabian, che è in realtà un truffatore. Per aiutare le indagini, Chris accetta di avvicinarsi sentimentalmente a Fabian per raccogliere informazioni. Intanto il fratello di Neil, Steve, arriva sull’isola e s’innamora della donna. Dopo l’arresto di Fabian e l’archiviazione del caso, Steve e Chris lasceranno insieme l’isola per tornare negli Stati Uniti. Un’altra abbozzata rinascita esistenziale, ricorrente topos del noir.

Ormai costretta in un cliché, l’attrice si vide offrire da quel momento ruoli di prostitute, di alcolizzate. Ad esempio, nel melodramma Pioggia (Miss Sadie Thompson) del 1953, tratto da un racconto di W. Somerset Maugham, “Miss Thompson”. Rita Hayworth vi interpretò il ruolo di una prostituta sulla difficile via della redenzione e, malgrado dichiarasse alla stampa di essere felice di interpretare donne autentiche e senza trucco, il suo percorso professionale si fece arduo. 

Alla fine degli anni ’50, ormai quarantenne, l’attrice ottiene, comunque, nuovi ruoli dignitosi, come quello in Pal Joey, accanto a Frank Sinatra (1957), adattamento  dell’omonima opera di teatro di John O’Hara. Il musical, diretto da George Sidney, ha come protagonista anche  Kim Novak. È considerata la consacrazione di Frank Sinatra, che vinse un Golden Globe Awards. Poi fu la volta di Tavole separate (Separate Tables), con la  regia di Delbert Mann, del 1958, al fianco di Burt Lancaster. 

Rita declina fisicamente e negli anni ’60 le sue apparizioni saranno prevalentemente di secondo piano. Appare in The Money Trap (La trappola mortale), un noir del 1966, diretto da Burt Kennedy, basato sul romanzo di Lionel White, di nuovo con Glenn Ford ed una giovane Elke Sommer. The Wrath of God (La collera di Dio), un eccentrico western del 1972, diretto da Ralph Nelson, filmato in Messico, in compagnia di Robert Mitchum, Frank Langella e Victor Buono, sarà l’ultimo degli oltre 30 film girati da Rita,  la maggioranza come protagonista.

Nel 1953 Rita aveva deciso di sposarsi per la quarta volta: con un cantante di origine argentina, residente negli USA, Dick Haymes (Buenos Aires, 1916 – Los Angeles, 1980), che sostenne finanziariamente per far fronte ad obblighi relativi a precedenti unioni dell’uomo. La coppia durò pochi anni; non meglio fu per Rita  il quinto ed ultimo matrimonio, nel 1958, con il regista James Hill (1916 –2001), che praticamente visse a carico dell’attrice, fino a che divorziarono nel 1961. 

Senza più mariti, fedifraghi o sanguisughe, ma pur sempre compagni per qualche stagione, elementi di equilibrio, l’esistenza della Hayworth, ancora piacente ed ammirata, fu, tuttavia, poco a poco degradandosi, decadendo, cercando lei un illusorio rifugio nell’alcohol. Tragica più dei personaggi interpretati. La sua già straordinaria bellezza avvizzì nella depressione. Lontana dal set (all’epoca erano scarsi i ruoli per le donne mature), sul finire degli anni ’60 l’attrice mostrò un invecchiamento precoce, i primi segnali della malattia di Alzheimer, che però non le venne diagnosticata fino al 1980. 

La figlia, principessa Yasmin Khan, le rimase accanto sino al momento della scomparsa, avvenuta a New York il 14 maggio 1987, all’età di sessantotto anni. Non lasciò alcun patrimonio. Fu sepolta nel cimitero cattolico della Santa Croce a  Culver City, in California. Glenn Ford, che un giorno schiaffeggiò Rita, fu un amico fedele e probabilmente amò, sostenne il  feretro fino alla tomba. Sulla stessa, Yasmin pose la bella epigrafe: “R.H.  Beloved Mother. To yesterday’s companionship/ and tomorrow’s reunion” (Ai compagni di ieri ed alla riunione di domani).

Ronald Reagan, attore ed allora Presidente degli Stati Uniti, inviò il 15 maggio un messaggio di cordoglio, ricordando che: 

“Rita Hayworth era una delle stars più amate della Nazione. Piena di talento e glamour ci ha dato molti meravigliosi momenti dagli schermi, deliziando gli spettatori sin da quando era una ragazza. Negli ultimi anni Rita è stata conosciuta anche per soffrire la malattia di Alzheimer. Il suo coraggio e franchezza, e quello della sua famiglia, hanno reso un grande, pubblico servizio per portare ovunque attezione ad una infermità che noi speriamo presto possa essere curata”.

 

Crudele beffa del destino. Reagan verrà colpito egli stesso da Alzheimer, diagnosticatagli nell’89 in un ospedale di San Diego, 15 anni prima della morte a 93 anni, nel 2004.

There never was a women like Gilda! Mito, leggenda o uno dei numerosi giocattoli rotti della “Fabbrica dei sogni”? Rita Hayworth/Gilda è rimasta, penso, come incorrotta al trascorrere del tempo e delle vicissitudini, una creatura deliziosa, piena di talento e di glamour, per usare le parole di Reagan: una genuina  movie star dell’era classica di Hollywood, degli anni fra il ’30 ed il ’50 della quale sopravvivono, ultracentenari, Olivia de Havilland e Kirk Douglas quella che ha fatto la felicità di molti e che non tornerà più.

(Cfr. Barbara Leaming,  If This Was Happiness: A Biography of Rita Hayworth, 1989; Adrienne L. McLean, Being Rita Hayworth: Labor, Identity, and Hollywood Stardom, 2004; Manuel Román,  El trágico final de Rita Hayworth, 30 años después, in: https://www.libertaddigital.com/chic/corazon/2017-05-14/el-tragico-final-de-rita-hayworth-30-anos-despues-1276598873;Gene Ringgold, The Films of Rita Hayworth: The Legend and Career of a Love Goddess, 1974; Elyce Rae Helford, In “Gilda,” what is the significance of the “Put the Blame on Mame” number, 2015, in:  http://screenprism.com/insights/article/in-gilda-what-is-the-significance-of-the-put-the-blame-on-mame-number

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Gianni Marocco

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