“Sotto il 25% al proporzionale, il Partito democratico è morto”. Ha il valore di una sentenza quella pronunciata, in un’intervista rilasciata a Repubblica, dal filosofo Massimo Cacciari.
Eppure la predizione politica dell’ex sindaco di Venezia non pare nemmeno troppo peregrina. Intanto i sondaggi: il Pd è attestato a una percentuale più o meno pari al 20%. Per tracciare un parallelo, ai dem andrebbero meno voti di quanti ne raggranellò il solo Pds alle elezioni del ’98. Con un saldo negativo terrificante (rispettivamente -10% e -13%) sulle ultime clamorose sconfitte del centrosinistra, quella di Francesco Rutelli nel 2001 (quando Ds e Margherita strapparono comunque poco più del 30%) e quella di Walter Veltroni, quando il Pd si fermò poco oltre la soglia del 33%. Gli alleati – una combriccola assortita composta da un cartello che unisce Radicali e postdemocristiani e un gruppone che mette insieme, a reggere le petalose ambizioni della Lorenzin, centristi, alfaniani, macerie di Idv, popolari ed europeisti moderati – non andrebbero oltre il 3%. Sarebbe, confermati dal voto i sondaggi, una dèbacle clamorosa. Che sancirebbe la fine della corsa di Matteo Renzi. O, a voler essere buoni, uno stop serio alle ambizioni dell’ex premier.
A Renzi, così, mancherebbero addirittura 20 punti percentuali rispetto al goloso successo delle Europee del 2014, quelle elezioni “interposte” che gli consentirono una sorta di legittimazione per Palazzo Chigi. Centrò, allora, quasi il 41%. La china, però, l’ha discesa con la sconfitta al Referendum prima e, ora, si gioca la partita della vita. Passare dai record positivi a quelli negativi, in politica, non è certo un buon segnale. Tutt’altro.
E Cacciari, così, dice una cosa che è ovvia eppure interessantissima. C’è una soglia sotto la quale, il centrosinistra scoppia. Quella soglia minima, quell’unica chance di salvezza, allo stato attuale è lontanissima. Che il destino stia per bussare alla porta del Nazareno?
@barbadilloit
