Il commento. Perché non abbiamo nostalgia delle contrapposizioni degli anni di piombo

La foto icona degli anni di piombo
La foto icona degli anni di piombo

Chi ha un minimo di dimestichezza con la Storia  del nostro Paese (per avere vissuto certi periodi o per averli studiati) non può non guardare con preoccupazione alla montante campagna contro la presunta “onda nera”. L’ invito al killeraggio massmediatico (mascherato da reportage) porta infatti  alla memoria  tensioni già viste nel passato, premessa di un clima fatto di discriminazioni e di violenza, che ha seminato odio e morti.

E’ dallo slogan “Uccidere un fascista non è reato”, simbolo degli anni tra il  1970 ed  1980, che  sono venuti  i ventuno caduti  della “parte sbagliata”, quella  missina, uccisi dalle frange del peggiore antiparlamentarismo di sinistra.

E’ per il  clima d’odio innescato contro i “neofascisti”, spesso studenti liceali nati alla metà degli Anni Cinquanta, che l’Italia è stata percorsa, per il decennio Settanta,  da una sanguinosa guerra civile tra giovani di destra e giovani di sinistra, con migliaia di feriti.

E’ a causa del  giustificazionismo antifascista,un giustificazionismo  costruito intorno ad un pericolo fascista  inventato da certa stampa di parte e avvallato dai partiti del “compromesso storico”, che è  arrivata la stagione delle discriminazioni e delle demonizzazioni insensate.

Da qui gli schematismi buoni per tutte le stagioni: da una parte i “rebrobi”  dall’altra i compagni, che magari sbagliavano, ma che comunque erano  legittimati nelle loro azioni dalla militanza antifascista, della quale erano il braccio violento ed armato.

Ieri, quarantacinque anni fa,  al  fondo di tutto c’era la preoccupazione per l’avanzata elettorale del Msi, un’avanzata  che faceva presagire un’ inaspettata rottura dei vecchi equilibri partitocratici. Oggi è bastato qualche punto percentuale in più alle liste di Casa Pound, per fare scattare l’allarme di fronte alla lesa democrazia e al “pericolo nero”.

Ciò che inquieta sono le stesse strategie comunicative (l’avanzata  fascista), la stessa sproporzionata attenzione massmediatica, gli stessi meccanismi discriminatori, le già viste logiche manipolatorie.

Da qui l’invito a non cadere vittime di quella che Leonardo Sciascia rimproverava a se stesso come una viltà personale ed insieme sociologica e storica: “ … quella di non aver preso le difese di certi fascisti  quando mi è sembrato che fossero accusati ingiustamente. Se fossero rampolli della sinistra da un pezzo mi sarei dato da fare per loro, avrei sottoscritto petizioni … Ma ahimè, appartengono alla destra, e allora, anche se intuisco che qualcosa non funziona, nei processi a cui sono sottoposti, non mi sento abbastanza sollecitato a indagare più a fondo”.

Si smorzino allora  i toni e si  evitino le campagne alla ricerca del “nemico assoluto” contro cui scagliarsi, lasciando alla Magistratura – ove vengono ravvisati  reati – di fare il suo mestiere.

Demonizzare una parte non fa bene a nessuno. Neppure a chi cavalcando il rancore (mascherato da “tenuta democratica” – anche qui un’immagine già vista …)  spera di ricavarne un tornaconto politico. A farne le spese  sarà la tenuta generale del Paese e quel minimo di rispetto dell’avversario politico che è  la precondizione per qualsiasi confronto civile.

@barbadilloit

Mario Bozzi Sentieri

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