Esteri. Libia, Michela Mercuri (UniMC): “Trafficanti, ipotesi Macron difficile da applicare”

Incognita Libia*: nomen omen il nuovo saggio di Michela Mercuri, docente di Storia contemporanea dei paesi mediterranei all’Università degli Studi di Macerata, che analizza la nazione africana fornendo nuovi, interessanti spunti per leggerne presente e futuro prossimo.

Professoressa, perché Incognita Libia?

La Libia è un paese in bilico per lo meno dal 2011 quando la coalizione internazionale  è intervenuta nel Paese per defenestrare Gheddafi. La missione militare della Nato, voluta dal governo francese dell’allora presidente Nicolas Sarkozy per motivazioni dettate da meri calcoli interni, non è stata seguita da nessun piano politico “per il dopo”. Le potenze straniere, intervenute nella missione, pur avendo deciso di sostenere i “ribelli di Bengasi”, prima hanno abbandonato il Paese, dopo la morte del rais, e poi hanno deciso di proseguire in ordine sparso, supportando le varie fazioni in campo, in barba a qualunque strategia comune. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Oggi l’ex Jamahiriya è un Paese in piena crisi economica, preda degli appetiti delle milizie. Uno Stato fallito dai cui porosi confini entrano ed escono indisturbati gruppi di jihadisti. Nessuno dei due “governi libici” (quello di Fayez al-Serraj a Tripoli e quello di Tobruk, de facto sotto il controllo del generale Khalifa Haftar) ha il benché minimo controllo dei gruppi che popolano il territorio, luogo di traffici e santuario di organizzazioni terroristiche, specie nel Fezzan. Qui, prima ancora dell’arrivo delle bandiere nere del califfato, si era stabilito il nuovo comando logistico e organizzativo di al-Qaeda nel Maghreb islamico. Ecco perché, in poche parole, oggi la Libia è un’incognita alle porte di casa“.

 Malgrado l’impegno internazionale (dell’Italia soprattutto) nel paese continua a regnare un clima di anarchia. Quali sono i motivi che impediscono una maggiore stabilità interna?

I motivi sono molti e interconnessi. Il primo riguarda il ruolo delle milizie. Fin dal 2011 nessun attore si è mostrato capace di gestire i numerosi gruppi armati che a mano a mano hanno conquistato potere in Libia. Durante le rivolte abbiamo fornito armi alle bande armate raccolte sotto l’ombrello del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), l’autorità politica nata in seguito alle sommosse popolari, come guida della coalizione della rivoluzione del 17 febbraio. Tuttavia né il Cnt, né i deboli governi che si sono succeduti alla guida del paese sono riusciti a disarmarle o includerle in un esercito regolare. E così i gruppi libici “spadroneggiano” a tutt’oggi in varie porzioni del territorio. Non solo, in linea generale sono questi gruppi e gestire “l’economia” della Libia che oggi si regge sui traffici illeciti. I pozzi petroliferi sono in buona parte gestiti dai gruppi armati che lucrano anche sul traffico di migranti, droga, sigarette e qualunque cosa possa fruttare un dinaro. Se non si tenta di ripristinare un sistema di legalità interno, in grado di favorire una ripresa economica reale e legale, la Libia è destinata a divenire uno Stato fallito“.

Fra le parti che si combattono, chi è ora quella più in “vantaggio” sulle altre? 

Il panorama è talmente fluido e gli equilibri interni cambiano con una velocità talmente repentina che è difficile rispondere. In linea di massima  possiamo dire che né Serraj (il leader a marchio Onu che non controlla neppure la capitale) né Haftar (il generale della Cirenaica che vive solo grazie agli sponsor esterni) stanno avendo la meglio sulle milizie. In altre parole i due “leader” di cui molto si parla non hanno il controllo del territorio, se non di limitate porzioni. I veri protagonisti sono i gruppi locali, spesso armati, ago della bilancia degli equilibri del Paese e che si alleano, strumentalmente, con uno di questi due attori. Per questo motivo possiamo affermare che nessuna delle due parti è davvero in vantaggio“.

E’ da tempo che i media non ci parlano più di Sarraj e Haftar, ma la Libia non smette di interessare per le condizioni di vita dei migranti nei campi. Quali sono gli ostacoli che Tripoli incontra nel reprimere i traffici criminali?

Da Unità tv

Come emerge da quanto già detto sono le milizie che controllano i traffici. Fayez al-Serraj, è cosa ormai nota, non controlla neppure la capitale e tantomeno i gruppi che controllano i campi di detenzione. D’altra parte siamo stati proprio noi italiani a prendere accordi con le milizie (e non con Serraj) per la “gestione dei flussi migratori” e un motivo ci dovrà pur essere. In uno Stato che vive sull’ economia illegale chi controlla i traffici ha in mano i soldi e dunque il potere. E’ un circolo vizioso difficile da estirpare“.

Una base logistica ai confini meridionali della Libia può essere, a suo avviso, sufficiente a dare un colpo duro ai traffici illeciti?

Il presidente francese Macron, pochi giorni fa, in una intervista a France 24, ha ipotizzato  un’ azione di polizia rafforzata per smantellare le reti dei trafficanti. Una soluzione buona sulla carta ma difficile da applicare in un contesto frammentato come quello libico. All’atto pratico, un intervento esterno di questo genere richiederebbe il consenso di un qualche governo locale, o quantomeno di un attore rappresentativo. In Libia non c’è.  Ora, immaginiamo cosa potrebbe accadere se prendessimo accordi con Serraj senza includere Haftar. Conoscendo “i modi” del generale, una sua marginalizzazione nelle trattative potrebbe generare non pochi problemi di sicurezza nel Paese. Stesso discorso potrebbe essere fatto per le milizie che non verrebbero coinvolte nel “progetto”. Il problema si fa ancora più serio perché il confine meridionale, e in generale il Fezzan, non è controllato né da Serraj né da  Haftar ma da una serie di gruppi e attori locali in lotta tra loro. Il ministro dell’interno italiano Marco Minniti ha tentato di dialogare con alcuni sindaci della zona per raggiungere una tregua di massima, ma questo non è certo bastato per creare una base di consenso tale da consentire una azione di questo genere“.

*FrancoAngeli Ed., 2017

 

 

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