Storie di boxe. Leone Jacovacci, icona pugilistica perduta dall’Italia

Leone_JacovacciSi chiamava Leone, come il re della savana, e re lo diventò per davvero ma su di un quadrato limitato dalle quattro corde e con indosso due guantoni di cuoio. Leone Jacovacci nacque in Congo, figlio di una ragazza locale e di un ingegnere italiano che, per farlo sfuggire alle persecuzioni lanciate dal monarca belga contro la popolazione autoctona della sua colonia, lo fece crescere nel viterbese dai suoi nonni. Fu sin da ragazzino uno spirito energico, avventuriero e un po’ piratesco, quasi che fosse nato da una delle tavole di Hugo Pratt: a sedici anni si imbarcò come mozzo per poi combattere sotto bandiera inglese il primo conflitto mondiale con lo pseudonimo di John Walker.

A soli diciotto anni esordì come pugile, un buon peso medio che, dopo tanta gavetta tra Inghilterra e Francia, non resistette al “richiamo della foresta” e tornò nella sua Italia, della quale portò sempre con sé un marcato accento romanesco. Perse immeritatamente ai punti la prima chance titolata, ma si rifece nel 1928, quando strappò a Mario Bosisio il titolo italiano ed europeo. Richiese, con fiera appartenenza, il riconoscimento della cittadinanza italiana trovando però, a causa della sua pelle scura, l’ostracismo dei gerarchi fascisti che furono miopi nel non riuscire a far propria la figura del giovane e vincente Jacovacci. In fondo mancavano ancora sette anni prima che Carlo Buti componesse “Faccetta nera”, inno del colonialismo italiano in Abissinia, nella quale cantava “Faccetta nera, sarai romana, la tua bandiera sarà sol quella italiana”. D’altro canto non si può dire che, dopo il ritiro del “vecchio” Leone dall’attività agonistica, il regime democratico instauratosi nel ’45 fece molto per aiutare l’ex pugile italiano, che nel 1983 abbandonerà la savana, da portiere di condominio tra le nebbie milanesi.

Nonostante fosse stato vittima sin da piccolo di pregiudizi razziali, Leone non rinnegò mai il suo attaccamento all’Italia, poiché figlio di italiano e cresciuto nel Bel Paese, segno di un legame viscerale con una terra che egli chiamava Patria.

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