Il caso. Con la fuga a Bruxelles, il romanzo catalano finisce in farsa

Carles_Puigdemont_2016Carles Puigdemont, il capopopolo che volle l’indipendenza della Catalogna, fuggì alla chetichella subito dopo aver dichiarato un balbettante addio a Madrid. Il gran condottiero, a quanto dichiarano i giornali spagnoli, se n’è bellamente ito (con la sua personale corte di ministri e portaborse) in quel di Bruxelles. Tutto questo succedeva mentre allo stadio di Girona, il pubblico catalano che osannava i beniamini di casa per aver schiantato il Real Madrid urlava “Libertad”.

Non si entrerà, qui, nel merito della vicenda indipendentista, delle sue ragioni, dei suoi slogan. Il fatto qui è uno solo, decisivo. Una classe politica, quella di Puidgement, ha tradito, completamente, quello stesso popolo che ha blandito per anni e che ancora canta “Libertad”. E di questo non è che ci si possa meravigliare più di tanto. A fare i Masanielli, ci vuole stomaco oltre che un discreto physique du role, non basta mica una zazzera e un’armata web. Non basta mica essere buoni borghesi che giocano a fare i rivoluzionari.

Il romanzo catalano ha assunto contorni farseschi. Lo zazzeruto, accusato di malversazione, sedizione e tradimento dalla Spagna, è approdato nella bella Bruxelles e s’è ritrovato circondato da un muro di silenzio, respinto da tutti. Secondo quel che scrivono oggi i quotidiani, l’ordine partito dalla coraggiosa Unione Europea sarebbe quello di non rivolgergli nemmanco la parola. Che se la piangesse il governo (nazionale) belga. Ecco, l’Ue così dimostra per l’ennesima volta la sua completa insulsaggine politica e istituzionale. Vogliono mantenersi distanti, non vogliono avere a che fare con queste cose, evidente che attendono l’evolversi della situazione per capire quale posizione assumere a giochi fatti. L’Unione, che invece avrebbe dovuto ritagliarsi (almeno) un ruolo di mediazione, è drammaticamente assente: i burocrati erano tutti impegnati, evidentemente, a misurar vongole nel mare del Nord.

La stessa fuga di Puigdemont è tutta una roba da ridere. Risate di sdegno, sia ben chiaro. Il conducator de noantri ha postato una foto del palazzo di potere, il Palau de Generalitat facendo credere che fosse lì. Invece s’era caricato in macchina insieme ai suoi amici-ministri e se n’era fuggito prima a Marsiglia, poi in Belgio. Nel frattempo, però, succede un piccolo miracolo sportivo. Il Girona, minuscolo club neopromosso nella Liga, mette sotto il Real di Cristiano Ronaldo. I biancorossi catalani vincono in casa, per di più in rimonta, per due a uno. Il pubblico, estasiato, l’ha vissuta come la rivincita di Davide su Golia, e non solo dal punto di vista calcistico. Dagli spalti, i tifosi urlavano: “Libertad”, il riscatto da sportivo s’era fatto politico.

La cosa più meschina è che, così, quella classe dirigente di finti rivoluzionari ha ingannato (soprattutto) quei poveri ragazzi che in buona fede sono scesi in piazza, che si son pigliati le manganellate, magari hanno perso il lavoro o forse lo perderanno. Intanto, i responsabili politici del referendum se n’erano già scappati all’estero. Cose che abbiamo già visto. Come suonava l’antico proverbio: “le sciabole stanno appese, i foderi combattono”.

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Alemao

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