Caso Battisti. Il pentimento (peloso) della sinistra – da Cento a Raimo – che lo sosteneva

Cesare Battisti brinda con la birra dopo la sua liberazione
Cesare Battisti brinda con la birra dopo la sua liberazione

L’ex terrorista Cesare Battisti è tornato nella città brasiliana di Cananéia, piccolo insediamento sulla costa dello stato di San Paolo, dove è ospite a casa di amici mentre i suoi sostenitori italiani fanno dietrofront: si rimangiano la firma per la sua libertà – vergata anni fa – le anime belle dell’ex parlamentare dei Verdi Paolo Cento e lo scrittore  Christian Raimo. L’esponente ecologista: “No, non firmerei ancora per Cesare Battisti. Ma sono d’accordo con chi dice che un lavoro storico aiuterebbe il Paese a fare i conti con quegli anni. Perché firmai all’ora? Volevamo difendere l’unico spazio giuridico riconosciuto in Europa che garantiva il diritto d’asilo. Noi ci battevamo per l’amnistia. Non lo rifarei: per mille ragioni, storiche e politiche ma soprattutto, perchè ho atteso invano quelle parole che Battisti poteva dire e non ha detto, nei confronti delle famiglie delle vittime. E’ mancato un atto di rispetto, e di umiltà”.  Ci hanno messo due lustri per avere contezza della miseria umana rappresentata dall’assassino dei Pac.

Il pentimento dopo due lustri dell’intellettuale Raimo

Il racconto di Battisti a Rede Globo

Battisti e ha rilasciato un’intervista con un’affiliata della televisione brasiliana Rede Globo: “È stata una trappola. Stavamo andando a pescare, io, Vanderlei e Paulinho. Ci saremmo recati in un centro commerciale per acquistare prodotti in cuoio, vini e attrezzature da pesca. Tutto questo la polizia lo sapeva, lo avevamo dichiarato. E per questo motivo erano già pronti ad arrestarci. Sono un immigrato con un visto permanente in Brasile. Posso lasciare questo paese ogni volta che voglio e quando voglio. Ho gli stessi diritti di un cittadino brasiliano. Non sono un rifugiato. Sono un immigrato”. “Da cosa starei scappando? L’unico paese in cui sono protetto è qui. Non conosco nessuno in Bolivia. Il decreto di Lula (che gli ha concesso lo status di rifugiato politico) non può essere revocato, e dopo cinque anni è scaduto il termine per revocarlo. È prescritto tutto, non c’è modo. Se pensano di mandarmi in Italia, sarà illegale”. “Era intenzione della polizia  forgiare un delitto. È stato molto brutto. Sono rimasto nella caserma della polizia per tre giorni. Era impossibile stare in quel posto. Una cella senza luce, con il pavimento sporco e puzzolente. Mi hanno preso tutto. Sono riuscito ad ottenere solo un asciugamano alla fine. Mi hanno provocato. Loro (i poliziotti) erano in una sorta di euforia. Quando è arrivato l’habeas corpus sembrava un funerale. Tutti con il muso lungo”.

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Toninho Cerezo

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