Il caso. Dagli Usa alla Francia, fino all’Italia: gli stati-Nazione hanno fallito?

842304 ALZABANDIERA IN PIAZZA DUOMO PER I 150 ANNI DELL' UNITA' D' ITALIAStatue abbattute, referendum indipendentisti, profonde spaccature sociopolitiche: gli stati Nazione hanno smesso di produrre identità. Consegnandoci un mondo niente affatto più pacifico.

La recente disunione statunitense, iniziata sul finire del mandato di Bush jr., che ha visto sotto Obama una riapertura feroce delle questioni razziali ed è stata infine certificata dalla campagna elettorale Trump vs. Clinton, sembra proseguire quel processo occidentale che sta vedendo gli stati-Nazione dilaniati da crescenti tendenze centrifughe.

Come il Regno Unito della Brexit e la Francia di Macron vs Le Pen spaccati nettamente tra metropoli e centri mediopiccoli; come la Spagna e l’Italia, protagoniste di referendum (simil)indipendentisti: sono tutte entità politiche territoriali che con modalità differenti sono oggi molto divise. Le ragioni sono diverse, ma la tendenza sembra il venir meno di quel ruolo di corpo mediatore che ha avuto negli ultimi secoli lo stato nazionale.

La globalizzazione c’entra solo indirettamente. Lo spostamento post-democratico di potere dalla politica all’economia e la conseguente internazionalizzazione – o meglio, a-nazionalizzazione – dei centri decisionali sta rendendo gli stati-Nazione gusci vuoti privi di reale autonomia, residui burocratici di un tempo in cui la dimensione delle decisioni era differente da quella attuale. Il tavolo di gioco, insomma, si sta oggi contemporaneamente allargando e rimpicciolendo.

Questo fa il paio con un’involuzione culturale del concetto di Nazione. Pochissimi stati conoscono politiche culturali che diano valore e significato all’appartenenza nazionale e un ruolo fondamentale l’ha avuto anche la (fortunata) assenza di guerre di massa negli ultimi decenni. La professionalizzazione e la parcellizzazione dei conflitti armati ha diminuito la necessità e l’evidenza dell’appartenenza nazionale (a controprova, lo scenario balcanico, quello turco-curdo-iracheno e quello ucraino sono esempi vicini della relazione tra conflitti e nazioni).

Questo non significa che siano le nazioni a produrre le guerre. Credere che sia possibile eliminare dall’umanità il conflitto eliminando gli stati è più che ingenuo; viceversa, chi lavora per l’eliminazione delle Nazioni lo fa per spostare il piano del conflitto e, quindi, del potere.

La recente tendenza centrifuga dimostra infatti che l’esistenza delle Nazioni serviva anche a (provare a) mantenere una pace sociale interna in virtù di una comune appartenenza, dalla quale derivi obbedienza a un insieme di regole e poteri posti. Il fallimento degli stati-Nazione non fa affatto terminare i conflitti, ma li acuisce. Certo non esistono più guerre armate tra le Nazioni se non esistono più, ma la radicalizzazione dei regionalismi (Spagna, Italia, Regno Unito, USA) dei conflitti sociali (Francia, USA) etnici e religiosi (ovunque) dimostra che lo scontro esiste a prescindere, purtroppo.

A venir meno è la capacità identificatrice, quindi mediatrice e regolatrice delle Nazioni. I nascenti centri di potere globale – siano religiosi, economici o tecnologici – non sembrano avere contemporaneamente le risorse e la volontà per una mediazione globale. La retorica della disindentità produce una irrisolvibile guerriglia. Il futuro allora è un ritorno a microentità territoriali resistenziali o ci avviamo verso un costante deterioramento della convivenza civile?

@barbadilloit

Andrea Tremaglia

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