Ritratti. L’irresistibile ascesa di Gengis Khan divino imperatore d’Eurasia

Gengis-KhanIl suo nome è leggenda. Anche chi non conosce le sue imprese non lo ignora affatto. Stiamo parlando di Gengis Khan. Chi fu costui?

Nato da due membri della tribù Merkit, etnia mista di mongoli e turchi che nel Medioevo occupava la Siberia sud-orientale, gli venne imposto dal padre il nome di Timujen, in onore di un valente condottiero Tartaro che questi aveva di recente fatto prigioniero durante una battaglia.

Tale nome derivava da “tomor“, termine della lingua locale utilizzato per indicare il ferro. Nomen omen. Perchè di ferro ne dovette utilizzare molto Gengis Khan, il quale dopo aver ridotto all’unità le tribù mongole, elevandole all’Impero, mise a ferro e fuoco la maggior parte dell’Asia centrale, della Cina, del Medio Oriente e  parte dell’Europa orientale, creando anche se per breve tempo, il più vasto Impero di terra della storia umana.

Altro particolare significativo connesso alla sua nascita fu il suo venire alla luce stringendo nell’ancor tenero pugno di infante un grumo di sangue, quasi a monito di quanto ne avrebbe fatto versare ai suoi nemici.

Fu grazie ad un buon matrimonio che le vie del destino condussero il Nostro alla candidatura al titolo di “Gran Khan”, che si risolse con la sua nomina da parte di un gran consiglio di capi tribù, che lo elessero Cinggis Khan. Correva l’anno 1200 e fu allora che nacque la sua leggenda.

Egli seppe dare una impostazione  politico-militare ai popoli sottomessi fortemente gerarchizzata, per cui ogni tribù pur conservando la propria indipendenza era sottomessa alla famiglia imperiale, il “casato della stirpe aurea”.

Come ogni idea imeperiale che si rispetti anche l’Impero di Khan, in tutta la sua barbara grandezza, si sottomise ad un Dio unico, il Dio del Cielo Tengri, divinità suprema del pantheon mongolico, che dall’adorazione degli antenati, dei totem, degli spiriti di natura, e degli dei, si innalzava all’adorazione di questo ente supremo unico e celeste, che ancor oggi le residue comunità sciamaniche della Mongolia pregano con la formula “Munkh Khukh Tengri”, che significa “Cielo blu eterno”, finendo col designare la loro stessa terra col nome di “Terra del cielo blu eterno”.

Tengri è l’intelligenza e il potere che sottende l’intera manifestazione universale, fondatore e controllore di tutto, dal tempo metereologico al destino di uomini e nazioni. Fu in base al suo culto per Tengri che Gengis Khan poté vedere nella sua fortuna politica e militare un segno della benevolenza e dell’approvazione del Cielo: «Non sono diventato Capo grazie al mio coraggio e alla mia forza – usava dire – sono diventato Capo grazie al volere del nostro potente padre Tengri. Non sono diventato Grande (Khan) grazie alla mia universale prodezza. Sono diventato Capo grazie all’amore del nostro Gran padre Tengri. Ho sconfitto nemici stranieri mezzo la Grazia del nostro Gran padre Tengri.»

Le armate di Gengis Khan guidate dal suo genio militare attaccavano nel più totale silenzio possibile guidate da variopinti vessilli, con simmetriche manovre capaci di indurre nel nemico una sorta di timor panico.

Un altro degli aspetti fondamentali della straordinaria potenza militare dell’esercito di Khan fu la sua base meritocratica, per cui non erano presi in conto parametri di nascita e stirpe, ma coraggio, capacità e fedeltà. Fu Subedei, il figlio di un umile guardiano di bestiame, a divenire uno dei suoi più stimati comandanti, di cui ancora riecheggia la frase pronunciata in segno di fedeltà al suo Imperatore: «Ti proteggerò dal nemico come una veste ripara dal vento!»

Ma il multiforme ingegno di Gengis Khan non mancò di esercitarsi con notevole profitto anche in ambito economico. Egli dispose infatti che nella capitale dell’Impero fossero inviate risorse d’oro da tutte le parti del regno per accrescere il tesoro reale. In cambio venivano rilasciati certificati di possesso cartacei, antesignani delle moderne banconote, spendibili nell’acquisto di beni e servizi. Fu questa trovata, che garantì una ingente riserva aurea, a far sì che fosse possibile coniare tanta  moneta quanta fosse necessaria per finanziare le campagne di guerra.

Epica resta la campagna di conquista della Cina da parte delle truppe di Khan, che inoltratesi nel cuore del “Paese delle teste nere”, fra la Grande Muraglia e il Fiume Giallo, riuscirono ad uccidere l’Imperatore cinese al posto del quale fu nominato un Imperatore fantoccio.

Nonostante i genocidi, le deportazioni

L’Impero di Gengis Khan

di massa e la distruzione di molte città, rase al suolo e ricostruite da zero, l’Impero mongolo una volta riunito fu un Impero pacifico con genti di diverse etnie, lingue e religioni, che convivevano sotto l’inflessibile ma equa pax mongolica di Gengis Khan.

Dopo ch’ ebbe assoggettato l’intera Asia continentale con furenti ed invitte battaglie, l’ironia della sorte volle che causa della morte di Khan, fosse una banale caduta da cavallo durante una battuta di caccia. Il corpo del grande condottiero fu poi sepolto in una località segreta, probabilmente – secondo l’usanza – assieme a quello di molti servi uccisi per l’occasione. Ma del suo luogo di sepoltura non si è saputo mai nulla, si narra infatti che al momento della tumulazione l’area che doveva ospitare le spoglie di Khan fu interdetta ai viandanti, sorvegliata da un picchetto d’onore di fedelissimi capeggiati dal comandante Subedei, e che il luogo dove fu deposto fu fatto calpestare da un notevole numero di cavalli per disperderne ogni traccia.

Finiva così la storia mortale di Gengis Khan mentre la sua anima si consegnava per sempre alla gloria immortalante dell’épos.

@barbadilloit

Giovanni Balducci

Giovanni Balducci su Barbadillo.it

Exit mobile version