Musica. Addio Nanni Svampa, grande interprete della canzone milanese

007_nanni_svampa_08[1]Se ne è andato, in una notte di fine estate, Nanni Svampa, il cantautore che identificò se stesso con Milano, quella vera, quella che non c’è più. Aveva 79 anni, i settantanove anni più brutti della sua vita, come sicuramente li avrebbe definiti con quel suo sorriso autoironico che ben conoscevamo.

Le sue prime esperienze artistiche risalgono ai tempi dell’Università. Laureatosi e concluso il servizio militare, rifiutò la comoda sistemazione come impiegato di banca che il padre avrebbe desiderato per lui, e quella prima, sorridente ribellione al modo di vita dell’Italia piccolo borghese e democristiana sarebbe poi risuonato nel suo pezzo Io vado in banca.

Il suo genio esplode quando, a partire dal 1964, fonda il quartetto di musica e cabaret noto come I Gufi assieme a Lino Patruno, Gianni Magni e Roberto Brivio. I loro spettacoli si distinguono per una vena all’epoca considerata marcatamente trasgressiva e dissacratoria, infrangendo veri e propri tabù come la religione e la morte. Verranno addirittura processati (e assolti) per “abuso di abito talare”, per essersi esibiti vestiti da frati.

Chiusa, nel 1968, l’esperienza de I Gufi, Nanni Svampa prosegue il suo percorso artistico come attore teatrale e televisivo, da solo o in copia col sodale Lino Patruno. Ciò che lo consacrerà alla memoria dei posteri, però, sarà il suo rapporto con la canzone milanese. Ne realizzerà un’accurata antologia in dodici album, dal titolo complessivo, Milanese – Antologia della canzone lombarda, in cui si spazia dal canto popolare al cabaret della prima metà del secolo ma, soprattutto, la farà vivere.

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Nanni Svampa non ha mai, infatti, smesso, fino all’ultimo, di esibirsi in teatri e locali in spettacoli in cui i canti popolari si mescolavano con le sue traduzioni in milanese dei testi del cantatutore belga Brassens, che adorava, o con i suoi brani originali, in cui il milanese si fondeva con il jazz o il blues (El purtafoeuj, Blues in Milan), il tutto tenuto assieme da un misto di cabaret e rievocazione. In quelle serate riviveva quel mondo fatto di osterie e case di ringhiera, fabbriche ed aie di campagna, “gagarelle” e “mala” ormai da tempo spazzato via da una globalizzazione che aveva trasformato Milano in tutt’altra cosa. Di essere un sopravvissuto Nanni Svampa era ben consapevole e ne rideva garbatamente reinterpretando canzoni come Un milanese a Milano, di Walter Valdi . Perché in lui la nostalgia non diventava mai malinconia o recriminazione, restando sempre sorridente ed autoironica.

Forse per questo a volte può capitare di sentire ragazzini che, in un dialetto un po’ maccheronico, canticchiano le canzoni di Nanni Svampa, imparate chissà come, eco di un tempo che fu che vivrà nel ricordo anche grazie a lui.

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Paolo Maria Filipazzi

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