Il caso. “I Ribelli degli stadi”: l’universo delle curve tra politica e identità nel cult di Spagnolo

Ribelli degli stadi
Ribelli degli stadi

Calcio, politica e tifo: la conoscenza del mondo ultras, la più longeva sottocultura italiana, è viziata da stereotipi e pregiudizi. Pierluigi Spagnolo, scrittore e giornalista della Gazzetta dello Sport, con “I ribelli degli stadi” (Odoya, con introduzione di Enrico Brizzi) ha realizzato un autentico “vademecum” per orientarsi tra liturgie, riti e tradizioni della curve italiane. “Il tifo organizzato in Italia – spiega Spagnolo a Il Tempo – è un fenomeno degli anni 50 e 60. Molti tifosi si riuniscono in club per sostenere e seguire la squadra, dai Fedelissimi Granata del Torino, ai viola club Settebello e Viesseux della Fiorentina, ai primi Inter club nati su suggerimento diretto dell’allenatore Helenio Herrera”. Il fenomeno diventa nazionalpopolare con il 1968, “quando a Milano nasce la Fossa dei Leoni del Milan, pochi mesi prima dei Boys dell’Inter (poi arriveranno gli ultras di Sampdoria, Torino, e nel 71 le Brigate Gialloblù del Verona)”. Il collegamento con il ribellismo giovanile è immediato: “Tutto avviene nel clima turbolento di quegli anni. Le contestazioni studentesche, la crescita della partecipazione politica e lo scontro generazionale hanno un effetto chiaro anche sugli stadi: trasformano i tifosi in ultras, riproducendo sugli spalti lo stesso scenario di contrapposizione forte che si respira nelle piazze. Ecco: gli ultras non hanno mai perso quello spirito ribelle, quella propensione al conflitto”.

Valori, identità, lessico

Questo arcipelago contagia tutti gli spalti degli stadi italiani, grazie ad una aggregazione che si riconosce per valori, identità, lessico e codici (anche tribali). Per Spagnolo “È l’unica sottocultura prettamente italiana, sopravvissuta a 50 anni di cambiamenti sociali. I Paninari sono durati ben poco, tutte le altre sottoculture sono sparite in un decennio o poco più. Gli ultras resistono, nonostante tutto, ancora oggi”.

Influenza della politica, destra e sinistra

L’influenza della politica è stata costante: “Daniele Segre, nel suo pionieristico studio sugli ultras, di fine anni 70, raccontava che le curve assumevano la tendenza politica dei loro primi leader. Così fu a Torino, dove in principio avevi i granata più “a destra” e gli juventini con gli striscioni “Venceremos”, “Autonomia” e “Potere bianconero”. Poi la situazione a Torino è cambiata, con l’avvicendarsi dei primi leader. A Roma c’è sempre stata una prevalenza di tifosi di destra nella curva laziale, e sulla sponda romanista i primi Fedayn erano chiaramente rossi, così come buona parte della Sud”. Gli equilibri tra rossi e neri sono variabili fino agli anni novanta, quando si verifica un tangibile spostamento a destra (il caso della curva della Roma). “La destra radicale considera il mondo del tifo come un buon serbatoio per il proselitismo. Eppure le Brigate Gialloblù del Verona, considerate “nere” da tutti, vennero fondate nel ’71 da due ragazzini dei collettivi studenteschi”, aggiunge spagnolo.

Il caso delle curve politicizzate dell’Olimpico

Roma è un modello di incontro tra politica e ultrà: “La curva laziale -analizza ancora – ha sempre avuto una tendenza di destra, sin dalla nascita del Commandos Monteverde Lazio, poi con gli Eagles’ Supporters, fino all’ascesa degli Irriducibili, nel 1987. Anche la presenza di giocatori come Chinaglia e Re Cecconi, nel cuore degli anni 70, ha contributo a rafforzare questa identità. Prevalentemente di destra sono da sempre le curve di Inter, Varese, Triestina, oggi anche quella dell’Ascoli. Sul versante opposto, viene facile pensare a Livorno, Ternana, Perugia, più o meno alla gran parte delle tifoserie di Umbria, Emilia e Toscana”. Le coreografie diventano esperimenti di comunicazione di massa, e anche qui la politica è parte integrante: “Non c’è uno stadio in cui si sia fatta politica più dell’Olimpico di Roma. Dagli striscioni per il mutuo sociale, comparsi nelle due curve, all’omaggio a Bobby Sands della curva laziale il 5 maggio del 2002, agli sfottò pesanti tra le due tifoserie, persino a sfondo razzista. “Bush, comprate er Risiko”: ecco il testo di uno striscione degli Ultrà romanisti durante la guerra all’Iraq. Poi all’Olimpico – rileva ancora – si sono viste bandiere irlandesi e palestinesi, persino del Tibet. Nelle gradinate della curva della Capitale si è sperimentata una coscienza politica, non senza eccessi, spesso legata all’attualità”.

Striscione pro Palestina all’Olimpico

L’empatia mostrata da parlamentari come Teodoro Buontempo e Paolo Cento

Dal parlamento alle curve: in passato le istanze del mondo ultras avevano interpreti trasversali, grazie all’attenzione mostrata da Paolo Cento (sinistra) e Teodoro Buontempo (destra sociale), mentre attualmente è possibile trovare in curva il sindaco di Ascoli Guido Castelli (FI), il governatore dem Michele Emiliano nella Nord del San Nicola di Bari; anche il moderato Raffaele Fitto ha seguito la Juve in curva. Forte è l’ostilità ultras per le politiche securitarie. “Il sociologo Valerio Marchi sosteneva che gli stadi sono la palestra in cui lo Stato sperimenta tecniche di repressione, applicandole su categorie poco apprezzate dall’opinione pubblica, come sono appunto i ribelli degli stadi, per poi estenderle in maniera meno traumatica ad altre categorie”, puntualizza Spagnolo.

Ora ci sono anche gli ultras M5S

Come votano adesso le curve? “Oltre a destra e sinistra, molti frequentatori delle curve votano M5S – conclude lo scrittore – così come in passato era accaduto con il boom della Lega tra le tifoserie del Nord”. (da Il Tempo)

@waldganger2000

@barbadilloit

Michele De Feudis

Michele De Feudis su Barbadillo.it

Exit mobile version