Cultura. Ernst Junger racconta “I prossimi titani” che trasformano l’umanità

Ernst Junger
Ernst Junger

Il 1895 fu l’ anno dell’ Affare Dreyfus, della scoperta dei raggi X, dell’ invenzione del cinema… E della nascita di Ernst Junger. Il quale non soltanto è ancora vivo e vegeto – ma come si desume leggendo il libro-intervista di Antonio Gnoli e Franco Volpi I prossimi Titani (sottotitolo: “Conversazioni con Junger”, Adelphi, pagg.159) – vanta a tutt’ oggi una lucidità mentale che lascia stupefatti. Per chi ha avuto la fortuna di accedere alla sua casa-museo ai bordi di Wilflingen (salotto Biedermeier, collezione di clessidre e coleotteri, in bella mostra il celebre elmetto che consentì al proprietario di uscire vivo dalla prima guerra mondiale con in tasca la croce al merito, ambitissima), non sarà difficile immaginare quest’ uomo piccolo e altero, dagli occhi color ghiaccio, mentre con una punta di civetteria ritorna a quel 1895. “L’ anno in cui sono nato racchiude tre eventi che anticipano per intero il ventesimo secolo. L’ Affare Dreyfus è l’ atto di nascita dell’ opinione pubblica e delle democrazia di massa. La scoperta dei raggi X dà la possibilità di scrutare una nuova dimensione della materia. E quanto al cinema, è il simbolo di un potere quasi magico che l’ uomo conquista: quello di creare una nuova realtà dell’ immaginario e darle vita”. Due anni fa, per festeggiare il centenario jungeriano, si mossero giornali e televisioni di mezzo mondo. Ma il patriarca disse che no, non avrebbe rilasciato alcuna intervista. Soltanto Franco Volpi e Antonio Gnoli, in virtù di un precedente legame d’ amicizia, riuscirono ad aggirare l’ ostacolo. Poi, a quell’ intervista si aggiunsero altri due colloqui, e ne nacque così questo godibilissmo libretto che spazia in ogni dove sondando avvenimenti, incontri, controversie teoriche, preferenze ed idiosincrasie del Nostro. Saggista, romanziere, viaggiatore ed entomologo, Junger è innanzitutto un signore che ha vissuto in prima persona gran parte degli eventi decisivi di questo nostro secolo (la Grande Guerra, la Repubblica di Weimar, l’ ascesa al potere di Hitler, il secondo conflitto mondiale). E siccome spesso e volentieri non li ha vissuti da comparsa ma da coprotagonista, anche il giudizio sulla sua opera, inevitabilmente, ne ha risentito. Come non ricordare le polemiche (decisamente pretestuose) su Il Lavoratore, che avrebbe anticipato le teorie di un nazismo ormai alle porte? Oppure quelle (un po’ meno pretestuose) che lo accusavano di eccessivo dandysmo nella Parigi occupata e in fiamme? I due intervistatori non eludono le questioni più spinose: lo Junger esteta della guerra, i successivi rapporti col nazismo. Ma non vi insistono più di tanto. Un po’ perché si tratta di vicende già arate a sufficienza; un po’ perché ci pensa lui, l’ intervistato, a chiudere rapidamente la faccenda: “Ai miei critici di oggi credo di poter dire almeno questo: quando c’ era da rischiare la pelle, io c’ ero, loro no”. Per converso, il mago di Wilflingen si spende volentieri per chiarire ulteriormente la poca rilevanza che avrebbe sempre attribuito alla politica e allo storia. “Furono certi libri a spingermi all’ eroismo. Non le suggestioni della vita reale”.
Di più. L’ esperienza letteraria può addirittura evidenziare (ex-post) la povertà della stessa esperienza bellica. “La lettura di Ariosto fu per me più appassionante delle cose che vivevo in quel momento”. Insomma è lì, nel corpo a corpo con la lingua, che ci giochiamo il nostro destino; la possibilità di trasfigurare la realtà. E tanto più sarà così per l’ uomo di domani, il quale vedrà la sua vita spirituale ulteriormente minacciata dalla Tecnica. Ora, potrà anche suonare strana, anomala, questa insistenza sulla letteratura quale unica, possibile salvezza. Ma non mi sembra meno anomalo il fatto di doversi confrontare con un signore che alla tenera età di 102 anni guarda al futuro con la stessa curiosità (e forse più) di un uomo di quaranta. Ecco perché questo libro è interessante non una, ma due volte. Perché offre un’ irripetibile carrellata su uomini ed eventi che abbiamo ormai alle spalle, e assieme prefigura un possibile avvenire. Voglio dire. Anche adesso, potrei soffermarmi con profitto e diletto sui ricordi di Heidegger e Schmitt (coi quali Junger condivise amicizia e consonanza intellettuale). Potrei rimarcare le perfidie – insolite per uno stilista come lui – rivolte a Céline. Potrei tornare sulla sua passione per i coleotteri (“mi piacciono perché la loro bellezza non si scopre subito, non abbaglia come quella delle farfalle”). Oppure, perché no, potrei fare qualche rapida incursione nel suo presente quotidiano (“ho cominciato a fumare solo di recente. Trovo il culto della salute fastidioso quanto quello della malattia”). Ma visto che siamo al cospetto di un mago, un visionario, un negromante, preferisco affidargli la palla di vetro in cui sta scritto il futuro che ci aspetta.

“Non ne ho un’ idea troppo felice e positiva. Con il XXI secolo entreremo in una nuova era dei Titani che sarà caratterizzata dallo sprigionamento di una immane quantità di energia. Penso in primo luogo all’ energia atomica… Il pianeta sarà sottoposto a un’accelerazione cui l’ umanità dovrà adeguarsi trasformando se stessa”.

Insomma, come oggi e più di oggi, la Tecnica diventerà sovrana unica e assoluta del pianeta. “Dunque risulterà tanto più importante la figura del Singolo, del grande Solitario, dell’ Anarca. Capace di resistere a situazioni difficili per lo spirito, come è quella che sta sopraggiungendo”. Che linea adotterà questa aristocratica figura? Utilizzerà la Tecnica senza esserne utilizzata. Vivrà negli interstizi della società senza rimanerne schiacciata. Indifferente a quanto accade intorno, si ritirerà in quei territori dell’ interiorità dove lo Stato-formicaio, la tecnologia planetaria non possono arrivare. E così attingerà nuovamente a quel pozzo dell’ autenticità, cui la poesia offre ancora la vena più limpida e più ricca. Di nuovo: mondo reale e mondo letterario – per Junger – si sovrappongono, coincidono. Anzi, soltanto il secondo può dar forma al primo. “Il vero scrittore, come la vera ricchezza, si riconosce non dai tesori di cui è in possesso, ma dalla sua capacità di rendere preziose le cose che tocca. Egli è pertanto simile a una luce che, invisibile in sé, riscalda e rende visibile il mondo”. Ecco. Il merito principale di Antonio Gnoli e Franco Volpi mi sembra proprio questo. Aver estratto – da una semplice intervista – gran parte della luce che Ernst Junger è capace di irradiare. (Da Repubblica dell’11 ottobre 1997)

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Franco Marcoaldi

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