Francia. La sconfitta vittoriosa di Marine Le Pen e la lezione per i sovranisti italiani

Marine Le Pen
Marine Le Pen

Se la categoria delle “sconfitte vittoriose” non affonda i piedi nella retorica più stucchevole è perché esistono sconfitte come quella ottenuta da Marine Le Pen. La leader sovranista, infatti, è crollata soltanto davanti al prevedibile “tutti contro una”: ostracizzata non solo dall’asse dei partiti ma da tutto l’establishment, finanziario, mediatico e politico, che ha investito su Emmanuel Macron come l’ultima spiaggia per frenare l’avanzata della candidata identitaria. A ben vedere, però, il risultato reale della sua affermazione va letto ben al di là del pur ingente dato elettorale. Per almeno dieci motivi.

Marine “supera” il padre

Con i sette milioni del primo turno e il boom del secondo, la candidata del Front National ha superato di gran lunga i cinque milioni e mezzo di voti raccolti dal padre Jean-Marie che nel 2002 fu fermato al ballottaggio (ai tempi fu uno shock) da Jacques Chirac. Un risultato, quello di ieri, che non registra solo un’avanzata del consenso per il partito da lei guidato, ma segna anche il “superamento” della connotazione del Fn che da soggetto periferico – votato per di più per protesta e in nome di tutti i romantici nostalgismi della Francia “eterna” – diventa moderno partito nazional-populista rappresentante privilegiato di fasce sociali sempre più ampie e strutturate (dai ceti operai del Nord agli agricoltori di qualità del Sud, dalle grandi campagne ai giovani).

Rottamato il “fronte repubblicano”

Tutto questo, a fronte di un sistema dei partiti che vede i socialisti liquefatti e i repubblicani imbrigliati da tempo nelle lotte intestine, fa del partito di Marine Le Pen l’asse di opposizione maggioritario con cui Macron si dovrà confrontare. Il capolavoro politico di Marine, però, non è stato solo quello di consegnare a gollisti e socialisti i gradini bassi della classifica ma è stato anche aver svuotato di senso il cosiddetto “fronte repubblicano”. Il dato più eclatante, infatti, è stata la scelta di Jean-Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale, di non accodarsi al “comodo” richiamo antifascista degli appelli pro-Macron. Scelta che è stata condivisa da molti intellettuali francesi che hanno preferito l’astensione e non sostenere un “uomo Rothschild” pur di fermare «l’onda nera».

Il Fn di Marine? Partito “alleabile”

Anche da destra, da oggi, il fronte anti-Fn è più debole. Qui è avvenuta una rivoluzione non da poco: Nicolas Dupont-Aignan, gollista e leader di Debout la France, scegliendo di stringere l’alleanza con Marine Le Pen ha di fatto sdoganato a destra il Fn. Una rottura, che ha smontato decenni di cordone sanitario innalzato dai gollisti, figlia non solo dell’opera di dediabolisation del partito, messa in atto dal numero due Florian Philippot, ma anche dalla precisa scelta di Marine di posizionarsi come interprete più genuina, rispetto agli epigoni ufficiali dei Républicains, del pensiero del generale De Gaulle: sul richiamo gollista all’Europa delle Nazioni, ad esempio, ha rivendicato più coerenza lei rispetto alla nebulosa repubblicana che ha sostituito l’idea confederale in nome di un europeismo à la page.

Ha dettato l’agenda politica

Per risultare credibili i candidati per l’Eliseo non hanno potuto negare i grossi limiti dell’Ue. Lo stesso Macron ha dovuto riconoscere che è necessario affrontare la situazione: ossia «ascoltare il nostro popolo e sentire che è estremamente arrabbiato, impaziente e che le disfunzioni dell’Ue non sono più sostenibili». Anche François Fillon ha vinto le primarie dei gollisti ponendosi su posizioni euroscettiche e strizzando l’occhio alle richieste dei sovranisti. Persino Mélenchon ha dovuto declinare un euroscetticismo “da sinistra”, svelando l’ipocrisia dei tanti Tsipras, e in barba a personaggi come l’ex ministro greco Varoufakis che da incendiario si è ritrovato a braccetto con il tecnocrate di En Marche!. Senza la Le Pen tutto ciò non sarebbe mai avvenuto.
Schema per le destra europee

Marine Le Pen ha dimostrato che un’altra destra europea è possibile, liberandola dalla ubriacatura mercatista e “occidentalista”, tanto in voga negli anni scorsi, dimostratasi anti-sociale nell’azione di governo e poco incisiva come risposta di opposizione. La stessa Theresa May, ad esempio, leader dei Conservatori inglesi, ha acquisito una dimensione maggioritaria, dopo la batosta della Brexit, radicalizzando a destra il suo messaggio politico con tanto di intestazione postuma dell’uscita dell’Inghilterra dall’Ue: un riposizionamento tematico “identitario” più che economicistico riconducibile in pieno alla “grandeur” richiamata dalla leader francese.

La femmina “differente”

Mentre l’Europa si eccitava per l’orto biologico dell’allora first lady Michelle Obama e si strappava le vesti inneggiando alla Clinton come esempio di femminismo realizzato, il silenzio se non addirittura un malcelato disprezzo ha caratterizzato l’affermazione di Marine come leader “donna” europea. La madrina del Front, infatti, ha demolito – senza sterile “rivendicazionismo di genere” – l’idea che la destra sia maschilista e machista, dimostrando con questo quanto sia strumentale e a targhe alterne il sostegno dell’apparato mediatico alle donne in politica.

Le nuove categorie

Marine Le Pen si è fatta carico di interpretare la crisi delle ideologie spiegando come le nuove “fratture”, intorno alle quali si è riconfigurata la politica, sono oggi basso contro alto, diseredati contro privilegiati, élite contro popolo. Nello scontro “totale” con Macron, poi, ha individuato un ulteriore passaggio. All’ottimismo “globalista” del candidato centrista ha contrapposto il concetto di “prossimità”, l’investimento völkisch 2.0 su cui intenderà innervare la nuova pelle del suo progetto sovranista.
Gramscismo e sovranismo

Invece di inveire contro il “culturame” il Fn ha investito seriamente nella creazione di un settore destinato a occuparsi di cultura. Il centro Clic, guidato da Sebastian Chenu, è un esperimento innovativo che rappresenta bene la volontà di sfidare l’egemonia della sinistra francese e europea non con gli strali ma costruendo una contro-egemonia di ispirazione gramsciana. Cordata che ha come tema la riappropriazione dello spazio vitale della nazione e la riscoperta dello genius loci.

Una nuova idea di laïcité

Marine ha reinterpretato la difesa della laicità della Republique. Non limitandosi al semplice riaffermare del ruolo privato della religione, il suo discorso politico ha messo in risalto come difendere la laicità vuol dire soprattutto tutelare le conquiste e le libertà di un popolo, il suo stile di vita, messo a repentaglio dall’invasione islamica che nella dimensione ultraidentitaria si pone in antitesi con l’idea libertaria che è alla base della cultura civica francese.

Lezione per la destra italiana

Se la conquista dell’Eliseo per Marine è rimasto un sogno, è in Italia che la sua “lezione” si candida a diventare proposta di governo. È indubbio, infatti, che l’avanzata dei due “lepenisti” d’Italia, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, sia proceduta sulla scia delle intuizioni che hanno portato il Fn a diventare il primo partito della destra francese. Ma se la proposta frontista non è stata sufficiente per frantumare l’argine partitocratico, è certo invece che questa ha irrobustito le istanze dei sovranisti italiani nei confronti di un centrodestra che fatica a uscire dallo spettro del ’94. Insomma, se la destra italiana oggi è attrezzata e non soccombente rispetto agli avversari grosso merito va all’azione e alla lezione “francese” di Marine.

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Antonio Rapisarda

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