Cultura. Le vie del Samurai, il Bushido ponte tra Oriente e Occidente

I sette samurai
I sette samurai

Misteriosa tra la sua nebbia ed i suoi  vulcani; affascinante poiché erede di una civiltà millenaria ancora presente nei luoghi e nello spirito dei suoi abitanti; maestosa per la vecchia capitale Kyoto ed il cimitero Yasukuni Shrine, nel quale riposano i soldati caduti per l’Imperatore.

Stiamo parlando del Giappone, la terra del Sol Levante, musa ispiratrice di scrittori e cantanti.

Basti pensare a Mario Vattani, ex console italiano ad Osaka ( al quale il Giappone è rimasto  nell’anima ) autore di “Doromizu” e del romanzo autobiografico intitolato “La via del Sol Levante”.

O anche Federico Goglio, in arte Skoll, che nel 2007 incide l’album “Il segreto di Lacedemone” in cui compare il brano “Bushido”, rievocazione della filosofia dei guerrieri samurai e strettamente connesso al precedente lavoro  “Sole e acciaio” in onore di uno degli ultimi cultori del Giappone tradizionale, Yukio Mishima.

Tuttavia se il “bushi”, il nobile guerriero samurai è ciò che incarna la storia e la cultura nipponica agli occhi dell’intero pianeta, non si può non notarne le numerose somiglianze dal punto di vista filosofico e culturale proprio con le scuole di pensiero antiche o moderne della nostra Europa.

Infatti Yamaga Soko, uno dei principali teorici del Bushido ( la via del guerriero) affermava che “E’ difficile essere diligenti nella pratica della Via se si ha solo una volontà ordinaria. […] Far affiorare la tua grande forza interiore dipende dalla fermezza della tua volontà”, tali affermazioni non possono che richiamare alla mente uno dei più grandi pensatori tedeschi moderni, Friedrich Nietzsche ed il suo concetto di “volontà di potenza”, pulsione infinita di rinnovamento e peculiare forza creatrice del Superuomo.

Non c’è nulla di più simile tra gli insegnamenti della scuola Soto sull’impermanenza dell’esistenza e sull’importanza di vivere il momento con le Odi del venosino Quinto Orazio Flacco ed il suo celeberrimo ( oggi forse fin troppo mainstream ) “carpe diem”.

A tale tema poi è strettamente connesso quello della ricerca dell’imperturbabilità dell’animo da parte del bushi, ed in particolar modo Yagyu Munenori che definiva l’attaccamento come una malattia: altro non è che l’atarassia ricercata degli stoici in quanto “controllo della pulsione”.

Anche la morte accomuna gli stoici ai samurai, si guardi ad esempio Seneca che preferì il suicidio alla pena di morte, ritenuta poco onorevole per un vir bonus, ed allo stesso modo ai bushi era concesso il seppuku, un doppio taglio autoinferto all’addome, sede del ki o spirito del guerriero.

Oltre al seppuku, per questa casta di guerrieri il modo migliore per provare il loro onore e la loro fedeltà al signore feudale era la morte in battaglia, dimostrando così il proprio coraggio fino al momento estremo.

Similmente gli antichi spartani hanno inciso il loro nome nella storia con il sacrificio di re Leonida e dei suoi trecento opliti alle Termopili, consapevoli di una morte certa contro i più numerosi invasori Persiani, ma fedeli alla promessa fatta a madri e mogli di tornare dalla guerra con il loro scudo o sopra di esso.

Cosa rimane oggi del Bushido? Probabilmente ben poco, almeno per noi occidentali che abbiamo dismesso gli insegnamenti dei padri del nostro pensiero, accecati dal modernismo, oggi più che mai in crisi. Eppure se guardassimo al nostro passato potremmo trovarvi se non proprio la cura dei nostri mali, almeno gli orientamenti che ci guidino nella guerra che è la vita.

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Carlo Lattaruli

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