Focus (di G.deTurris). La riscoperta dei cartoon “fascisti” Goldrake e Gundam

altezze-robotCerte volte il passato ritorna sull’onda della nostalgia, ed in questo caso per quella dei ragazzini che nati negli anni Settanta e Ottanta ora sono adulti, anzi “giovani adulti” e forse anche padri e madri. E’ la Generazione Goldrake sulla scorta di un saggio di Marco Teti ora ristampato da Minesis, sono quelli che vengono definiti i “figli di una nostalgia minore”, quelli vissuti con i cartoni animati giapponesi, gli anime, ma non tutti in generale ma alcuni in particolare.

Ricordate? “Alabarda spaziale!”, “Pugni atomici!”, “Doppio maglio perforante!”, “Missile centrale!” (nel Grande Mazinga fuoriusciva dal… basso ventre), “Missili pettorali!” (che, per le robote o robotesse o come si vogliano chiamare in onore il linguisticamente corretto, insomma i robot femminili Afrodite, Diana e Venus, uscivano invece, ma sì, dai seni d’acciaio), “Miwa i componenti!”, “Agganciamento!”. Erano, negli anni Settanta e Ottanta, gli Atlas UFO Robot, come vennero chiamati con strano nome, che furoreggiavano in Italia, oltre che sulle ret pubbliche e private, anche con fumetti, giochi e pupazzi, ma soprattutto con i loro motivetti conduttori vendutissimi nei 45 giri e che ancora si ricordano, insieme a frasi passate alla storia del costume e sopra riportate: una incredibile saga internazionale iniziata nel 1972 con Mazinga, Goldrake (1974) e Jeeg (1975), tutti creati da Go Nagai, e quindi Gundam (1979) ideato da Yoshiyuki Tomino dopo Zambot 3 (1977) e Daitarn III (1978).

Ora proprio sull’onda di questa “nostalgia minore” negli anni Dieci del XXI secolo, ecco che il maggior quotidiano italiano ha iniziato a allegare in DVD con relativo fascicoletto le principali serie dell’epoca, tutte sui 40-50 episodi riuniti tre a tre. Si è cominciato appunto con Godrake, poi Mazinga, Daintarn III, poi Capitan Harlock (che robot non è ma un pirata spaziale di grande fascino) ed adesso è stata la volta di Gundam, il miglior risultato raggiunto in questo genere di anime. 

Erano i robot giganti, i “robottoni”: alti tra i 12 e il 25 metri, pesanti fra le 25 e le 32 tonnellate, guidati da giovani che s’innestano nella loro testa, combattono contro le invenzioni di scienziati pazzi come il Dottor Hell, o malvagi imperi sotterranei come quello di Jamatai che vogliono conquistare il mondo, in una mescolanza di superscienza e supermagia. Ogni episodio è autoconclusivo e segue in sostanza sempre l’identico schema. Storie per bambini e ragazzi che, all’epoca, rinverdivano in chiave fantastica e tecnicizzata il mito dell’eroe senza macchia e senza paura medievale che combatteva contro mostri, maghi, dèmoni, re crudeli, rivestiti di una armatura diventata ipertecnologica e con armi avveniristiche. Il tutto rivisitato secondo la imperitura tradizione culturale nipponica, che si rifaceva ai samurai e alla sua mitologia religiosa. Insomma, una evoluzione della fiaba.

Furono definiti robot fascisti

Tutto bene? Per niente. Infatti, poco dopo il loro arrivo in Italia (1980) esplose la polemica: da un lato le “associazioni dei genitori” che accusavano di violenza i “robottoni” (pur se non si vedeva una goccia di sangue), e dall’altro la denuncia dei politici e dei giornalisti di sinistra di propagandare una visione quasi “fascista”, dato che il samurai, eroe solitario guidato dall’etica dell’onore, si propone paternalisticamente come un difensore del popolo sottraendogli la sovranità. Ci fu addirittura una interrogazione parlamentare! Sciocchezze ideologizzate, si dirà, ma che indicano un clima pieno di astio e faziosità di quell’epoca. Oggi per fortuna nonostante la dittatura del politicamente corretto, l’apparizione dei DVD in edicola non ha suscitato particolari problemi. Magari sono sfuggiti alla occhiuta censura buonista…

In particolare, l’apparizione d Gundam segnò una svolta epocale per questi personaggi. Per almeno tre motivi: i riferimenti alla fantascienza letteraria; la trama; il messaggio ideale.

Tomino e i suoi sceneggiatori e disegnatori attinsero soprattutto alla space opera di uno scrittore americano importantissimo ed oggi quasi dimenticato: Robert A. Heinlein, e ai suoi due romanzi Fanteria dello spazio (1959) e la Luna è una severa maestra (1966) che, benché fossero stati accusati di essere “militaristi” e “di destra”, vinsero il Premio Hugo come migliori romanzi dell’anno. Quindi, la trama: non episodi autoconclusivi e in fondo ripetitivi nella scaletta delle sequenze, ma una lunga vicenda “a seguire” che narra la Guerra di Un Anno, cioè quella delle colonie, e il pianeta di origine, con innumerevoli personaggi psicologicamente complessi ed un intrecciarsi di vicende.

Ma il lato più interessante, impegnativo e nuovo della saga di Gundam è che nell’anno 0079 dell’Universal Century (cioè, il 2124) non ci sono gli odierni Male Assoluto e Bene Assoluto, ma un mondo pieno di sfumature dove tutti e due i contendenti, come dice Davide Castellazzi nel suo volumetto dedicato al personaggio e pubblicato da Iacobeli dieci anni fa, hanno “i loro scheletri nell’armadio”. Gli eroi e i coraggiosi ci sono – e vengono riconosciuti come tali – sia nella Federazione Terrestre sia nel Principato di Zion, così come i traditori e i vigliacchi. E gli assi delle due fazioni, Amuro Rei e Char Aznable, hanno entrambi i loro pregi e difetti. Insomma, c’è umanità e c’è pure (incredibile a dirsi) una spiegazione delle motivazioni di una parte e dell’altra, e anche i personaggi più antipatici come Dozul Zabi si dimostrano mariti e padri amorevoli.

Così, lo scontro fra i robot giganti come il terrestre Gundam guidato da Amuro, e nelle diverse versioni dai suoi amici, da un lato, e gli Zack, i Dom, i Gock di Zion dall’altro, non è tanto fra mostri d’ acciaio al comando di superpiloti, quanto solo uno scontro fra questi guerrieri delle stelle che guidano possenti armature futuribili quasi fossero loro estensioni corporee. E proprio come gli antichi samurai hanno un codice d’onore che, indipendentemente dalla parte in cui militano, cercano di rispettare. Non sempre, a causa d’imprevedibili contingenze o di scatti umorali, ma almeno hanno un punto di riferimento, mentre combattono una guerra spaziale con milioni di morti. La guerra spaziale dei samurai del futuro che, magari, ha ancora qualcosa da dire non solo a livello di divertimento a noi che abbiano come nostre attuali “estensioni corporee” tecnologiche i cellulari, i tablet, gli Ipod e ce ne serviamo soltanto per “condividere” ed essere always connected per paura della solitudine… Ahimè. 

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Gianfranco de Turris

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