Il caso. Se sulla giustizia si combatte la “guerra fredda” che mette a rischio il governissimo

tribÈ vero, Silvio Berlusconi si affanna a ripeterlo: «Questo governo non cadrà sulla giustizia». Eppure la Giustizia continua a essere il “termometro” delle rispettive agende politiche dei due maggiori partiti del governassimo, ma soprattutto delle fibrillazioni in seno a questo. Il Pd, nella schizofrenia di un partito in crisi di identità, alterna infatti provvedimenti percepiti come vere e proprie corvée al centrodestra (vedere caso Imu) a tentazioni liquidatorie (l’ineleggibilità del Cavaliere). Certo, con la trovata dell’ineggibilità i democratici tentano di recuperare il disastro – in termini di immagine, di credibilità e di identità – che l’alleanza forzata con “l’impresentabile” ha suscitato nel rapporto in crisi con il proprio elettorato. E allo stesso tempo prefigura un’exit strategy verso il sogno (fino a questo momento inconfessabile) di un “ribaltone” da fare in collaborazione con il Movimento 5 Stelle (sempre che non si ripetano gaffe come quella della proposta Finocchiaro ribattezzata “blocca 5 Stelle”). Resta, però, il gioco pericoloso di una contesa che mette a repentaglio la tenuta nervosa di un governo di coabitazione.

Ma dall’altra parte il centrodestra non è da meno. Che messaggio è, infatti, quello lanciato con la proposta di legge sul concorso esterno in associazione mafiosa? Di fatto un dimezzamento della pena. Proposta che segue, poi, di qualche giorno quella sulle intercettazioni? Al di là dei tecnicismi e degli abusi sul reato di “concorso esterno”, si ripresenta, anche qui, un nodo irrisolto: il profilo di una coalizione che – nonostante abbia avuto un’esperienza di governo costellata da alcuni importanti risultati nella lotta alla mafia – continua nella riproposizione di norme discutibili dal punto di vita giudiziario, politico e, perché no, etico. Norme, oltretutto, che ogni volta vengono percepite come “favori” all’inner circle del Cavaliere più che come liberatrici dalla malagiustizia. Ma soprattutto tutto ciò contraddice i “patti”: il nodo giustizia è una di quelle priorità del governo nato per combattere l’emergenza economica? No. Così come non lo è, ad esempio, quello sulla cittadinanza: una delle accuse che dal centrodestra vengono fatte al ministro Kyenge.

È chiaro allora che – tanto per il Pdl quanto per il Pd – il nodo giustizia (con al centro il destino dei processi di Berlusconi) resti la vera mina vagante per la tenuta di un esecutivo che, dopo già qualche giorno, dimostra tutta la sua fragilità. La conferma arriva dal fatto che, nonostante le stime economiche non lascino margini ad ulteriori perdite di tempo, il dibattito politico continui a vertere su dei temi che vengono, poi, prontamente derubricati nel giro di qualche ora: una sorta di guerra fredda strisciante. Al centro – in tutti i sensi – per il momento resta l’asse di ferro sancito dai quarantenni al governo Letta e Alfano che cerca di mantenere l’asse (e questo fa aumentare i mal di pancia ai falchi dei rispettivi schieramenti). Basterà?

Antonio Rapisarda

Antonio Rapisarda su Barbadillo.it

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