Ma dall’altra parte il centrodestra non è da meno. Che messaggio è, infatti, quello lanciato con la proposta di legge sul concorso esterno in associazione mafiosa? Di fatto un dimezzamento della pena. Proposta che segue, poi, di qualche giorno quella sulle intercettazioni? Al di là dei tecnicismi e degli abusi sul reato di “concorso esterno”, si ripresenta, anche qui, un nodo irrisolto: il profilo di una coalizione che – nonostante abbia avuto un’esperienza di governo costellata da alcuni importanti risultati nella lotta alla mafia – continua nella riproposizione di norme discutibili dal punto di vita giudiziario, politico e, perché no, etico. Norme, oltretutto, che ogni volta vengono percepite come “favori” all’inner circle del Cavaliere più che come liberatrici dalla malagiustizia. Ma soprattutto tutto ciò contraddice i “patti”: il nodo giustizia è una di quelle priorità del governo nato per combattere l’emergenza economica? No. Così come non lo è, ad esempio, quello sulla cittadinanza: una delle accuse che dal centrodestra vengono fatte al ministro Kyenge.
È chiaro allora che – tanto per il Pdl quanto per il Pd – il nodo giustizia (con al centro il destino dei processi di Berlusconi) resti la vera mina vagante per la tenuta di un esecutivo che, dopo già qualche giorno, dimostra tutta la sua fragilità. La conferma arriva dal fatto che, nonostante le stime economiche non lascino margini ad ulteriori perdite di tempo, il dibattito politico continui a vertere su dei temi che vengono, poi, prontamente derubricati nel giro di qualche ora: una sorta di guerra fredda strisciante. Al centro – in tutti i sensi – per il momento resta l’asse di ferro sancito dai quarantenni al governo Letta e Alfano che cerca di mantenere l’asse (e questo fa aumentare i mal di pancia ai falchi dei rispettivi schieramenti). Basterà?