Roma. Il fascino di Cyrano risplende nel Teatro Stanze Segrete

Il manifesto del Cyrano
Il manifesto del Cyrano

“Musico, spadaccino, rimatore, del ciel viaggiatore, Gran mastro di tic-tac, Amante — non per sé — molto eloquente. Qui riposa Cirano Ercole Saviniano Signor di Bergerac, che in vita sua fu tutto e non fu niente!”. Era il 1897, quando in un teatro parigino, il Théâtre de la Porte Saint-Martin, debuttava uno dei testi più amati della buona letteratura europea: il Cyrano de Bergerac.

Oggi, a distanza di 120 anni, il dramma di Edmond Rostand viene riproposto a Roma, con la regia di Matteo Fasanella. Si ha tempo sino al 19 febbraio, per vivere una esperienza artistica di grande qualità, nei pochi posti disponibili al Teatro Stanze Segrete a Trastevere – un gioiellino di sala – così piccolo da consentire di percepire pure il respiro degli attori, di scambiare con loro rapidi sguardi, cercando di carpire quegli attimi in cui abbandonano, anzi smarriscono quelle “maschere” di cui parlò il più grande scrittore del Novecento, il nostro Luigi Pirandello.

L’opera di Rostand è liberamente ispirata alla figura di Savinien Cyrano de Bergerac (1619 – 1655), il quale fu, alla stessa stregua del personaggio creato dal drammaturgo francese, molteplici cose: soldato, filosofo e scrittore, autore del racconto fantastico: Histoire comique des États et Empires de la Lune (1657, postumo). Nella pièce, l’eroe dal coraggio grande quanto il suo naso utilizza tutte le proprie virtù senza però mai slegarsi dalla maschera che lo protegge. Ne rimane talmente vincolato che persino quando la verità sul suo benevolo inganno sarà svelata, egli preferirà immolarsi e concedersi alla sua vera musa ispiratrice: la libertà; teniamo a mente questa ultima parola, giacché essa, nella visione di Rostand, è il “sinonimo” di Cyrano.

Fasanella, che come sempre avviene nelle sue rappresentazioni interpreta il ruolo del protagonista, parte dalla versione originale, senza alterarne i versi, apportando solo qualche taglio. Ciò sarà causa però delle poche sbavature della sua regia. Il giovane attore-regista, nelle varie opere che ha scelto di mettere in scena in questi anni, ha dimostrato di possedere quel prezioso giudizio che fa difetto alla cultura del progresso di oggi. Fasanella ama confrontarsi con i classici, da Shakespeare a Francis Scott Fitzgerald, passando per l’appunto per Rostand. Egli non si inventa storie originali, non è malato di quell’egotismo che affligge gli incolti autori odierni e, quando scrive, si rivela anche abbastanza capace, ricordiamo la sua opera DarkPlay (2015): un raffinato omaggio al noir americano.

La scelta di conservare la forma in versi, nella fedeltà al testo originale, va applaudita con vigore, poiché così facendo, non si è soltanto rispettata la Letteratura, ma si è, inoltre, dato prova di autentico coraggio, considerata la complessità del linguaggio utilizzato dallo scrittore francese, per non parlare della lunghezza dei dialoghi. Infatti, gli attori si mostrano provati al termine dello spettacolo. Del resto, non è semplice dare vita a un personaggio a suo modo unico nella storia della scrittura teatrale; spadaccino e poeta, colui che Alessandro Baricco anni fa ironicamente definì in una puntata del suo spettacolo Totem: “Il miglior pistolero del West, ed è Gadda!”. Incarnazione perfetta, Cyrano,  dell’esprit francese, completamente diverso dal prosaico humour inglese, e si commetterebbe peccato mortale, linguistico e culturale nel confonderli, non fosse altro che mentre il secondo è di sua natura asciutto e tagliente, il primo pasce nel piacere della parola.

Nuovamente si può ammirare il teatro “decifrato” da Fasanella, in un modo che già conoscevamo bene: una mise en scène totalmente anti-minimalista, nella quale abbondano le registrazioni, la musica e potenti rimandi alla cinematografia.

Per chi non ci fosse ancora stato, diciamo solamente che il Teatro Stanze Segrete è un “salotto” dove lo spettatore vive la drammaturgia sulla propria pelle. Ciò lo rende un luogo assai speciale. Purtroppo, temiamo che i tagli di cui sopra apportati al testo siano stati forse imposti dalla limitatezza degli spazi. Qui sta uno dei pochissimi “nei” nello spettacolo di Fasanella, insieme al privare Cyrano del suo cappello. Quindi, una rappresentazione veramente notevole pecca nel finale, dove si è tolto troppo, non permettendo a coloro che non hanno mai letto l’opera di capire bene la causa della morte di Cyrano. Errata è stata altresì la decisione di non presentare La Gazette de Cyrano, che conclude la pièce, facendo perdere al pubblico la ultima e commovente battuta del poeta-spadaccino, quando egli dice alla adorata Roxane che quel che lui ama sopra ogni altra cosa non è lei, bensì: “Mon panache”, alludendo in tal modo alla propria fierezza e indipendenza, in poche parole, la libertà.

Dopo il bel film Cyrano de Bergerac (1990), diretto da Jean-Paul Rappeneau, con uno stupendo Gérard Depardieu nella sua migliore interpretazione di sempre nei panni del protagonista, quella attualmente  in scena a Roma ci è parsa la più felice resa da noi incontrata dell’opera di Rostand. Fasanella si conferma abile sia come attore che regista, amante dei classici, che egli “aggiorna” con garbo e rispetto, tanto che alcune sue scelte nella direzione ci hanno fatto sorgere la curiosità di vederlo dietro la macchina da presa. Perché no? Magari potrebbe diventare un buon regista.

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Riccardo Rosati

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