Usa. A Washington prove generali di un nuovo (e confuso?) soggetto politico

proUK3-large_trans_NvBQzQNjv4BqfyXGikpR9ox1sv_ufVxBf6cDWo5fGzMQsAhjLXsQE6MIl giorno dopo l’insediamento di Trump, si è tenuta a Washington la Marcia delle donne: breve cronistoria della sua organizzazione; punti critici e prospettive.

La marcia nasce in maniera quasi spontanea. Un ex giudice dalle Hawaii, Teresa Shook, il giorno dopo le elezioni di Novembre crea un evento su facebook: l’idea è protestare contro l’anti-femminista Trump. L’evento ha migliaia di adesioni in poche ore. All’altro lato degli Stati Uniti, una fashion designer di New York, Bob Bland, ha creato un evento simile, con identico successo: le due decidono di unire le forze. Altre pagine simili si aggiungono poco dopo.

Le prime controversie nascono quasi subito. Qualcuno fa notare come le organizzatrici siano tutte bianche: si vogliono escludere le minoranze etniche? Il tema razziale sarà in effetti una costante fonte di polemica per la Women’s march. Attiviste di colore aggregatesi affermano che le donne bianche devono essere consapevoli dei propri privilegi storici e che su questo dovrebbe concentrarsi la marcia: la parità tra donne. Alcune attiviste bianche si sentono accusate e abbandonano, in polemica, l’organizzazione.

Altro tema irrisolto: gli uomini sono benvenuti o no alla Marcia delle donne? Nella gestione sicuramente no. Alcuni blog USA denunciano la latitanza del sostegno di organizzazioni maschili. Altri si spingono a ritenere i maschi intimoriti da questa manifestazione di autonomia organizzativa femminile.

Per tagliare le polemiche, il tavolo delle organizzatrici viene allargato anche a un’attivista afroamericana, una latina e una araba, le quali in coro fanno presente come tutti siano i benvenuti alla marcia, a prescindere da classe sociale, etnia e identità gender. La piattaforma tematica della marcia includerà differenze retributive tra donne, immigrazione, discriminazione religiosa, razziale e di genere, diritti LGBT, diritti dei lavoratori, difesa dell’aborto (ma avevano aderito anche gruppi anti-abortisti).

Rimane così non del tutto esplicita la finalità principale della marcia. Nelle dichiarazioni si va da una marcia di tutte le donne a una marcia di tutte le minoranze fino alla più onesta e realistica una marcia di tutti coloro che si sentono minacciati dall’elezione di Trump. È insomma una manifestazione contro il neo Presidente alla quale si sono addizionate tematiche più o meno specifiche, cercando di ottenere più adesioni sfumando la componente puramente politica.

Resta comunque chiaro il tentativo di creare una no-Trump coalition che trasformi l’identità sessuale in un’appartenenza politica; e di coalizzare una serie di sigle e battaglie politico-sociali che hanno in comune l’attacco alla triade patriarcato-nazionalismo-capitalismo. Non è per niente un caso allora che, come evidenziato da un articolo del New York Times, una cinquantina delle sigle che hanno aderito alla marcia siano sponsorizzate dal finanziatore di Hillary Clinton e onnipresente miliardario George Soros.

Ancora più controversa è però la quota araba delle organizzatrici: Linda Sarsour, attivista palestinese per i diritti degli islamici negli USA. A parte l’avere legami familiari con alcuni membri di Hamas, in più occasioni ha promosso la Sharia – la legge islamica che sicuramente non è progressista, né femminista. Un cortocircuito logico? Sì, ma coerente con il carattere della Marcia su Washington.

Ci permettiamo allora alcune prime conclusioni: la Women’s march non ha promosso obiettivi del tutto chiari e condivisi; è probabilmente il primo episodio di un nuovo movimento politico (non partitico) che cerca di inquadrare la sinistra radicale, post-Sanders, al servizio del partito Democratico (e che potrebbe preparare il terreno per una candidatura femminile nel 2020, magari Michelle?); infine, pur essendo un soggetto ancora spurio, resistenziale e strumentale, anticipa la strategia politica della futura no-Trump coalition: portare lo scontro con Donald sul piano delle identità etniche, religiose, sessuali, sociali.

@barbadilloit

Andrea Tremaglia

Andrea Tremaglia su Barbadillo.it

Exit mobile version