Acca Larentia. La strage e gli studenti di sinistra che festeggiarono con un girotondo

Acca Latentia
Acca Latentia

Pubblichiamo una testimonianza su Acca Larentia di Giulio Buffo, ai tempi giovane militante del Fronte della Gioventù, poi dirigente della destra postfascista romana

“Se mille son le storie che il vento porta via,
questa è la nostra storia, generazione mia…”.

Di Acca Larentia ne hanno parlato in molti, forse anche troppi.
Io quel giorno non c’ero, passai quel sabato sera con l’orecchio attaccato alla radio consumando la manopola tra le dirette di Radio Alternativa e Radio Onda Rossa, tra ZPM e Claudio Lolli, tra il dolore e lo scherno. C’erano due ragazzi morti, poi un terzo di cui non si sapeva il nome, forse era ancora vivo, forse no. Mio padre stava in silenzio, mia madre in silenzio piangeva. L’albero di Natale era ancora da smontare e i suoi colori stonavano con quell’angoscia. Avrei voluto… ma non avrei neanche saputo come arrivare al Tuscolano, comunque la porta era stata chiusa a chiave e le calze da donna, piene di sabbia, erano già state messe davanti per impedire alla benzina di filtrare. Ogni tanto chiamavo in radio per avere notizie su quel nome, ma non si perde tempo al telefono con un ragazzino, non in quel giorno.
Poi quei corpi prendono un nome – ma non mi dicono ancora niente, conosco solo quelli della mia sezione – e quei nomi un volto. Ora si, l’assurdo ha un volto: uno suonava, con uno ci ho volantinato, un altro veniva in sede per stampare volantini.
I ricordi sono vivi, la realtà no.
Quel giorno è nelle foto, una giacca a quadretti,un corpo portato via a braccia, altri in lettiga, pozze di sangue. Quel giorno è un dolore sconosciuto, così grande che non arriva al cervello, si ferma al cuore; eppure solo pochi giorni prima era stato ucciso Pistolesi, un ragazzo di appena trent’anni, ma un adulto, uno grande, agli occhi di un ragazzino di 14 anni.
Il giorno dopo, l’8 gennaio, si festeggiava la Befana, nel ’78 funzionava così, ma non c’era allegria in quel pranzo obbligato con i parenti, mentre Roma bruciava di rabbia e di benzina.
Il 9 mattina nel cortile di scuola c’è agitazione, il gruppetto di compagni si scambiano pezzi di giornale, si danno pacche sulle spalle, ridono immersi nei loro maglioni spessi un dito, le camicie a quadri fuori dai pantaloni, tolfa a tracolla; le ragazze con le loro gonne tristi a fiori, i guanti tagliati, zoccoli, scialli e tolfa a tracolla. Ridono e fumano, poi dal cancello appare il più pezzo di merda di tutti, Cinzia si stacca dal gruppo e gli salta al collo.
Ridono insieme, si uniscono agli altri e parte un girotondo.
Ballano, girano e ridono.
Una compagna di classe, capisce, si avvicina e mi abbraccia in silenzio.
Non avevo ancora realizzato il dolore, ma ora sapevo cosa voleva dire odiare.

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Giulio Buffo

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