Ritratti. Elogio di Mario Incudine, genio musicante

incudineMi piace recuperare storie che non si raccontano”: così Mario Incudine a margine dello spettacolo “Anime migranti”. Storie di popoli, cui dare dignità di narrazione e note. Anche quella di Mario Incudine, migrante di poesia, è una storia da raccontare.

Mario Incudine, siciliano di Enna, è cantante, attore, autore di musiche. Il suo è talento allo stato puro. A rappresentare la figura di Mario Incudine sono due immagini. La prima risale allo scorso anno: Incudine attraversa il pàrodos del Teatro Greco di Siracusa, pedalando su un risciò e intonando un canto siculo, e apre “Le Supplici” uno degli allestimenti più innovativi e importanti della storia delle Rappresentazioni Classiche di Siracusa. La seconda è una foto che lo ritrae di spalle mentre guarda un teatro vuoto prima dello spettacolo. Mario Incudine e il teatro. Mario Incudine, il teatro e la musica.

Mario Incudine è un guitto, della stirpe più nobile e sana. Dalla guitteria ha ereditato la contaminazione dei generi e la vivacità scenica, vi ha aggiunto chitarra e tamburo. Guitto e musicante.

Ci sono musicisti e musicanti. Io sono un musicante”. Si presenta con queste parole Mario Incudine sul palco di “Il dolore pazzo dell’amore” tratto dall’omonimo libro di Pietrangelo Buttafuoco. Mario Incudine pare staccarsi da una delle cornici che vestono d’essenziale la scenografia di questo lavoro a tre mani e due voci. Le mani di Pietrangelo Buttafuoco hanno tenuto la penna, quelle di Antonio Vasta e di Mario Incudine gli strumenti. Le voci sono del poeta e del musicante. Buttafuoco legge e cunta con sorprendente vis espressiva, Incudine mette la sua voce. E ne fa spartito: potente e ironica, la parola cantata e recitata di Mario Incudine spezza la ritmica vivace della chitarra e del tamburello.

E il musicante lo sa come perdersi nella pazzia e come gocciolare il dolore fino a farne un vibrato di petto, o un battere e un levare, tutto d’amore.” Comincia così in “Il dolore pazzo dell’amore” il ricordo degli esordi di Incudine. Parte dal cuore della Sicilia e dall’infanzia la sua passione per la musica, quando da bambino suonava e cantava nei funerali, nei matrimoni e nelle processioni. Ironia e gusto della teatralità esplodono nel cunto della serenata. Le serenate sotto i balconi siciliani, recita Incudine, sono tre; ma se la sposa non s’affaccia e spunta dal vicolo discinta per mani di un altro, al cantante toccano il silenzio e le cinquantamila lire. Una storia vera, questa della serenata. Capitò a Incudine quando era un musicante alle prime armi. L’artista rivendica ancora quello sprizzo d’arte e lo porta in tutti i suoi spettacoli. Stupende le musiche create per “Il dolore pazzo dell’amore”: lo strimpellato di “I Carrittera” si attenua nelle note struggenti e malinconiche della canzone del “firrialoru” (il ferro della gelosia) in omaggio a “Liolà” di Pirandello e di “Quannu moru” e di “Vitti ‘na crozza”, la canzone che suggella l’evocare della morte nelle letture a tinte forti di Buttafuoco.

Strombetta e recita il musicante, poggia i fogli della sua musica sul leggio della dolcezza e dell’amore per l’arte. Si perde per le strade del teatro. Il teatro di popolo, il teatro comico. L’attore comico ha nella mappa genetica il canovaccio, la maschera e il baraccone della Commedia dell’Arte.  Incudine fa onore a quella tradizione e vi innesta un’altra tradizione, quella del cantastorie. Artisti come Mario Incudine sanno la terra che li ha generati. La sua Sicilia è, per sua stessa ammissione, una terra di dolore e di asservimento ma è anche l’isola mediterranea dei miti greci, delle fiabe arabe e le fole normanne, della mescolanza di razze e lingue e sapori e profumi; è la poesia da Ibn Hamdis a Ignazio Buttitta, da Luigi Pirandello a Rosa Balistreri, ad Andrea Camilleri. Incudine si appropria di un pensiero di Lev Tolstoji “Racconta il tuo villaggio e sarai universale” e lo declina nel fare della Sicilia, rossa di sangue e gialla di sole, il simbolo di ogni terra di malinconia e di melodia. Declina il villaggio con la memoria e la terra. Con queste arrangia spartiti e percuote strumenti: il primo disco “La Terra” è un inno alla Sicilia arroccata sopra le campagne di Demetra e con le radici nel passato e nel futuro. La sua produzione discografica scava sempre nella memoria. Memoria è “Italia talìa” (Targa Tenco 2012), disco di sonorità elettriche per svegliare un Paese incapace di affrancarsi dalle ingiustizie del passato. Memoria è il prossimo progetto “Mimì, volere volare”: cantare il primo Domenico Modugno, quello di “Lu sciccareddu ‘mbriacu”. Memoria è il nuovo impegno teatrale “Il casellante” dal romanzo di Andrea Camilleri. Un viaggio irridente e drammatico nella Sicilia trasfigurata nello spazio mitico di Vigàta, la storia di una maternità negata e la ferocia della guerra fascista: Mario Incudine sul palcoscenico è ancora una volta con Moni Ovadia (il moderno aedo di storie di popoli), dietro le quinte per le musiche con il bravo Antonio Vasta.


Declina il villaggio anche nell’intensa attività di ricercatore del linguaggio. Incudine ha la passione per il linguaggio, per la riscrittura musicale delle pagine carnali e liriche della tradizione da Eschilo (in “Le Supplici” traduce la prosodia greca nelle strofe del cunto) a Camilleri la cui lingua è già musicale pasticcio. Per Incudine le frasi sono colori che tingono i muri ( “tinciunu ‘u muru “) come canta nella dolcissima “Li culura”

 “Li culura sunu milli cosi

su i paroli ca fannu li frasi,

mentri ridu o parlu sulu

su culura ca tinciunu ‘u muru”.

Colori sono le sonorità dall’etnico al folk degli strumenti tradizionali (chitarre, tamburelli, mandole) ai suoni della moderna world music. La tavolozza di Incudine è la versatilità della sua arte. E’ la Sicilia e l’impegno di farne progetto culturale: in giro per i teatri, dentro la scuola delI’INDA (Istituto nazionale del Dramma Antico) a Siracusa, per il suo “villaggio”. Da tre anni cura la direzione artistica del Teatro di Enna anche perchè per  Mario Incudine “La poesia è l’unica cosa che in questo momento vale la pena prendere dal libro e mettere in scena”.

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Daniela Sessa

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