Focus. Quando la bandiera dell’Argentina sventolò sulle isole Malvinas

giornale-310x230Il 28 e 29 settembre di 50 anni fa, nel 1966, un gruppo di giovani militanti nazionalisti argentini organizza una coraggiosa operazione, a metà strada fra l’azione politica eclatante e il blitz militare, per rivendicare la sovranità argentina sulle isole Malvinas, dal 1833 occupate dalla Gran Bretagna e ribattezzate Falkland. Il clamoroso gesto, denominato Operazione Condor (da non confondere con il Piano Condor dei militari golpisti per eliminare, dieci anni più tardi, gli oppositori), comincia con il dirottamento di un aereo delle Aerolineas Argentinas partito da Buenos Aires e diretto a Rio Gallegos, in Patagonia. Un commando di 18 giovani (il minore ha 18 anni, il più anziano 32) obbliga il pilota a dirigersi verso le isole e ad atterrare sulla pista dell’ippodromo di Port Stanley, per poi innalzare sette bandiere argentine, dopo aver preso alcuni coloni britannici in ostaggio, fra i quali il capo della polizia locale.

A guidare questo composito gruppo di militanti (formato da studenti, operai, impiegati e fra loro anche una ragazza, Maria Cristina Verrier, figlia di un giudice della Suprema Corte) è un personaggio piuttosto interessante, di cui in Argentina si parlerà ancora molto in seguito: Dardo Cabo, 25 anni, giornalista e operaio metallurgico, peronista “di destra”, già militante del movimento nazionalista Tacuara, un’originale miscela di integralismo cattolico, nazionalismo e anticomunismo, che fiancheggia il peronismo con sfumature filoarabe e antisraeliane: Nasser y Peròn, un solo corazòn è uno degli slogan dipinti dai tacuara sui muri di Buenos Aires.

Le forze di sicurezza britanniche circondano l’aereo, il parroco cattolico fa da mediatore e alla fine, dopo molte ore, i giovani argentini accettano di liberare gli ostaggi, di consegnare le armi al comandante dell’aereo (unica autorità da loro riconosciuta) e di ritirarsi disarmati all’interno della chiesa. Dopo 48 di permanenza nell’edificio sacro, Cabo e i suoi vengono lasciati partire dalle autorità inglesi e recuperati da una nave militare argentina. Il commando consegna a un ammiraglio le sette bandiere accompagnando il gesto da questa dichiarazione: “Come massima autorità della nostra patria in questo luogo le consegno queste sette bandiere. Una di queste è sventolata per 36 ore su queste isole e sotto di lei per la prima volta si è cantato l’inno nazionale”.

Una volta rientrati in patria, accolti da decine di entusiastiche manifestazioni di piazza, i diciotto finiscono in galera. All’epoca al governo c’era il generale golpista Ongania, nazionalista ma antiperonista. I “condoristi” verranno processati per sequestro di persona e detenzione illegale di armi, non per il dirottamento, reato all’epoca non previsto dal codice penale argentino. Durante la detenzione Dardo Cabo e Maria Cristina Verrier si sposano e la figlia Maria nasce mentre il padre è ancora in carcere. La maggior parte di loro viene scarcerata dopo 9 mesi di reclusione, ma Cabo e altri due militanti restano in carcere per tre anni a causa dei loro precedenti politici filo-peronisti.

Curiosamente il tribunale ordina la restituzione delle bandiere a Cabo con questa motivazione: “Le bandiere argentine, per il fatto di aver sventolato sopra una parte irredenta di terra della patria, non sono e non possono essere considerate uno strumento di reato. Per questo devono essere restituite al legittimo proprietario”.

Come detto, di Dardo Cabo (in foto, con Maria Cristina Verrier) si parlerà ancora molto in seguito. La sua è una vita da predestinato: il padre, Armando, è un pezzo grosso del sindacato peronista dei metalmeccanici, nonché stretto collaboratore di Eva Peròn; la madre, Maria, muore nel ’55 durante il bombardamento in Plaza de Mayo da parte dei militari golpisti, che tentano di rovesciare il governo di Peròn. Tornato in libertà nel 1969, l’ex leader dell’Operazione Condor segue le orme paterne, prima entra in fabbrica come operaio poi diventa delegato della Unión Obrera Metalúrgica (UOM). Pochi mesi dopo si verifica l’attentato che porta all’omicidio del segretario generale Vandor e l’Argentina sprofonda nella guerriglia che oppone le frange estremiste peroniste all’ala ortodossa e sindacale del movimento e provoca una sanguinosa faida interna allo stesso movimento justicialista. Sono gli anni della crisi economica e del ritorno di Peròn – stanco e malato – dall’esilio spagnolo. Il vecchio generale governerà per un solo anno: muore nel 1974 lasciando il Paese nel caos e nelle mani della seconda moglie Isabelita e del suo discutibile entourage.

Per Dardo Cabo sono anni frenetici, gli ultimi della sua instancabile militanza politica. Chiusa la breve parentesi sindacale si dedica al giornalismo, lavorando per le riviste Extra e Semàna Gráfica e diventando poi nel 1973 direttore di El descamisado, giornale dell’ala più movimentista del peronismo, vicina ai Montoneros. Nella primavera del ’75 Cabo viene arrestato per motivi politici insieme ad altri compagni e detenuto senza processo in diverse carceri argentine. Il 6 gennaio del 1977, quando ormai ha preso il potere la giunta militare guidata dal generale Videla, l’eroe del blitz alle Malvinas viene fucilato durante il trasferimento da una prigione all’altra. Il suo corpo non verrà mai ritrovato.

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Giorgio Ballario

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