Focus. Festa dell’Unità e sedie vuote. Il Pd di Renzi bisticcia con il popolo della sinistra

Foto La Sicilia.
Foto La Sicilia.

Compagni (e amici), arrivederci. Chiude i battenti la Festa nazionale dell’Unità. Quest’anno si è svolta a Catania ed è la prima volta al Sud da quando è nato il Partito democratico. Una scelta forse strategica e in parte ruffiana, non fosse altro che i ben informati sono convinti che mai come stavolta Matteo Renzi ha bisogno del granaio della Sicilia: dietro l’angolo c’è infatti il referendum costituzionale da vincere. Tant’è che il motto della kermesse democratica è stato “L’Italia che dice Sì”. Scelta chiara, inequivocabile, ma per lo meno divisiva. Perché se c’è una parte del Paese che per i motivi più vari è pronta a dare il proprio assenso alla Carta di Renzi e Boschi; ce n’è un’altra – secondo alcuni sondaggi maggioritaria – che è fermamente convinta del no e contagia pure una parte della base dem. E i risultati si sono visti in quel di Catania. Esclusi gli eventi collegati ai big (e non tutti), tante – forse troppe – sono state le «sedie vuote». Per non parlare poi degli stand, pochi e scarsamente frequentati.

L’Italica che dice no

È chiaro che la festa di un partito non è paragonabile all’ormai dismesso Festivalbar. In politica, a volte, i pieni possono pesare quanto un vuoto. Come quando D’Alema ha dibattuto con il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Sì, lì le sedie non bastavano. In tanti erano accorsi per applaudire alle stoccate antirenziane del lìder Massimo. Nel tripudio si è lanciato anche Claudio Cerasa, il direttore del Foglio, che ha provocato la sala chiedendo quanti erano per il sì e quanti per il no: questi ultimi erano decisamente in vantaggio. Insomma, un test da profanazione del tempio che ha fatto rosicare non pochi fra le rive dell’Arno e del Tevere. Che figura!

Il lìder massimo

Un sipario che non t’aspetti, ecco. Che dà coraggio a chi da sinistra non ce la fa proprio a immaginare Renzi alla guida di Palazzo Chigi per altri sei anni filati.  Ci voleva D’Alema, quindi: perché spulciando a destra e pensando a Renato Brunetta, la tentazione dell’ammutinamento è alta. Intanto il premier, concludendo la Festa catanese, ha aperto in maniera parziale e assai condizionata alle modifiche dell’Italicum. Insomma, una concessione che «s’ha da fare» in certe occasioni. Fuori, invece, bastonate tra polizia e antagonisti.

Festa di che 

Quella dell’Unità ci dice ancora che non ci sia poi tanto da festeggiare per Renzi ultimamente, e non solo per le sconfitte di Torino e – nonostante le incertezze della Raggi sindaca – di Roma. Il confronto con le kermesse del passato non regge per colore e intensità. Stavolta, non c’è soltanto da sfogliare l’album dei ricordi del Pci-Pds-Ds-Pd-(veltroniano/bersaniano), ma anche quello delle feste degli altri partiti, comprese quelle del Tricolore e della Lega. Dove non c’è opposizione, le ragioni della militanza hanno flagranze differenti e i legami comunitari vengono inevitabilmente meno.

Amici, amici

Il Pd è partito di governo, e lo si nota fin troppo bene guardando in faccia i presenti e immaginando l’attenzione che ci mettono nel seguire i vari dibattiti (questi ultimi non sempre avvincenti). Non è di certo la stessa tensione degli anni scorsi. No, non lo è. I paralleli con il passato devono andare per forza e continuità alle feste dell’Amicizia, quando la Dc occupava militarmente tutti i gangli dello Stato. Ecco, allora la kermesse durava pochissimo e di birra se ne consumava anche meno. Il destino dem è probabilmente quello. Così la festa dell’Unità è diventata luogo di ricreazione dei renziani della seconda ora, ovvero di quei tanti che prima militavano tra il centro e il centrodestra e ora sono sul carro di Renzi. La Sicilia, che è terra di gattopardi, ne è piena. E loro a Catania, sì, c’erano e in massa pure.

@fernandomadonia

@barbadilloit

Fernando Massimo Adonia

Fernando Massimo Adonia su Barbadillo.it

Exit mobile version