Il caso. L’Europa tra l’effimera troika a Ventotene e i teologi di Benedetto XVI a Castel Gandolfo

310x0_1471886473336.small_160822_191003_TO220816POL_8[1]Due volti della classe dirigente europea, l’uno a Ventotene, l’altro a Castel Gandolfo, Roma.

Renzi, Angela Merkel e Hollande, come sappiamo, si riuniscono per un incontro sull’isola laziale, luogo di confino per gli oppositori del regime durante il Ventennio, allo scopo di affrontare i tre grandi temi della politica internazionale che coinvolgono direttamente la comunità europea: l’uscita del Regno Unito dall’UE e i conflitti in Libia ed in Siria. Nulla di cui lamentarsi né stupirsi. V’è chi critica questo meeting dal momento che parrebbe scavalcare gli organi politici europei; dall’altra parte è più che logico che i rappresentanti dei tre stati dell’Unione dotati di maggiore peso a livello internazionale, Germania, Francia e Italia, si confrontino per elaborare una strategia comune. Non sulla presunta esclusività delle trattative potrà essere avanzata una buona critica, né tanto meno su illazioni complottistiche della serie Club di Roma o Gruppo Bilderberg. È sui contenuti che occorre basarsi. A Ventotene, dal ponte dell’incrociatore portaelicotteri Garibaldi, si discute anche di flessibilità, Job’s Act, politiche migratorie. E fin qui nulla da eccepire. Non entriamo del merito delle trattative, peraltro ancora incomplete e solo parzialmente pubbliche, ma riteniamo che, fino ad ora, possano essere rilevati tre dati importanti:

1) ancora una volta il premier italiano sembra optare per una battaglia di retroguardia, tentando di giustificarsi di fronte ai più potenti partner per le sue mancanze. Purtroppo la politica ormai è ridotta a questo: restare a galla… Fin che la barca va, lasciala andare, fin che la barca va, tu non remare… Nient’altro che l’ennesima conferma;

2) Renzi dice: l’Europa non è morta con la Brexit: è vero, la perdita del Regno Unito non rappresenta un colpo mortale per l’UE, anzi, per certi versi non è troppo lontana dal costituire un vantaggio su piano economico. Tuttavia non è una questione che si possa permettere di sottovalutare. Si tratta di un avvertimento concreto, il primo avvertimento realmente concreto, lanciato ai vertici europei. Ed il messaggio è chiaro: occorre cambiare rotta;

3) Hollande prosegue: l’Europa non è solo un ideale, ma una proposta concreta. Il presidente francese parla di difesa, di protezione dei confini, temi dai quali in primo luogo è coinvolta, dinnanzi alla minaccia dell’estremismo jihadista, la Francia. Un’iniziativa lodevole: peccato che i leaders europei sembrino ricordarsi solamente oggi, dopo settant’anni, delle proposte di De Gasperi, così come dello stesso Altiero Spinelli, per un esercito ed una politica estera comuni.

Tuttavia ben poco, al di là di riforme di carattere economico, il cui effetto a lungo termine sarà in ogni caso limitato nel tempo, potrà essere risolto, a meno che le stesse istituzioni europee non si pongano quello che è il nucleo centrale del problema europeo: la mancanza di un collante comune che trascenda i meri accordi commerciali e finanziari – si badi: ovviamente necessari -, un collante nel quale lo spirito del popolo europeo possa riconoscersi.

Tra pochi giorni, dal 26 al 28 agosto, si terrà a Castel Gandolfo la riunione annuale del Ratzinger-Schuelerkreis, il circolo di quaranta ex allievi di teologia del Papa Emerito quand’era professore a Muenster e a Tubinga, un avvenimento al quale solo pochissime testate giornalistiche, forse solo Il Foglio, hanno dedicato qualche spazio. Eppure il tema del congresso di quest’anno, scelto da Papa Benedetto, è quanto mai affascinante: Crisi dell’Europa. Esso tocca il nocciolo della questione in tutta la sua gravità. La crisi dell’Europa, questione già cara a Papa San Giovanni Paolo II, è innanzi tutto spirituale: la mancanza di principi comuni cui appellarsi, al di là del diritto internazionale, di fondamenta spirituali sulle quali basare la fratellanza tra i popoli e le nazioni. Edificare gli Stati Uniti d’Europa, come già Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi proponeva negli anni ’20, non potrà che essere un passo avanti, tuttavia, scegliendo di basarsi esclusivamente su accordi di natura finanziaria, sarà destinata a rivelarsi un’impresa controproducente. Se è vero che è l’economia a mandare avanti la società, è tuttavia altrettanto vero che è lo spirito a nutrirla. Un’Europa priva di principi fondamentali, appiattita su norme impersonali, non può rappresentare la soluzione. La Chiesa Cattolica risponde ponendo il Cristianesimo come base comune. Evert van der Poll, del Centro Schuman, scrive: anche nella società pluralista, multiculturale, dove l’umanesimo secolarista domina la sfera pubblica, molte persone non cristiane mantengono un legame, spesso inconsapevole e indiretto, con il cristianesimo […] La Chiesa incarna la memoria religiosa collettiva di tutta la nazione, comprese le persone che non praticano la religione cristiana. Non occorre porre in discussione la laicità dello Stato né le acquisizioni liberali, semplicemente riconoscere la fondamentale importanza avuta dal Cristianesimo e, in particolare dal Cattolicesimo, nello sviluppo di un’identità comune europea. Non a caso uno dei padri fondatori della Comunità Europea, il francese Robert Schuman, oggi servo di Dio per la Chiesa, parlava di Europa delle cattedrali.

Un’Europa basata sulle identità puramente nazionali sugli egoismi locali ha fallito: le tragedie della prima metà del XX secolo ne sono testimonianza; un’Europa fondata esclusivamente sui mercati e sulla concorrenza si sta rivelando un ulteriore sconfitta. Si profilano nuove sfide per le quali occorrerà armarsi. Armarsi, sì di una politica estera incisiva e di un esercito europeo per poter influire sulla scena internazionale, evitando che il Vecchio Continente soccomba, stretto tra l’egemonia statunitense e le minacce da Oriente. Ma anche armarsi a partire dalla propria coscienza tentando di ritrovare, in un pensiero comune, le radici perdute. La Chiesa lancia un monito. Chi sarà a rispondere?

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Niccolò Nobile

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