Musica. Metti una sera a Roma con Battiato (e Alice). Cronache da un concerto

Franco Battiato
Franco Battiato

Sono le 21 di una torrida e sonnolenta giornata romana e l’Auditorium Cavea (Parco della musica) è pronto a farsi teatro della seconda tappa estiva del tour di Franco Battiato e Alice. Sugli spalti ad anfiteatro c’è quasi il pienone e il brusio s’interrompe, lasciando il posto ad Alice, appena salita sul palco. La prima mezz’ora è completamente sua: la voce è immutata, limpida. Il pubblico applaude, ma inizia, spazientito, a distrarsi; tutti si domandano dove sia il Maestro, presagendo un monologo di Alice. Ogni timore svanisce quando viene portato in scena il solito tappeto persiano, imprescindibile per il cantautore siciliano. Platea e tribune trepidano. Ed ecco che arriva Battiato, avvolto in una giacca rossa -mai banale!- e disorientato dal giubilo delirante degli spettatori. Inizio col botto: L’era del cinghiale bianco. Magistrale come sempre. Contro ogni aspettativa, l’artista di Ionia è in gran forma, con voce decisa, calda, mai flebile. Siamo agli antichi fasti e Battiato è soddisfatto: esegue senza sosta i suoi grandi classici, unendosi in modo corale all’impeccabile orchestra e alla band. Il Maestro fa sfoggio della sua poliedricità, passando con naturalezza da pezzi come La cura -difficile spiegare cosa si prova sentendola dal vivo-, a pezzi di sconcertante attualità come Povera patria, ai pezzi più attesi come Voglio vederti danzare. Perfetto. E il pubblico lo sa, contro ogni divieto corre sotto il palco, perché ormai è una cosa sola con la voce di Battiato, dal canto suo sempre più stupito e rinvigorito. Tutti cantano a memoria ogni brano. A tutti basta una nota per immergersi nella poesia di brani eterni, paralleli rispetto alla musica contemporanea -che ci “butta giù”, a noi Patriots, ennesimo capolavoro della performance-, e sempre d’avanguardia. Nel finale ritorna anche Alice -non sembra essere passato il tempo dei Treni di Tozeur– e, tra la grazia innaturale di Nijinsky, Bandiera Bianca (manifesto antimoderno) e Sentimiento Nuevo (ode all’eros), il concerto si conclude, incorniciato dagli applausi scroscianti del pubblico che torna in sè, consapevole dell’esperienza appena finita. Ha trovato l’Uno al di sopra del bene e del male.

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Francesco Petrocelli

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