Si sarebbe difesa dalle indagini sulla sua morte, dalla ridda di ipotesi, dai neri avvoltoi, che planano sul suo corpo nero spento, per ricavarne luce, per continuare la narrazione? Forse no. Forse nemmeno dal libro di mosmie Giorgette Civile “Amy e Blake” (il titolo originale è “Letting Blake go”) per Cheninsky Editore che uscirà in Italia a metà luglio dopo grande successo in Inghilterra. La suocera, mosmie come affettuosamente la chiamava Amy, mostra i brandelli ormai esangui di un amore folle, scava dentro le ragioni irragionevoli di due tossici, autolesionisti e tristi. E nello specchio sbreccato di Amy forse cerca l’immagine sana di se stessa. Forse. Quello che resta sui resti dei divi del Club 27 (cinica formula che accomuna le ventisettenni morti di Jim Morrison , Jimi Hendrix, Janis Joplin, Kurt Kobain) è una luce fredda e tagliente, un vocìo inutile e vischioso che nega la pietà.
Aggressiva e sfrontata, scandalosa e provocatoria Amy Winehouse è stata una diva per aver costruito mentre viveva il suo tramonto: Amy ha vissuto in un perenne tramonto. Qui, nell’essere anche il nero colore puro, risiede la sua purezza. Nel concedersi agli eccessi come imprescindibile paradigma di vita. Nel costruirsi un’iconografia negli intervalli delle sbronze e delle sniffate. Ribelle persino nella purezza del suo dolore pazzo dell’amore. A chi l’ha amata nell’unico modo dovuto, ascoltando la sua musica, va questa canzone.
A Giorgette e a tutte le mosmie che dopo di lei saranno lì ad annerire il buio di Amy i versi di Edgard Lee Master per la tomba di Serepta Manson a Spoon River
“Il fiore della mia vita/sarebbe sbocciato d’ogni lato/se un vento crudele non avesse appassito/i miei petali dal lato che vedete voi del villaggio/Dalla polvere levo la mia protesta:/ il mio lato in fiore voi non lo vedeste!….”
@barbadilloit