Il caso. Il futuro del credito cooperativo alla prova dei territori

Credit Agricole
Credit Agricole

E se la tanto vituperata Toscana degli scandali bancari avesse le ragioni di un riscatto che viene dal territorio? Dopo più di un decennio in cui i crac degli istituti di credito sono diventati, almeno per distribuzione, un filo sospetti nella regione del Monte dei Paschi di Siena e della fu Popolare Etruria, bisognerebbe anche riconoscere le possibilità concrete di un rilancio che viene esattamente dal territorio che più di ogni altro ha giocato con la finanza e ne è finito triturato.

Può darsi sia un qualcosa che sta a metà strada tra la boutade e l’azzardo, però l’unico modo di risollevare la vicenda creditizia è quello di mettere i maggiori player locali davanti al fatto compiuto: la riforma governativa del sistema del credito cooperativo imporrà ai soggetti locali – ovvero la stragrande maggioranza dei medio-piccoli istituti – di scegliere tra due strade: quella di finire sotto un hub nazionale con ragione sociale di spa per almeno un miliardo di euro (modello francese alla Crédit agricole) oppure di scegliere l’exit entro e non oltre i 60 giorni dall’entrata in vigore della legge qualora possano vantare un patrimonio netto al 31 dicembre 2015 di almeno 200 milioni di euro. Proviamo a tradurre: il Governo si è reso conto che ci sono troppe piccole banche e che oggi il mercato è condizionato dai grandi giocatori; pertanto se ritieni di avere le gambe abbastanza lunghe entri in campo da protagonista (o almeno ci provi) diventando società per azioni altrimenti finisci sotto la tutela di una gigantesca spa “nazionale”. Per i più ciò significherà vedersi diluire dentro un carrozzone che ad oggi poco garantisce il futuro, essendo quella della riforma dell’Esecutivo Renzi un unicum sul panorama italiano, copiato poco e male dal modello francese. C’è da dire che qualche esempio virtuoso in casa lo abbiamo e, potrà sembrare un paradosso, ma un paio stanno proprio nella Toscana di cui sopra: ci si riferisce alla Bcc di Cambiano e a Chianti Banca, entrambe con buone prestazioni come emerso dalle ultime trimestrali, la seconda ha addirittura scelto su voto del proprio cda di nominare alla presidenza Lorenzo Bini-Smaghi, banchiere di lungo corso sullo scenario internazionale, dal board di Bce fino alla Société Générale, e che adesso dovrà gestire questa delicata fase di transizione.

Ripartire da Banca Toscana

Come dare una scossa al sistema, quindi? Nei cassetti di Rocca Salimbeni, a Siena, esiste ancora giacente la licenza di Banca Toscana. L’operazione da fare sarebbe “semplice”: un mini pool formato da un fondo internazionale e da una assicurazione dovrebbero comprarla, mantenendo la dicitura. Da qui, previe comunicazioni di rito alla Banca d’Italia, si aprirebbe l’iter per l’aumento di capitale. Chi dovrebbe massicciamente partecipare a questa ricapitalizzazione? Ovviamente le due Bcc di cui sopra, Cambiano e ChiantiBanca. Sede a Firenze, nel capoluogo, una presidenza credibile, un management rinnovato e attento, e soprattutto un piano industriale che faccia i conti con ciò che un’operazione simile comporta: vale a dire la copertura pressoché totale sui due terzi delle maggiori province – tra cui anche le più ricche – che ci sono nella regione. Si eccepirà che il direttore generale di Unicredit ha spiegato molto puntualmente che il nuovo modo di fare banca, per il futuro, è un altro. La banca è digitale, va sempre più a cucirsi addosso alle esigenze della gestione patrimoniale della clientela in una direzione di su misura del credito. Una Banca Toscana così raccontata fino ad ora sarebbe un modello, si passi il termine, anni Sessanta, legato al territorio, che fa raccolta e prestito. E il nuovo trend del mercato? Beh il nuovo trend si intercetterebbe solamente potendo contare su una solida base di private banking e non a caso, sempre in Toscana, esiste un istituto che per sua natura sempre quello ha fatto e con discreti risultati: Banca Del Vecchio. Istituto fiorentino, riferimento per la grande borghesia della città e della regione, è finito pochi anni fa nella galassia della Popolare dell’Etruria, quando la banca aretina di papà Boschi, in una bulimia tra il cieco e il chimico, decise di acquistare un istituto a vocazione private senza neppure sapere bene cosa farsene. Dopo la bad bank che ha ripulito le quattro banchette decotte, il commissario Nicastro adesso non solo deve piazzare le nuove banche ma sa che deve anche spacchettarne il controllo. E non è un caso che molta attenzione ha avuto la Federico Del Vecchio, che oggi sta sul mercato a 60 milioni di euro come valore di libro. La nuova Banca Toscana potrebbe puntare direttamente a quella, aggiungendo servizi private al proprio ventaglio offerte.

Un grosso polo toscanocentrico imporrebbe alle piccole o medie banche del territorio di confrontarsi con qualcosa che potrebbe essere una àncora di salvezza: al posto di improbabili aumenti di capitale difficilmente sottoscrivibili, molte di esse potrebbero naturalmente trovare beneficio da un riassetto del sistema locale (Cassa di Risparmio di San Miniato e CariPrato, per esempio). È chiaro che più che un’operazione industriale, quella fin qui raccontata ha il sapore di un’operazione politica. Monte dei Paschi non ha convenienza nel vendere la licenza poiché, ad oggi, nessuno ha dato garanzie dall’alto sul tipo di fine che Rocca Salimbeni conoscerà. L’area di riferimento delle banche fin qui citate è quella che in Italia oggi, e in Toscana in particolare, si può definire mediamente renziana (basti riguardare le foto degli invitati al matrimonio di Marco Carrai per farsi un’idea), ma proprio perché la finanza cosiddetta “bianca” ormai la fa da padrona, e l’esecutivo è quella roba lì, non si vede il motivo per cui una longa manus non potrebbe adoperarsi per un riscatto che da locale potrebbe coinvolgere una grossa fetta di risparmiatori.

L’incognita Mps

Già, e del Monte dei Paschi che facciamo? Dopo la recentissima vendita della controllata del Belgio al fondo inglese Anacap per una cifra curiosa (110 milioni di euro contro un book value di 100 milioni) si è capito che la direttiva della Bce a vendere e fare cassa è stata recepita. Certo, dare il La alla costituzione di una banca alternativa a te stessa potrebbe non essere molto intelligente, ma la garanzia dovrebbe venire appunto dal governo, anzi, dal Ministero del Tesoro, che ormai sta al 7% dentro la banca stessa. Dunque come se ne esce? Montepaschi dovrebbe essere fatto convolare a nozze con Poste Italiane, attraverso una garanzia che arriva direttamente da Cassa Depositi e Prestiti. Per la natura di retail e raccolta di Poste e le caratteristiche intrinseche della banca i due organismi sono esattamente complementari. Non serve pensare ad un fondo salva Mps o, peggio, a bond statali, se poi il fondo in questione è sì e no una mancia alla stregua del recente Atlante, che è stato costituito su una base di 4 miliardi, peccato però che manchi uno zero per poter davvero essere incisivo e risolutivo sulle magagne del sistema del credito italiano.

Buona parte del marcio è nato in Toscana, ma con un po’ di buona volontà e molti capitali, proprio la Toscana potrebbe essere la piattaforma per un rilancio serio. Appunto servono soldi, know how e una ricca schiera di persone che sappiano fare banca. E che magari non si accontentino di essere il papà di un ministro per credersi novelli Enrico Cuccia.   

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Matteo Orsucci

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