Ritratti. Ajmone Finestra il federale di Latina

Aimone Finestra
Aimone Finestra

“Federà, scusi eh, mica è colpa mia se sono nato nel 1956”. Voi non potete sapere quante volte gli ho detto così. E certo. Lui, pensavo quando avevo 17 anni, ha avuto la fortuna di fare la Repubblica Sociale, di combattere per l’onore, di rischiare la vita un’infinità di volte, tutto vero. Ma poi me lo, anzi meglio, ce lo rinfacciava una volta su due. “Voi non vi rendete conto, cosa significa stare al fronte,  vi comportate come dei comunisti, dovete cambiare letture”. Parlo della fine del 1973 a Latina. Avevamo aperto il Circolo Culturale Adriano Romualdi. Già dalla scelta di dedicarlo al “Romualdi giovane”, si capiva dove andavamo a parare. Eppoi eravamo giovani, Nando Cappelletti 23 anni, Maurizio Guercio qualcuno di meno, Silvano Spagnoli 18 anni, io 17 anni, tanti altri ed altre, insomma tutti tra i 15 e i 25 anni massimo. Anzi no, c’era uno più grande, il “pompiere” Giovanni Terlizzo, che tentava raffreddarci i bollenti spiriti quando partivamo per la tangente. Eravamo giovani e giovanissimi, mai “Fasciocomunisti”. Il Federale, Ajmone Finestra, ci chiamava eretici. Ma noi, semmai, ci sentivamo più che eretici,“Fasciosocialisti”. Conferenze su conferenze. Libri su libri.

Il circolo Adriano Romualdi di Latina

Inaugurazione con Pino Rauti. I primi acquisti per il Circolo fatti alla mitica Libreria Europa di via degli Scipioni 268/a. I temi? Il plus valore, l’Europa dei popoli, le lotte d’indipendenza come l’Irlanda, la differenza tra il fascismo regime ed il fascismo movimento, il ’19, il futurismo, quello vero non la “macchietta” di oggi e giù di questo passo. Volevamo capire.  Primi cortei differenti da quelli abituali del M.S.I. con il solo tricolore. E  noi sui manifesti fatti a mano, il M.S.I., lo chiamavamo Movimento Sociale. Punto. Nei nostri cortei, manifesti, volantini, la celtica era la padrona di casa. Anche al mio collo, dove ancora oggi abita.  Simbolo di vita orizzontale, terrena cioè, spirituale, verticale cioè, in un susseguirsi circolare. Pagana prima, cristiana poi. L’università a Latina, la presenza nei licei. Insomma un’infinità travolgente di cose che a Latina venivano fatte da giovani “definiti” di destra. Poi un giorno del 1974, il Federale ci convoca in Federazione, lì in via Pio VI, con il Duce alle sue spalle, appeso al muro,  ci scomunica una prima volta. Poi ci riconvoca, ci ri-scomunica.  E così tante altre volte. A noi, in verità, la liturgia del nostalgismo andava stretta. Ma lui  lo faceva con affetto, sicuramente perché impaurito. Lo faceva come un padre.  Una volta ci presentiamo Silvano Spagnoli, io e qualcun altro che non ricordo. E Silvano, citando Josè Antonio Primo De Rivera, se ne esce con un “…sguardo verso il sole, fucile verso terra”. Ed io, citando Pierre Drieu La Rochelle in Socialismo Fascista, “ …si crede che la nobiltà ed il clero abbiano detenuto collettivamente il potere…poi la borghesia ha conquistato il potere…No, una classe è formata da un gran numero di individui”. E lui, sgranando gli occhi, ci prende a male parole. Risultato finale, nei giorni seguenti il Circolo verrà chiuso dalla polizia. Troppo effervescenti. Fuori dagli schemi, si diceva llora. Non controllabili. Ma non mollammo. Altre riunioni pubbliche, conferenze, Evola e Marco Tarchi tra noi. La Voce della Fogna venduta i martedì al mercato settimanale, con cui acquistai delle sedie per il Circolo. E Tarchi  che ne aspetta ancora il saldo…

Di questi episodi riparlai con Finestra in questi ultimi quindici anni. Una volta  mi confidò che lui ci ammirava, rivedeva in noi la sua sconsideratezza giovanile, il suo “arditismo”, parole sue. Ma erano gli anni settanta, era cominciata la buriana nelle piazze, da un anno erano stati bruciati vivi Stefano e Virgilio Mattei, aveva saputo delle nostre “escursioni romane”, erano venuti a Latina i miei, giovanissimi anche loro, “camerati” di viale Medaglie d’Oro in Balduina, due per tutti, Claudio Barbaro, Riccardo Andriani. Insomma, aveva paura per noi. Qualche anno dopo suo figlio Paolo, anche lui giovanissimo, aveva cominciato a frequentarci. Era la stagione del I° Campo Hobbit, che con il secondo Circolo che aprimmo, il Satrico, ci vedeva sempre protagonisti anche a livello nazionale, fino all’organizzazione del Programma Domani del 24-25 settembre 1977, quello del famoso manifesto con lo spazzolino ed il dentifricio, creato da Cappelletti. Che fu causa del mio primo scontro con Fini alla festa del Fronte al Colle Oppio, quando ne portai un certo numero da affiggere a Roma. Sempre autonomi.  Nel frattempo era arrivato Dino Mangani, poi i Cirilli, Cosignani, Cervini e tanti altri ancora. Ci vedeva come dei nuovi “libro e moschetto”. E mi confidava, oggi, queste cose con tenerezza. Io, da giovane, mi incazzavo come con mio Padre, suo amico. Li detestavo. Loro hanno fatto le “loro cosuccie” giovanili, ora, mi dicevo, vogliono impedirmi di viverle….

In verità il mio rapporto con il Federale, cominciò molto prima, nel 1962, quando, nella mia innata irrequietezza, emulando un salto con l’asta, mi fratturai il braccio sinistro. Avevo sei anni.  E nella sua prima palestra, con gli esercizi di rieducazione a cui mi obbligava, il dolore era tanto forte, quanto la sua voce acidula che mi urlava nelle orecchie. Oggi ho 56 anni, significa che il mio rapporto con il Federale è durato 50 anni. Fino a pochi giorni fa, quando ha deciso di morire a 91 anni il 26 aprile all’una di notte. Sì, insieme al Padre Eterno, ha concordato di “andare” il 26 e non il 25 aprile. Lo ha accontentato. Se lo meritava, evidentemente. Una vita piena, gonfia di risultati. Lui, Littoria ce l’aveva nel sangue. E ne diventò Sindaco anche grazie al nostro attivismo in quella famosa campagna elettorale del novembre 1993. “Sindaco di tutta la città”, recitava il manifesto in campagna elettorale. Ero allora vice-segretario provinciale del Movimento Sociale. Il candidato naturale sarebbe stato Zaccheo, il candidato storico Finestra. Preparai un documento che fu approvato in direzione provinciale che spiegava questa differenza. Ma il candidato naturale, non ebbe coraggio. E Finestra di coraggio ne aveva da vendere, partì alla carica. Non gli piacque quel documento. Me lo disse chiaro chiaro e lo ricordò nel suo libro “Grazie Littoria. Storia del M.S.I. della provincia di Latina”. Ma, come se nulla fosse, aggiunse “pensiamo a vincere”. E noi, i suoi contestatori degli anni settanta, alcuni di noi, protagonisti del cambio di gestione della federazione, fummo i suoi collaboratori, i suoi suggeritori della sua storica prima elezione. Poi la sua consiliatura è andata come sappiamo. Troppo solo al comando. Come sempre troppo soli al comando sono stati due suoi eredi. Da soli non si va da nessuna parte. Sempre in questi ultimi anni, ne abbiamo parlato con più tranquillità, rilassati, non essendo più coinvolti. Se solo avessimo fatto sistema…….Ma di se, sono piene le fosse. Una cosa è certa, si è opposto allo scempio della città. Cosa che dopo di lui si c’è stata. Dalla città, ai borghi. Irrimediabilmente de-va-sta-ta.

Da quella campagna elettorale del 1993, il nostro rapporto si era rinsaldato. Una sera, avevo aperto l’Irish Pub Doolin da un anno, si presentò al pub con Ottavio Missoni Sindaco in esilio con  tutto il consiglio comunale di Zara, città della Dalmazia non più italiana. Hanno cantato ed urlato come ragazzini. Questo era l’uomo, sostenuto da una incontenibile energia. Come pure non ha mancato ai più importanti appuntamenti con l’autore che ho curato in questi anni.

Poche righe. Poche parole. Ricordi indelebili. Fatti solo oggi a riflettori spenti. Me lo sentivo. Glielo dovevo. Paolo mi ha dato il permesso di salutarlo personalmente, prima di chiudere la bara. L’ho fatto “romanamente”. Insieme al suo fido Benito Berna, a cui voglio un bene dell’anima. L’ho fatto  per lui e per me.  E l’ho visto contento. Ed ho risentito la sua irresistibile risata. Come pure gli hanno fatto piacere i saluti romani dei ragazzi di Casa Pound. Altri giovani irriverenti, ma fermi nei principi.  “Novantunoannituttidiunfiato”. Quando morì mio padre, venticinque anni fa a soli 57 anni, mi disse “Gino, un uomo sapiente, onesto, con la schiena dritta. Devi esserne orgoglioso”. Bene. Lui, il Federale, di “schiena dritta” se ne intendeva.

Nobis, con la forza nella gioia.

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Ferdinando Parisella

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