Val di Susa termometro della crisi della politica (e dello Stato)

«Qui sta maturando un senso di antistato pericolosissimo. Noi continuiamo a fare il nostro dovere, ma ci hanno lasciato soli. Manca la politica. È sempre mancata in tutti questi anni. Nessuno è venuto a fare discorsi seri, ad ascoltare e spiegare, a compensare il disagio con delle proposte concrete». Potrebbero sembrare parole di un militante No Tav, oppure di uno di quei sindaci di frontiera della Val di Susa che le istituzioni e i partiti hanno abbandonato a loro stessi. Invece escono dalla bocca di un poliziotto «che in genere non indossa la divisa, un esperto di intelligence che segue la protesta No Tav da sempre», per usare la definizione del cronista de La Stampa che nei giorni scorsi ne ha raccolto lo sfogo.

E se fosse qui il nocciolo della questione No Tav, che ormai da mesi sembra esser diventato il principale problema di ordine pubblico italiano? E se fosse soprattutto un fatto di dialogo mancato? A dar retta ai mass-media ultimamente non preoccupano le sempre più ramificate infiltrazioni mafiose al Nord, l’escalation di omicidi a Roma, la fuga dei capitali all’estero, la presenza crescente di organizzazioni criminali straniere sul territorio, le baby-gang sudamericane ornai radicate in molte periferie, le tre regioni italiane stabilmente sotto il controllo delle cosche. L’allarme nazionale sono le violenze dei No Tav.

Violenze, certo. Portate avanti da una frangia minoritaria del movimento, due o trecento persone che provengono dai centri sociali antagonisti oppure sono cresciuti nel “brodo di coltura” dell’anarco-insurrezionalismo. Violenze che però godono del consenso o della tolleranza di buona parte del movimento No Tav, che invece è composto da decine di migliaia di persone normali, pacifiche e trasversali a ogni appartenenza politica e sociale. E che tuttavia preferiscono chiudere un occhio sulle intemperanze degli scomodi compagni d’avventura piuttosto che stare dalla parte dello Stato e delle forze dell’ordine. Perché?

Non occorre essere scienziati della politica per capirlo. Perché in Val di Susa da almeno quindici anni lo Stato si presenta solo con il volto prevaricatore di ministri cementificatori che vorrebbero sventrare la valle, di ministri questurini che vorrebbero risolvere la questione del dissenso con una carica di polizia, di politici affaristi e di affaristi politicizzati per i quali una grande opera pubblica è solo un’opportunità di arricchimento e di clientelismo, sia essa una linea ferroviaria, il ponte sullo Stretto o le Olimpiadi. E da almeno quindici anni, in Val di Susa, dietro ai volti dello Stato preoccupati solo di “imporre” una maxi-infrastruttura, che per vent’anni devasterà il territorio, s’intravvedono altri volti. Molto più inquietanti.

Sono le facce dei mafiosi, nello specifico appartenenti alle cosche della ‘ndrangheta, che sul progetto Tav hanno messo gli occhi da parecchio tempo e in alcuni casi anche le mani, come dimostrano le inchieste giudiziarie degli anni scorsi relative alla costruzione delle tratte Torino-Milano e Roma-Milano. Da alcuni mesi, grazie alle indagini di carabinieri e Procura di Torino, sfociate lo scorso anno nei 150 arresti dell’operazione Minotauro, oltre ai volti si conoscono anche i nomi. Personaggi attivi da decenni nel tessuto economico torinese e con buone sponde  anche a livello politico, tanto a destra come a sinistra. Per cui ecco il capo della “locale” di Rivoli (cioè la cosca ‘ndranghetista radicata in questa città di 50 mila abitanti alle porte di Torino) che è amico decennale dell’ex sindaco, attuale consigliere regionale del Pd; eccolo venir contattato da un altro deputato democratico per procurare voti calabresi a Fassino in vista delle Primarie del Pd torinese; così come fa un deputato dell’Idv per tirare acqua al proprio mulino elettorale.

Ma la ‘ndrangheta non fa preferenze politiche. Infatti la cercavano anche molti esponenti del Pdl, in vista delle elezioni amministrative o europee. E anche in questo caso le indagini dei carabinieri registrano imbarazzanti tourneé dei candidati del centrodestra in noti covi di malavitosi, che li salutano come “amici” e “portatori di comuni interessi”. Per farsi un’idea più precisa, dare un’occhiata qui:(http://torino.repubblica.it/cronaca/2011/06/09/news/aiutiamo_fassino_alle_primarie_il_sindaco_cado_dalle_nuvole-17418350/)

Questo è il volto della politica che si presenta agli occhi dei No Tav della Val Susa. Questi sono gli amministratori e i rappresentati delle istituzioni ai quali si dovrebbe dar retta quando dicono: «Il Tav si deve assolutamente fare», senza poi spiegare perché, a quali costi per il Paese, con quali benefici per il territorio, con quali modalità che tutelino la salute e l’economia della valle. Questi sono i partiti, dal Pd al Pdl, che non si sono mai peritati di ascoltare le obiezioni della base, la loro base elettorale, ma hanno sempre preferito ricevere ordini dalle segreterie romane. Persino la Lega Nord, che pure dovrebbe avere nel proprio Dna il compito di rappresentare le istanze del territorio e delle popolazioni locali, sulla questione Tav si accucciata ai piedi dei partiti “centralisti”.

Agli occhi del valsusini, lo Stato e le istituzioni sono coloro che difendono con uno schieramento degno di Belfast anni Settanta un cantiere, quello per gli scavi preliminari di Chiomonte, la cui recinzione è stata costruita da un’impresa, la Italcoge, che un recente rapporto dei carabinieri definisce legata alla ‘ndrangheta. E decine di altre imprese dai contorni tutt’altro che definiti attendono come avvoltoi che cominci il grosso dei lavori, il cui importo (anche questo mai definito con precisione né trasparenza) oscillerebbe dagli 8 miliardi di euro annunciati dalla Lyon-Turin Ferroviaire (Ltf) ai probabili 20 miliardi stimati dagli esperti del settore.

Se questo è il volto dello Stato e della politica che si presenta agli occhi della Val di Susa, l’immagine delle forze dell’ordine – mandate allo sbaraglio come una vera e proprio forza d’occupazione – non è molto migliore. A far da contraltare ai dubbi del funzionario coscienzioso, di cui si parlava all’inizio dell’articolo, o alla professionalità e sangue freddo del carabiniere provocato dal militante No Tav; ci sono comportamenti non altrettanto esemplari: lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo, un vice questore che anni fa, dall’alto di una ruspa, fece caricare una folla di donne e pensionati al grido «Spazzateli via tutti!», un drappello di agenti che appena pochi giorni fa si è reso protagonista di questo poco edificante episodio ai danni di un bar che non sembra proprio un covo di terroristi: http://www.youreporter.it/video_Polizia_sfonda_vetrate_bar_a_caccia_dei_NoTav .

Chiunque, anche chi vive altrove, dovrebbe capire che in Val Susa l’aria si è fatta pesante e irrespirabile. I No Tav hanno le loro colpe (e negli ultimi tempi si intuisce una carenza di leadership, nervi poco saldi e incapacità di comunicare con il mondo esterno), ma ridurre tutto ciò che sta avvenendo a una questione di ordine pubblico è miope, prima ancora che sbagliato. In questo senso ha ragione l’anonimo funzionario della Digos. Se la politica è assente e le istituzioni latitano, facendosi rappresentare solo da agenti in tenuta antisommossa, non si fa altro che alimentare la sfiducia dei cittadini e spalancare la porta all’anti-Stato. Un giornale titolava: «Oggi comandano gli anarchici». Per chi persegue la logica meschina di parte può sembrare una buona notizia, perché così si incrina il fronte No Tav e lo si rende ancor più inviso all’opinione pubblica. Ma per chi ha il compito istituzionale di portare il fardello di una nazione, “regalare” all’anti-Stato un intero territorio , per quanto piccolo non può mai essere considerato una buona notizia.

George Best

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