Ritratti. Fabrizio Barca: tra finanza e nostalgia il “nuovo” che avanza nel Pd

barcaAntonio Gramsci lo diceva: il primo compito di un dirigente è preparare la successione. Il Pd, al momento, in questo ha fallito. Nessuno ci ha pensato, per incapacità o per calcolo errato. E così le voci sulla successione a Bersani sono specchio del disastro politico dei democratici, e vanno da Renzi a Epifani, passando per Barca.

Ecco, Fabrizio Barca. Chi è? Potrebbe davvero essere la soluzione ai mali del Pd? Il gioco potrebbe riuscirgli se tradurrà in pratica la rimpianta e famigerata doppiezza comunista che a Togliatti imputavano gli avversari: il Pci partecipava al gioco democratico “occidentale”, nel perimetro della liberaldemocrazia, ma rimaneva anche baluardo del regime sovietico e invitava i militanti a non abbandonare il sogno di una “città futura” dell’uguaglianza realizzata. Insomma, i comunisti erano “democratici” dentro il sistema e anti-sistema e rivoluzionari allo stesso tempo; “amici” delle istituzioni italiane anti-sovietiche, ma anche amici della dittatura sovietica.

Barca potrebbe davvero essere una riposizione moderna di questo “paraculismo” politico della doppiezza: ministro del governo Monti e stella nuova della sinistra più a sinistra del Pd che il Pd vuole trasformare in un partito di sinistra-sinistra.  Fabrizio, classe ’54, è figlio di Luciano, altissimo dirigente del Pci, consigliere economico di Enrico Berlinguer e direttore dell’Unità e Rinascita. Ricorda Perna sul Giornale: «Pressoché coetaneo di Max D’Alema e Walter Veltroni, il cinquantottenne Barca appartiene alla generazione post sessantottina cresciuta nella Fgci, pollaio dell’adolescenza rossa. Negli anni Settanta lo troviamo al Festival mondiale dei giovani comunisti a Berlino Est. Era delegato ufficiale di Botteghe Oscure con Veltroni, Ferdinando Adornato e altri promettenti dirigenti comunisti di quel domani che non ci fu».

Eppure, comunista nel dna, non continuò a fare vita di partito – il padre non condivise la svolta della Bolognina – e decise di studiare da “nemico”, diventando così un vero uomo dell’economia occidentale: Cambridge, Boston, Stanford nel suo curriculum. In Italia debuttò giovanissimo alla Banca d’Italia, per passare ai palazzi della politica, rimanendo nel sottobosco degli uffici ministeriali, al seguito di Ciampi. Cadde in disgrazia con il governo D’Alema, per essere poi ripescato da Micciché, allora vice di Tremonti all’Economia. Con Monti diventa Ministro della Coesione territoriale.

Ora, la sfida è conquistare il Pd: amatissimo dai salotti rossi romani, è il perfetto ponte tra ambienti finanziari e quel sentimento di nostalgia del partito che fu, quello della falce e martello che molti militanti – e tanti simpatizzanti del Pd – ancora portano nel cuore.  Per dirla, ancora una volta, alla Togliatti – il Togliatti del congresso del 1956 – Barca è una prova tecnica del «rinnovamento nella continuità». Le sue parole d’ordine – e qui torna, appunto, la doppiezza comunista di Togliatti – sta nel metodo dello «sperimentalismo democratico» e della «mobilitazione cognitiva», concetti contenuti nel suo Manifesto per conquistare il Pd.

Viene così riesumato prepotentemente un linguaggio berlingueriano, rossissimo, un rosso brillante, operaista ma anche accademico, oltre il radical-chic. Un nuovo vecchio da contrapporre al renzismo: è la nostalgia filocomunista che sfida il futuro democratico e yankee di Renzi.  Meglio affidarsi agli eredi di Togliatti e Berlinguer o di Kennedy e Blair? Il Pd dovrà scegliere in fretta. Sempre che la doppietta non prevalga alla doppiezza: Renzi futuro premier e Barca segretario. Togliatti potrebbe ritenersi soddisfatto di una scelta simile, gli elettori – già confusi – chissà.

Giovanni Marinetti

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