LivreDeChevet016. “Giù nel cyberspazio” di Gibson: cronache da un mondo post-statale

“Giù nel cyberspazio” non è solo un romanzo di fantascienza, ma un immaginario (e forse involontario) trattato socio-politico scritto nel 1986 dal genio visionario di William Gibson, creatore del cyberpunk: l’ipotesi di un mondo futuro che è presente in tutti i racconti e romanzi dell’autore, ma che trova in questo titolo gli spunti sociali e politici più interessanti.

Il post-statale

Come già in “Neuromante”, del quale è il seguito, e in alcuni dei racconti raccolti ne “La notte che bruciammo Chrome” ci viene anzitutto presentato il mondo post-statale: non esistono più Stati, ma enormi agglomerati urbani di decine di milioni di persone; non esistono nazionalità, ma appartenenze sul modello delle primivitive tribù costruite su elementi estetici (modo di vestirsi o di truccarsi) o economico-sociali; non esistono più governi, ma multinazionali onnipotenti che hanno elevato lo spionaggio industriale a guerra di eserciti privati. La gestione e l’organizzazione della ricchezza e delle informazioni sono il motore di questo mondo, nel quale le multinazionali sono la forma di vita dominante: creature il cui sangue sono le informazioni e le cellule (sacrificabili) gli esseri umani alle loro dipendenze.

L’uomo-nazione

Gibson si spinge poi oltre. La sua è un’ipotesi di fatto non solo post-stato, ma anche post-capitale, dato che la ricchezza è tanto concentrata da renderla quasi inafferrabile. Gli umani non sono più né cittadini né consumatori, vivendo una nuova condizione spuria e indefinibile. Con alti e bassi. Uno dei personaggi principali del romanzo, Virek, è l’unico uomo singolarmente e privatamente titolare di un impero economico (tutti gli altri sono gestiti da società) le cui dimensioni non sono quantificabili. Ma è anche un uomo che non si sa più quanti anni abbia e che appare ovunque nel mondo, a volte contemporaneamente, sempre sotto forma di ologramma, perché il suo corpo – solo poche cellule del suo cervello – giacciono in una vasca dalla quale è tenuto in vita e connesso con il mondo attraverso la rete. Talmente ricco e potente da essere, di fatto, una nazione.

Il post-uomo

Virek, si scoprirà inoltre, sta provando a migrare da un’esistenza fisica a una puramente informatica: è il post-uomo. Diventare un essere senza corpo, onnipresente, onniscente, immortale, plurale: una divinità, ma anche un fantasma. Il post-uomo Gibsoniano è così una duplice, illuminante, suggestione. Nelle intenzioni dello scrittore è anzitutto una critica al capitalismo: “chi è enormemente ricco non è più nemmeno lontanamente umano”, capisce la protagonista a proposito di Virek. La ricchezza come mezzo talmente potente da auto-sostenersi. Ma oltre che critica, l’ipotesi post-umana è diventata una profezia, quella di un uomo la cui esistenza non si svolge più nel tempo e nello spazio, ma a distanza e nella simultaneità televisiva o informatica.

“Giù nel cyberspazio”, come la quasi totalità della produzione di William Gibson, è perciò la perfetta rappresentazione di ciò che la migliore fantascienza, scritta o cinematografica, deve essere: un luogo di premesse estreme per immaginare e sperimentare l’uomo.

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Andrea Tremaglia

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