Reportage. Bruxelles, il diario di viaggio firmato Barbadillo nella città culla del terrore islamista

Soldati belga al presidio della Commissione europea.
Soldati belga al presidio della Commissione europea.

A quanto pare, c’è uno strano clima in questi giorni a Bruxelles. Lo dicono i telegiornali. E non solo loro. Del resto, fanno bene a diffondere queste notizie, altrimenti – a tutta prima – non lo si direbbe che la capitale dell’Unione è di fatto attraversata da venti di guerra. Vanno bene i mitra spianati dei parà persino in aeroporto o le camionette dell’esercito parcheggiate nelle piazze… ma oltre questi segnali, la situazione non sembrerebbe delle peggiori. Almeno per chi – fra questi me – proviene dalla Sicilia ed è quindi abituato ai militari per le strade. Dall’operazione Vespri siciliani, scattata all’indomani della morte dei giudici Falcone e Borsellino, ci abbiamo fatto il callo. Allora il terrorismo di Cosa Nostra era affare serio tanto quanto l’attuale pericolo islamista in Europa. La scelta poi di Ignazio La Russa di utilizzare gli uomini delle forze armate per presidiare il territorio assieme a poliziotti e carabinieri quando era ministro della Difesa, valeva per noi quanto un terribile deja vu.

Insomma, a Bruxelles sono tutti sull’orlo di una crisi di nervi. Sono bravi a camuffarlo, va detto. Come va detto pure che i belgi sono storicamente dei semplicioni. I francesi, almeno, li rappresentano così.

Il diario di viaggio

Detto ciò, il nostro aereo è atterrato lunedì. Il livello di allerta era al tre; sabato e domenica, invece, era addirittura al quattro, al massimo. Il che significa: strade vuote, metropolitana chiusa e mezzi blindati ovunque. «Un clima surreale, credetemi»  ̶ riferisce un’italiana che di professione fa l’assistente presso l’europarlamento. La stessa che ci avverte che secondo le stime più o meno ufficiali, tra due o tre anni al massimo, i musulmani supereranno il 50 per cento della popolazione capitolina. Succede anche questo quando le indicazioni stradali interne non riportano mai il nome in lingua originale della città. Al suo posto c’è l’inglesissimo Brussels. Di certo – e si nota – i volti della working class sono quasi tutti tratti stranieri. E qualcosa vorrà pur dire.

Soldati in metropolitana.

Il presepe nella Grand Place

Al netto delle impressioni, c’è che nella Grand Place il presepe sia in grande spolvero, animali viventi inclusi. Un segnale di orgoglio, forse. Soprattutto rassicurante, per i turisti certamente. Anche i mercatini natalizi sono nel vivo delle attività. Per ogni altra evenienza, poliziotti, militari e blindati sono nelle vie collaterali. Tutti alti e ben rasati. Oltre al mitra, hanno pure l’elmetto, ma indossato a mo di zainetto. Nonostante ciò, sembrano spaesati. Rispondo addirittura bonsoir se c’e un cenno di saluto nei loro riguardi. Intanto, se dopo la mezzanotte ci si avvicina a una birreria – una delle poche aperte, perché la serrata è realtà – c’è il proprietario che si fionda sulla porta a intimare che a causa del terrorismo non si può entrare. Così si resta a bocca asciutta e un pizzico basiti. Pazienza, però.

Quelli del ristorante “Il latino” – salernitani fino all’unghia dell’alluce – farebbero entrare chiunque è in cerca di gioia e gusto, invece. Il clima di queste ore lo stanno subendo pesantemente.  Durante la settimana fanno solitamente il tutto esaurito. Stavolta, però, i tavoli apparecchiati sono pochissimi, nonostante l’eleganza degli interni. Così, se c’è da guardare Napoli-Inter sul pc (2-1, per chi non lo sapesse), beh lo fanno senza troppi patemi. Intanto fuori piove, piove e piove. Dicono che a Bruxelles almeno questa sia la normalità.

Di mio posso dire (se interessa a qualcuno, ovviamente) che sono stato rinchiuso per buona parte della mia presenza a Bruxelles, assieme ad altri colleghi giornalisti, tra il palazzo della Commissione e il Parlamento, luoghi che nulla hanno a che vedere con l’arredo pregno di storia delle nostre sedi istituzionali. Ecco, se in Europa la aule non sono sorde, in cambio appaiono sicuramente grigie. Un po’ per l’architettura, un po’ per l’alta dose di burocrazia nell’aria. Si tratta, tuttavia, di luoghi a prova di terrore, dove dai metal detector non passa neanche uno spillo. Massima tranquillità, dunque.

L’albergo invece era tra la sede della Rappresentanza del Governo francese presso l’Ue e la redazione del quotidiano Le Soir. Sì, quello che insieme a Charlie Hebdo era finito sotto le mire dei jihadisti. Lo abbiamo capito solo dopo, però. Tanto meglio. Almeno abbiamo trovato la risposta alla domanda su cosa ci facessero quattro militari, giorno e notte, sotto la finestra della sala colazione. Infine, siamo tornati tutti in patria. Sani, salvi e – strano alquanto – puntuali. E dire che nei programmi iniziali c’era da fare scalo a Istanbul per recuperare un paio di ore sulle coincidenze aeree. Beh, chiamiamola pure Provvidenza. (foto Simona Scandura)

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Fernando Massimo Adonia

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