Esteri. Finisce l’era Kirchner: l’Argentina sceglie il liberale Mauricio Macri

Il neopresidente Macri
Il neopresidente Macri

L’Argentina ha scelto di invertire rotta, affidandosi al candidato liberale Mauricio Macri che sul cambio aveva puntato tutto, sino a usarlo nel nome della propria coalizione: Cambiemos. Il futuro dirà se è stata una decisione assennata o un salto nel vuoto. Di certo c’è che gran parte dell’elettorato ha voltato le spalle alla presidente uscente Cristina Fernandez Kirchner e ha voluto chiudere i conti con dodici anni di «kirchnerismo», vale a dire l’originale forma di peronismo del XXI secolo varata dopo il default del 2001 da Nestor Kirchner e portata avanti ancora per otto anni da sua moglie Cristina. Una miscela di nazionalismo, parziale protezionismo economico, tutela dei ceti deboli, impulso al ruolo dello Stato nell’educazione e nella sanità, indipendenza nelle scelte di politica estera; ma anche personalismo all’eccesso, esibizione muscolare nei confronti delle opposizioni, clientelismo diffuso, attenzione quasi maniacale ai cosiddetti diritti umani, un certo clima di familismo che ha permesso gli avversari di parlare di un «clan Kirchner» ai vertici della Repubblica.

L’eredità pesante di Cristina

A fare le spese di questa volontà di cambiamento è stato il candidato neoperonista del Fronte per la Vittoria Daniel Scioli, che in campagna elettorale ha fatto i salti mortali per smarcarsi dall’ombra per molti versi scomoda di Cristina, al tempo stesso ha promesso che non avrebbe cancellato i benefici dei quali gran parte della popolazione argentina ha goduto in questo dodici anni di «kirchnerismo». Non gli è stata data fiducia, o quanto meno non abbastanza. Dopo aver vinto di misura il primo turno, Scioli era dato per ultrabattuto al ballottaggio, perché tutti i sondaggi davano Macri in testa anche di dieci punti. Invece alla fine lo scarto è stato limitato: 51,4% contro 48,6%, vale a dire poco più di 700 mila voti su una base elettorale di circa 32 milioni di votanti (anche se al ballottaggio è andata alle urne meno gente che al primo turno).

L’appello del neopresidente

È la conferma che l’Argentina è divisa in due, non a caso il neopresidente Macri ha subito rivolto un appello a tutti i cittadini per evitare divisioni, assicurando anche di non cercare vendette contro il kirchnerismo. Difficilmente sarà così. In primo luogo perché negli ambienti vicini al neopresidente – 56 anni, figlio di italiani, ricchissimo rampollo di una famiglia di costruttori, ex presidente del Boca Juniors e sindaco di Buenos Aires – molti vorrebbero saldare il conto con Cristina Fernandez, anche per impedirne sul nascere il ritorno in politica fra quattro anni. E già si parla di imminenti inchieste della magistratura sul governo e sulla famiglia dell’ex presidente.

E difficilmente il richiamo all’armonia sarà ascoltato dall’opposizione peronista, che per quanto divisa al suo interno (oltre al kirchnerismo in declino c’è la componente centrista che al primo turno aveva seguito il transfuga Massa) non farà sconti al governo Macri. Soprattutto se il neopresidente metterà in atto le politiche economiche annunciate dai suoi consiglieri in campagna elettorale, che sembrano ricalcare con vent’anni di ritardo i dogmi ultraliberisti che condussero l’Argentina alla rovina all’inizio degli Anni Duemila: svalutazione del peso, blocco dei salari, incentivi agli investitori stranieri, liberalizzazione dei prezzi (finora alcuni servizi e prodotti come luce, gas, trasporti e generi alimentari erano calmierati dallo Stato), impulso all’esportazione (mentre prima si cercava di promuovere i consumi interni di prodotti nazionali), riavvicinamento agli Stati Uniti. Saranno manovre impopolari ed è facile prevedere che l’opposizione, vicina ai sindacati e ai movimenti di base, mobiliterà la piazza per impedirne l’attuazione.

Un Paese spaccato

L’analisi territoriale del voto ha comunque confermato che a votare per Macri (o meglio contro il kirchnerismo, che non è proprio la stessa cosa…) sono state le aree economicamente più forti e all’avanguardia: oltre alla città di Buenos Aires, da sempre feudo dell’antiperonismo, Macri è stato scelto con percentuali altissime anche nelle importanti province di Cordoba (seconda città del Paese), Mendoza e Santa Fe. L’Argentina profonda, il nord andino e il sud patagonico, ha invece votato compatta per Scioli. E ha preferito l’esponente peronista anche l’enorme provincia di Buenos Aires (15 milioni di abitanti), che lo stesso Scioli ha governato per otto anni e dove peraltro, un mese fa, il candidato governatore del Fronte per la Vittoria Anibal Fernandez era stato sconfitto a sorpresa dalla giovane e rampante Maria Eugenia Vidal, del partito Pro di Macri. Ma non è bastato per invertire la tendenza nazionale, che chiedeva un deciso cambio di rotta.

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Giorgio Ballario

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