Il punto (di A.Mantovano). La lotta al terrorismo islamista tra prevenzione e giustizia

Il cordoglio per la strage di Parigi e nel riquadro il terrorista ancora ricercato

La prevenzione nei confronti del terrorismo islamico esige – più che verso altre forme di aggressione – che tutti i soggetti istituzionali che hanno voce in capitolo svolgano bene la propria parte: con consapevolezza non soltanto del quadro normativo, bensì pure della situazione di fatto con la quale ci si confronta. Senza distinzione di aree territoriali, e a maggior ragione per zone come la Puglia, naturalmente proiettata verso il Sud-Est e con una così elevata quantità di passeggeri in transito. Che Salah Abdesalam sia passato per due volte ad agosto dal porto di Bari conferma solo la necessità di dotare i porti pugliesi di livelli di controllo simili quelli degli aeroporti. Non serve a recriminare che all’epoca non sia stato fermato: è lo stesso soggetto che qualche ora dopo l’attentato di Parigi, pur controllato alla frontiera tra la Francia e il Belgio, non è stato bloccato. Vuol dire che il sistema delle segnalazioni e della circolazione di informazioni ha bisogno di essere incrementato, sia sul versante della quantità dei dati immessi sia su quello della capacità di selezionarli con efficacia; c’è da augurarsi che fra le misure allo studio dei Governi per migliorare la prevenzione vi sia quella di adeguare gli investimenti sui mezzi e sul personale di polizia, per permettere ai filtri di funzionare. I problemi più seri vengono dal fronte giudiziario e da quello delle domande di asilo.

La storia di Bassam Ayachi, arrestato a Bari nel 2008, condannato in primo grado a otto anni di reclusione e poi assolto in appello con una sentenza – errata, e per questo riformata in Cassazione – che lo ha rimesso in circolazione, è significativa di un limite nel nostro sistema: quello della corretta conoscenza da parte di taluni giudicanti italiani della realtà del terrorismo di matrice islamica. Un limite non nuovo, che da oltre un decennio produce sentenze che incredibili, che restituiscono la piena agibilità a soggetti – a differenza di Salah Abdesalam – ben identificati e con prove a carico: che cosa ci vuole di più per tenere in carcere per terrorismo, con la varietà di norme incriminatrici introdotte dal 2001 a oggi, un personaggio del quale era stata documentata l’appartenenza ad Al qaeda e la programmazione di attentati? Più di recente, nel febbraio 2015 il Gip di Lecce ha scarcerato con motivazioni sorprendenti cinque persone che erano state arrestate perché sbarcate vicino a Tricase con documenti falsi, e con filmati di bombardamenti e di esecuzione di attentati contenuti nelle memorie dei cellulari.

L’altra questione è quella dei tempi di esame delle domande di asilo, che superano ormai i 12/18 mesi: permettono a chi è in così lunga attesa di essere facile preda di reclutamento, anche solo criminale; impediscono a chi alla fine riceve un rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato – il 60% dei casi – di essere effettivamente allontanato dall’Italia, perché nel frattempo si è dileguato, o comunque non lo si riesce a espellere. Evitare dalle nostre parti la moltiplicazione di Parigi  passa anche dal porsi responsabilmente questi problemi, e provare a dare loro soluzione. Non a parole.

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Alfredo Mantovano

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