Esteri. Sinai, il generale Arpino: “Attendere esito indagini incidente. Ma dove sono finiti i missili di Gheddafi?”

Una delle immagini dell'incidente del SInai, diffuse dal giornale russo Lifenews.
Una delle immagini dell’incidente del SInai, diffuse dal giornale russo Lifenews.

Gheddafi disponeva anche di sistemi con batterie mobili, con tanto di radar di scoperta e inseguimento del bersaglio, in grado di operare dalle quote basse a quelle medie e alte. In che mani sono finiti?” si domanda il generale Mario Arpino. Quesito lecito, perché, in realtà, l’incidente aereo del Sinai (Airbus A321 della compagnia Metrojet) lascia spazio a diversi interrogativi. Fra questi, quale sia stata la sorte di parte del munizionamento dell’esercito del rais, sparito prima ancora che gli aerei della coalizione colpissero il suolo libico, nel marzo 2011.

 

In un articolo un po’ polemico ha scritto che Russia ed Egitto si sono affrettati a parlare di terrorismo. Che vuol dire “affrettati”?

Il generale dell’Aeronautica Militare Mario Arpino.

Non volevo dire questo. Anzi, il contrario. Russia ed Egitto si sono affrettati a “escludere” l’abbattimento da parte di terroristi. Probabilmente è un calice amaro che non vogliono offrire al loro pubblico, nel timore che si tramuti in sfiducia nelle iniziative intraprese rispettivamente in Siria e nel Sinai. Due capi “assoluti” come Putin e al-Sisi per definizione non sbagliano mai. Quindi, nel dubbio sulle cause dell’incidente, hanno subito optato per quella politicamente meno compromettente.
Nella medesima analisi, “consiglia” Putin di avanzare l’ipotesi di avaria prima di tirare in ballo gli attentatti. Perché?
No, non consiglio Putin. E’ un dato di fatto che, come al-Sisi, abbia in un primo momento lasciato accreditare l’ipotesi dell’avaria. Anche perchè questa danneggia l’immagine di una Compagnia privata, non certo quella della Russia, visto che un incidente tecnico può accadere ovunque, e senza riflessi politici. Infatti, la prima cosa che ha fatto fare è stata una perquisizione nella sede della Metrojet. Intanto, l’inchiesta avrà il suo corso, e le conclusioni sul “chi è stato” o sul “cosa è stato” arriveranno. Ma con calma, quando il pubblico avrà già perso memoria dell’accaduto.
Nella chiosa si domanda che fine abbiano fatto le armi di Gheddafi, quelle salvatesi dalle incursioni dell’Alleanza. Che tipo di arma occorre per abbattere un aereo di linea?
I voli di linea o i charter delle low cost volano molto alti, mediamente la loro quota di crociera si aggira sui 35 mila piedi, ovvero 11-12 mila metri. Quote non raggiungibili dai missili portatili a spalla. Gheddafi però disponeva anche di sistemi con batterie mobili, con tanto di radar di scoperta e inseguimento del bersaglio, in grado di operare dalle quote basse a quelle medie e alte. Assimilabili a quei missili Buk, di fabbricazione russa, che hanno abbattuto il velivolo di linea sopra l’Ucraina. Quelli, appunto, spariti dagli arsenali gheddafiani ai tempi della “rivoluzione”. In che mani sono finiti?
Gheddafi: restiamo in Libia, datoché Tobruk ci accusa di violare i suoi confini. La MM ha davvero sconfinato in acque libiche?
La nostra difesa ha smentito, e dobbiamo crederle. L’accusa potrebbe, infatti, essere un’espediente già da tempo predisposto del governo “legittimo” di Tobruk per sabotare l’accordo con l’”illegittimo” governo di Tripoli, nel caso – comunque improbabile – di avvicinamento delle posizioni al tavolo Onu dell’inviato Bernardino Leon. Va poi detto che il concetto di “acque territoriali” è piuttosto elastico, a seconda che la nazione reclamante abbia o meno accettato le regole internazionali. Queste prevedono 12 miglia dalla costa, limite che la Libia non ha mai riconosciuto.
Tobruk sa che operiamo in quel tratto di mare per soccorrere i migranti. Perché, allora, alzare la voce?
Lo fa l’India, che considera propria anche la cosiddetta Zona Esclusiva, e la vicenda dei Fucilieri di Marina ce lo insegna. Perché mai non dovrebbe farlo Tobruk, visto che in questo momento conviene così? Evidentemente, un fallimento dei negoziati interessa molto di più del destino dei migranti. Che, oltretutto, rappresentano una buona rendita…

La Farnesina minimizza e sulla profanazione del cimitero italiano si limita a definire “vile” il gesto. Cerchiamo di aiutare un governo che però non ci rispetta. La cosa non le sembra strana?
No, non mi sembra affatto strana. D’altra parte, con chi dovremmo alzare la voce? Gli ex gheddafiani, che parrebbero essere stati gli autori di questo nuovo atto di spregio, ci considerano dei traditori e, se proviamo a metterci per un momento nei loro panni, qualche ragione potrebbe anche esse09re sostenibile. C’era un accordo tra due governi legittimi, e noi nel 2011, a torto o a ragione, lo abbiamo violato. In quanto al governo di Tripoli, evidentemente da noi si aspettava un’azione di riequilibrio più efficace. Alla fine, siamo riusciti a scontentare un po’ tutti. Non è un gran successo!

Ultima domanda. Il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni parla di intesa per transizione e uscita di scena di Assad, senza interventi militari. A quale titolo l’Italia, per nulla coinvolta nella guerra, può parlare del destino della Siria?
L’Italia fa parte di tutte le organizzazioni internazionali (Onu, Nato e Unione Europea) che stanno cercando una soluzione per la questione Siria. Piaccia o non piaccia, ha quindi il diritto-dovere di esprimersi.

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