L’intervista. Bagnai: “Il flop greco con Tsipras schiavo di una ideologia pseudoprogressista”

Alexis Tsipras
Alexis Tsipras

Professor Alberto Bagnai, a cosa (o a chi) è servito il referendum greco?

“A niente, in realtà. Perché Tsipras è schiavo due volte. Da un parte, è schiavo di una ideologia pseudoprogressista che ignora il nesso fra euro ed austerità e presume, erroneamente, di poter mantenere il primo senza la seconda. Dall’altra, è schiavo del nazionalismo ellenico, quello che porta a voler rimanere nella moneta unica per non sentirsi inferiori agli altri”.

E quindi come andrà a finire?

“Tsipras, le cui posizioni sono ormai vicinissime a quelle della Troika, puntava fin da subito ad avere un haircut, un taglio del debito. E, ora, con questo can-can mediatico unito alla minaccia di rivolgersi a Putin o ai cinesi, è riuscito a forzare la mano e a portare il Fondo Monetario Internazionale su posizioni più accomodanti. A questo punto non resta che convincere il contribuente tedesco. Impresa non facile come testimonia il tentativo del socialdemocratico Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo, di sgambettare la Merkel accusandola di non tutelare l’interesse nazionale”

Le pressioni sulla Merkel non mancano. Si pensi agli Stati Uniti, preoccupati da un ingresso della Grecia nell’area Brics…

“Si tratta di pressioni molto efficaci e non solo perché gli Usa possiedono numerose basi militari in Europa! Deutsche Bank in America ne ha combinate di cotte e di crude finendo varie volte sotto inchiesta. Sono riusciti a salvarsi solo pagando tre milioni di dollari, di cui 1,8 ai democratici e 1,2 ai repubblicani, sotto forma di contributi elettorali. Ma gli Usa non ci metterebbero nulla a far saltare la Deutsche Bank così come hanno fatto, anni fa, con la Lehman Brothers”.

Alberto Bagnai

L’eventuale taglio del debito greco non rischia in futuro di spingere anche altri, per esempio la Spagna o l’Italia, a chiedere lo stesso trattamento?

“Il rischio di effetto domino è concreto e la Germania si trova chiusa in un vicolo cieco perché, per i greci, l’alternativa all’haircut è rifinanziarsi in dracme. Un precedente rischia di crearsi in ogni caso. Ma esiste una possibile contromossa, lo European Redemption Fund. Si tratta di un veicolo finanziario per la gestione del debito eccedente la soglia di Maastricht, cioè il 60%, attraverso meccanismi di forte condizionamento politico, pilotati da una burocrazia non eletta a trazione tedesca. Tradotto: se in Puglia ci sarà bisogno di edificare una scuola saranno loro a decidere se realizzarla o meno”

Ma se le tessere del mosaico dovessero incastrarsi, con il taglio del debito e la permanenza della Grecia nell’euro, non si rischia tra qualche tempo di ritrovarsi nel medesimo pantano di queste settimane?

“Certamente. Ma, vede, i politici ormai si muovono su distanze molto brevi, mirano a sopravvivere fino alla prossima tornata e il primo ministro greco non fa eccezione. Qualcuno sostiene che Tsipras stesse comprando tempo, fin da febbraio, per organizzare l’uscita del Paese dall’euro. Tuttavia, i fatti ci dicono che questa strategia non è mai stata in campo. Ma ciò non toglie che l’euro crollerà comunque quando i cittadini e i politici si renderanno conto della sua insostenibilità e gli attori che versano soldi nel Fondo Monetario Internazionale si stancheranno di finanziare i disastri altrui”

E, infine, veniamo al suo libro. Una delle tesi principali è che l’euro danneggi i lavoratori…

“Molto semplicemente, nell’impossibilità di svalutare la moneta, si svaluta il lavoro. Ma la sinistra, per paradosso, ha deciso di far proprio questo ordinamento economico difendendolo a oltranza. Purtroppo, anche sul versante sindacale, persone come Cofferati e Landini hanno una preparazione macroeconomica equiparabile a quella di Oscar Giannino. È un problema culturale. Ciò nonostante in questi mesi il lavoro di corretta informazione ha portato, per quanto possibile, dei risultati tangibili. La consapevolezza cresce. Ma sarebbe il caso che crescesse anche presso le élites che ci governano”.

*Pubblicata su “La Gazzetta del Mezzogiorno”

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Leonardo Petrocelli

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